Abstract
Il furto consiste nella sottrazione della cosa mobile altrui in danno di chi la detiene e nell’indebito impossessamento della stessa mediante l’instaurazione di un potere di signoria con cui l’agente ne dispone autonomamente, fuori dalla sfera di sorveglianza della vittima. Le modalità esplicative giustificano la previsione, oltre che di specifiche circostanze aggravanti ed attenuanti, di distinte figure di minore o maggiore disvalore rispetto all’ipotesi di cui all’art. 624 c.p.
Il furto, inserito nel codice tra i reati contro il patrimonio commessi mediante violenza sulle cose, pur configurabile a prescindere da tale modalità lesiva, integra un delitto ad aggressione unilaterale del patrimonio (Mantovani, F., Diritto penale, parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2009, 11; Pecorella, G., Furto (diritto penale - furto comune), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 333), inteso nell’accezione c.d. giuridico-funzionale, quale complesso dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona, aventi ad oggetto beni strumentali al soddisfacimento di bisogni umani, materiali o spirituali (Mantovani, F., Patrimonio (delitti contro il), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 2 ss.).
L’interesse giuridico tutelato è l’esercizio di un diritto (proprietà, diritti reali, diritti personali di godimento) o di un potere di fatto (possesso) sulla res, oggetto materiale della sottrazione, da parte di chi la detiene (Antolisei, F., Manuale di diritto penale, parte speciale, I, a cura di C.F. Grosso, Milano, 2008, 297).
Trattasi di un reato comune, potendo essere commesso da chiunque.
Profili sistematici escludono il furtum rei propriae, risultando le condotte illecite del proprietario represse con minore rigore (cfr. artt. 627, 334, 388 e 393 c.p.).
Soggetto passivo è il titolare del diritto o della relazione d’interesse giuridicamente rilevante con la cosa sottratta.
Oggetto materiale del reato è la cosa mobile altrui. Secondo una nozione più ampia rispetto a quella dell’art. 812 c.c. che ne valorizza la destinazione d’uso, equivalente al profitto tratto da chi illecitamente se ne impossessa, per cosa mobile s’intende ogni entità fisica atta a soddisfare un’esigenza umana, suscettibile di detenzione, sottrazione, impossessamento ed appropriazione (Cass. pen., sez. II, 11.5.2010, n. 20647, in CED Cass. n. 247271). Rientrano in tale categoria anche i beni immobili mobilizzabili (Cass. pen., sez. IV, 26.5.2009, n. 26678, in CED Cass. n. 244801), l’energia elettrica e le altre energie aventi valore economico (art. 624, co. 2, c.p.). Restano esclusi i diritti, i beni immateriali ed i dati informatici (Fiandaca G.-Musco, E., Diritto penale, parte speciale, II, t. II, I delitti contro il patrimonio, Bologna, 2008, 28).
Stante il requisito dell’altruità, la fattispecie non può concernere le res nullius, le res communis omnium se considerate nella loro totalità e le res derelictae.
L’impossessamento delle cose smarrite integra, invece, l’art. 647 c.p.
La condotta consta della sottrazione, ossia della privazione della disponibilità materiale della res a chi la detiene (Aprile, E., Art. 624. Furto in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio. Libro II Artt. 624-649, Milano, 2010, 4 ss.) attraverso l’interruzione della relazione giuridica o della situazione di fatto sulla stessa esercitata, seguita dall’impossessamento e, quindi, dall’illecita acquisizione da parte dell’agente di un autonomo potere di signoria (Baccaredda Boy, C.-Latomia, S., I delitti contro il patrimonio mediante violenza, in Marinucci, G.-Dolcini, E., a cura di, Trattato di diritto penale, parte speciale, VIII, Padova, 2010, 34).
Si richiede la coscienza e volontà di sottrarre e d’impossessarsi della cosa mobile altrui al fine di profitto per sé o per altri (dolo specifico), ossia di percepirne un’utilità diretta, di carattere anche non economico.
Il furto è integrato dalla realizzazione dell’impossessamento. È sufficiente che la cosa mobile altrui passi, anche solo temporaneamente, dalla disponibilità del detentore a quella del ladro (Cass. pen., sez. V, 27.11.2008, n. 7047, in CED Cass. n. 242963).
