Furio Diaz
Furio Diaz (Livorno 1916-ivi 2011), dopo una formazione filosofica e dopo essere stato assistente a Pisa di Guido Calogero (1904-1986), passò all’insegnamento della storia e della filosofia nei licei. Militante antifascista, fu sindaco di Livorno nell’immediato secondo dopoguerra (1944-54); nel 1957, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria (1956), uscì dal Partito comunista italiano, riprendendo gli studi storici come libero docente di filosofia della storia presso l’ateneo pisano. Nel 1959 entrò nella direzione della «Rivista storica italiana»; molto legato a Franco Venturi, al quale lo accomunava una metodologia simile nell’impostare la ricerca storica, Diaz collaborò attivamente alla rivista diretta dallo stesso Venturi, intervenendo con numerosi articoli (alcuni dei quali sarebbero stati raccolti in Per una storia illuministica, 1973) e recensioni.
Nel corso degli anni Sessanta si stabilizzò la sua posizione di docente all’Università di Pisa: nominato professore incaricato nel 1963, divenne ordinario nel 1966 nella facoltà di Scienze politiche, dove insegnò sino al 1975-76. Alcuni anni prima (1968), divenne docente di storia alla Normale di Pisa.
Il campo di ricerca privilegiato dallo storico livornese fu il Settecento e, in particolare, la storia della Francia, della Toscana (di cui tracciò un ampio profilo storico in Il granducato di Toscana, 1° vol., I Medici, 1976; 2° vol., con L. Mascilli Migliorini e C. Mangio, I Lorena: dalla reggenza agli anni rivoluzionari, 1997) e dell’Illuminismo. La sua attenzione verso le tematiche illuministiche risaliva almeno agli anni Quaranta quando, sul periodico «Rinascita», pubblicò diversi articoli tra cui quello del 1949 con un titolo dal forte sapore voltairiano «Ecrasez l’infâme», nelle cui pagine Diaz sottolineò che l’antilluminismo si prefigurava come il lascito teorico dell’idealismo storicistico italiano. Uno dei frutti conclusivi di questa lunga e intensa stagione di riflessione teorica sul significato politico e sociale dell’Illuminismo – che aveva visto Diaz entrare in polemica con Cesare Luporini (1909-1993), Ernesto Sestan, Giorgio Falco e talora con lo stesso Venturi, studiosi accomunati, secondo il suo parere, da una tendenza idealistica di stampo crociano –, era stato il volume Voltaire storico (1958). In questa monografia Diaz esaminò «i nodi fondamentali della concezione storica illuministica e, in particolare […] il problema […] del rapporto tra ispirazione politica e ricostruzione storiografica» (M. Simonetto, Riletture illuministiche: Furio Diaz, «Studi storici», 2009, 2, p. 428). Passando al setaccio l’intera opera storica, e non solo, di Voltaire Diaz ravvisò nel Siècle de Louis XIV (1752) un’interpretazione razionale del progresso, mentre nell’Essai sur les mœurs (1756) individuò l’armamentario teorico attraverso cui Voltaire avrebbe condotto la sua lotta in difesa della libertà e della tolleranza. Pochi anni dopo lo sguardo dello storico livornese assunse una prospettiva più ampia dando alle stampe Filosofia e politica nel Settecento francese (1962), in cui offrì un quadro organico e omogeneo dei rapporti tra la cultura e la politica nella Francia della seconda metà del 18° sec. circa. Ponendo il pensiero illuministico al centro della propria analisi, Diaz giunse alla conclusione che l’efficacia politica della philosophie era stata fondamentalmente irrilevante.
In un altro suo testo di notevole rilievo, Dal movimento dei lumi al movimento dei popoli (1986), affrontò il problema della rappresentanza, ritenendo che Montesquieu, sostenitore del rafforzamento del potere dei corpi intermedi, aveva portato avanti un progetto di conservazione illuminata.