Nei supermercati con sistema a self-service si perfeziona con l’apprensione e l’occultamento della merce, salvo che l’avente diritto o persona da lui incaricata abbia sorvegliato l’intera azione furtiva, così da poterla interrompere in qualsiasi momento, ricorrendo in tal caso solo il tentativo (Cass. pen., sez. V, 20.12.2010, n. 7042, in CED Cass. n. 249835).
È inapplicabile al tentativo di furto l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p., non rappresentando il danno patrimoniale un elemento costitutivo del reato (Cass. pen., sez. V, 27.1.2010, n. 11923, in CED Cass. n. 246556), come pure la circostanza della riparazione del danno che presuppone la consumazione del delitto e l’evento lesivo conseguente alla sottrazione (Cass. pen., sez. IV, 30.11.2011, n. 47500, in CED Cass. n. 251741).
Il furto si distingue dal reato di cui all’art. 646 c.p. che ipotizza il preesistente possesso della cosa altrui (Cass. pen., sez. VI, 10.5.2007, n. 32543, in CED Cass. n. 237175).
Il discrimen con il delitto di rapina si coglie nella direzione teleologica della violenza (Cass. pen., sez. II, 11.11.2010, n. 41464, in CED Cass. n. 248751), mentre il reato di cui all’art. 707 c.p. deve ritenersi assorbito se il possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli è connesso all’uso fattone per integrare il furto (Cass. pen., sez. V, 19.2.2010, n. 19047, in CED Cass. n. 247150).
Trattasi di reato di competenza del Tribunale monocratico, collegiale se ricorre l’aggravante di cui all’art. 4, co. 2, l. 8.8.1977, n. 533. La procedibilità è a querela della persona offesa, salvo che sussista una o più delle circostanze di cui agli artt. 61 n. 7 e 625 c.p.
L’art. 624 bis c.p., introdotto dall’art. 2 l. 26.3.2001, n. 128, rispondendo ad una scelta di politica criminale volta a fronteggiare recrudescenti forme di criminalità, delinea, quali autonome figure di reato, le circostanze aggravanti ex ante previste dall’art. 625, co. 1, nn. 1 e 4, c.p., ossia il furto in appartamento ed il cd. scippo, che, oltre al patrimonio, ledono la sfera personale della vittima (Aprile, E., Art. 624 bis Furto in abitazione e furto con strappo, in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio, Libro II Artt. 624-649, cit., 53).
Tipizzate alla stregua del furto semplice, se ne distinguono per gli elementi specializzanti.
Al co. 1 l’art. 624 bis c.p. prevede l’ipotesi del furto in abitazione che richiede, quale quid pluris, un nesso finalistico tra l’ingresso nell’abitazione e l’impossessamento della cosa mobile altrui (Cass. pen., sez. V, 15.12.2009, n. 14868, in CED Cass. n. 246886).
Non ricorre qualora l’agente sia entrato con il consenso della vittima, salvo che l’abbia carpito con inganno (Cass. pen., sez. V, 2.3.2010, n. 13582, in CED Cass. n. 246902), ovvero che, autorizzato ad accedere ad una parte dell’abitazione, abbia commesso il furto in uno spazio distinto (Trib. Milano, 3.7.2001, in Foro ambr., 2002, 22).
Il reato deve consumarsi in «un edificio o in un altro luogo destinato in tutto o in parte a privata dimora o nelle pertinenze di essa». Per privata dimora s’intende non solo l’ambito in cui un soggetto conduce la propria vita domestica, ma anche quello in cui esercita, pur in modo transitorio e contingente, ulteriori e diverse attività di vita privata (Cass. pen., sez. V, 15.2.2011, n. 10187, in CED Cass. n. 249850). L’espresso richiamo alle pertinenze dissipa le incertezze emerse in passato sulla rilevanza delle appartenenze (Cass. pen., sez. V, 5.7.2010, n. 33993, in CED Cass. n. 248421).
Rispetto alla pregressa disciplina non rileva la condotta di chi, introdottosi legittimamente in taluno di detti luoghi, vi si trattenga per commettere un furto, ravvisandosi in tale ipotesi il concorso del furto semplice con la violazione del domicilio.
Al co. 2 la norma tratteggia il furto con strappo (cd. scippo) che si concreta nel sottrarre la cosa di mano o di dosso alla persona, riducendone la resistenza con un colpo improvviso più o meno violento sulla res (Dolcini, E.-Marinucci, G., Art. 624 bis Furto in abitazione e furto con strappo, in Codice penale commentato, III, III ed., Milano, 6132).
Al co. 3 è prevista, per entrambe le ipotesi di reato, la reclusione da tre a dieci anni e la multa da euro 206 ad euro 1.549 qualora ricorrano una o più aggravanti di cui dall’art. 625, co. 1, c.p. ovvero una o più circostanze dell’art. 61 c.p. La stessa pena detentiva era comminata ex ante per il concorso, unitamente alle circostanze dell’aver commesso il fatto introducendosi in abitazione o con strappo, di una o più aggravanti dell’art. 625 c.p. La differenza si coglie nel bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti concorrenti, dovendosi applicare le pene previste dall’art. 624 bis c.p.
Il dolo richiede la coscienza e volontà, nell’ipotesi di cui al co. 1, di introdursi in un luogo destinato ad altrui privata dimora o nella pertinenza di essa e, in quella di cui al co. 2, di strappare la cosa di mano o di dosso alla persona, con la finalità di trarne profitto per sé o per gli altri (dolo specifico) (Aprile, E., Art. 624 bis. Furto in abitazione e furto con strappo, cit., 63).
Essendo due figure delittuose autonome è possibile il concorso e la continuazione tra le medesime.
Trattasi di reati procedibili d’ufficio, di competenza del Tribunale monocratico.
L’aggravante enunciata al n. 1 «se il colpevole, per commettere il fatto, si introduce o si trattiene in un edificio o in un altro luogo destinato ad abitazione» è stata abrogata dall’art. 2, co. 3, lett. b), l. 26.3.2001, n. 128.
La ratio della circostanza di cui al n. 2, che ricorre quando l’agente utilizza violenza sulle cose o si avvale di un qualsiasi mezzo fraudolento, si rinviene nella minorata difesa delle cose sottratte e nella maggior intensità del dolo (Pecorella, G., Furto (diritto penale - furto comune), cit., 372).
La nozione di violenza sulle cose si desume dall’art. 392, co. 1, c.p., mentre per mezzo fraudolento s’intende ogni strumento idoneo ad eludere gli ostacoli che si frappongono fra l’autore ed il bene (Cass. pen., sez. IV, 27.4.2006, n. 24232, in CED Cass. n. 234516).
La circostanza può concorrere con quella di cui all’art. 625, n. 7, c.p.
L’aggravante di cui al n. 3 si configura se l’agente porta indosso armi o narcotici che, ove necessario, potrebbe adoperare per commettere il furto.
Per la definizione di armi si richiamano gli artt. 585 c.p., 42 t.u.l.p.s., 1 e 2 l. 18.4.1975, n. 110, mentre i narcotici sono sostanze che ingenerano sonnolenza, insensibilità o inerzia tale da togliere o da diminuire la capacità di difesa o di reazione. Mezzi offensivi che non debbono essere usati, configurandosi altrimenti la rapina o l’estorsione.
La residuale ipotesi disciplinata dall’art. 625, co. 1, n. 4, c.p. sussiste qualora il fatto venga cagionato con destrezza e punisce la peculiare abilità dimostrata dall’autore nell’approfittare di una qualsiasi situazione idonea a rendere l’azione furtiva non percepibile dalla vittima (Cass. pen., sez. IV, 20.5.2009, n. 31973, in CED Cass. n. 244861).
La circostanza al n. 5, che si riscontra quando il furto è commesso da tre o più persone, ovvero anche da una sola, travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, si fonda sulla maggior efficacia dell’azione criminosa.
Il comune presupposto delle ipotesi ivi comprese ne preclude il concorso formale.
La prima concerne ogni forma di partecipazione al reato (Cass. pen., sez. V, 9.3.2011, n. 13566, in CED Cass. n. 250169).
La seconda consta dell’alterazione da parte dell’agente delle proprie sembianze, per renderne difficile il riconoscimento, durante la commissione del fatto, diversamente integrandosi l’ipotesi di cui all’art. 625, co. 1, n. 2 c.p.
La terza consiste nell’uso indebito della qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.) (Cass. pen., sez. V, 7.5.2002, n. 21531, in CED Cass. n. 222452) e non nell’abuso della stessa, integrandosi altrimenti l’art. 61, n. 9, c.p.
L’aggravante di cui al n. 6, che sussiste qualora il furto venga commesso sul bagaglio dei viaggiatori, in ogni specie di veicoli, in stazioni, scali o banchine, alberghi o in altri esercizi ove si somministrino cibi o bevande, afferisce ad una minore possibilità di vigilanza da parte del danneggiato dal reato. Richiede che la vittima sia una persona che si muove da un luogo all’altro con qualsiasi mezzo di trasporto e che il fatto avvenga nei luoghi tassativamente indicati.
Il fondamento della circostanza al n. 7, ravvisabile ove il furto sia commesso su cose esistenti in uffici o stabilimenti pubblici, o sottoposte a sequestro o a pignoramento, o esposte per necessità o per consuetudine alla pubblica fede o, ancora, destinate a pubblico servizio o a pubblica utilità, difesa o referenza, si coglie nel maggior rispetto dovuto a determinati beni, in funzione della loro destinazione (Cass. pen., sez. V, 14.12.2011, n. 12144, in CED Cass. n. 252165).
La prima ipotesi, in cui la natura dei luoghi indicati, con cui le cose devono avere un legame non occasionale o fortuito, discende dall’attività ivi svolta, può concorrere con le aggravanti dell’art. 61, nn. 9 e 11, c.p., ma non con quella prevista dall’art. 625, co. 1, n. 6, c.p.
La seconda, concernente il furto di cose sottoposte a sequestro o pignoramento, si distingue dal reato di cui all’art. 334 c.p. che richiede una peculiare qualità dell’agente (custode) ed un diverso dolo specifico (favorire il proprietario della cosa).
L’aggravante del furto di cose esposte alla pubblica fede per necessità, per consuetudine o per destinazione riguarda situazioni equipollenti che non possono contestualmente concorrere. Ricorre quando la res si trovi in luoghi pubblici, privati aperti al pubblico o facilmente accessibili (Cass. pen., sez. IV, 26.10.2010, n. 41561, in CED Cass. n. 248455), anche qualora vi siano forme di sorveglianza saltuaria (Cass. pen., sez. V, 22.1.2010, n. 8019, in CED Cass. n. 246159) o strumenti di custodia (Cass. pen., sez. V, 18.11.2009, n. 9224, in CED Cass. n. 246882).
L’esposizione alla pubblica fede per necessità si valuta in relazione alle peculiari circostanze che inducono il derubato a lasciare le cose fuori della diretta vigilanza (Cass. pen., sez. V, 29.9.1993, n. 10298, in CED Cass. n. 195554), mentre quella per consuetudine corrisponde alla pratica, rientrante negli usi e nelle abitudini sociali, di lasciare incustoditi beni, in determinate situazioni (Cass. pen., sez. V, 19.3.2008, n. 14305, in CED Cass. n. 239488).
Ricorre l’esposizione alla pubblica fede per destinazione nei casi in cui la res sia esibita al pubblico in ragione della propria natura o per l’uso a cui serve (Cass. pen., sez. V, 23.9.2010, n. 39631, in CED Cass. n. 248656). È escluso il concorso con la circostanza di cui all’art. 61, n. 5, c.p.
Si rinviene l’aggravante del furto di cose destinate al pubblico servizio in presenza di beni diretti al soddisfacimento di interessi collettivi (Cass. pen., sez. V, 17.1.2011, n. 13659, in CED Cass. n. 250163), mentre la destinazione a pubblica difesa si ha quando la cosa sottratta è posta a salvaguardia della pubblica incolumità o della comune sicurezza.
Costituisce, infine, pubblica reverenza l’atteggiamento di rispetto per cose che evocano il soprannaturale, il mistero dell’aldilà o simboleggiano le più alte idealità del consorzio civile.
L’aggravante di cui al n. 8, che ricorre se il fatto è commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria, mira a garantire una maggiore protezione alla pastorizia, all’agricoltura e alla zootecnia.
Può concorrere con quella prevista dall’art. 625, co. 1, n. 2, c.p.
Le circostanze di cui ai nn. 8-bis ed 8-ter sono state introdotte dall’art. 3, co. 26, l. 15.7.2009, n. 94. La prima si rinviene laddove il furto venga commesso all’interno dei mezzi di trasporto pubblico, in cui l’offerta del servizio è rivolta ad una generalità di utenti. Può applicarsi congiuntamente all’aggravante di cui all’art. 625, co. 1, n. 4, c.p., ma non con quella di cui al n. 6.
La seconda, configurabile qualora il fatto risulti integrato nei confronti di una persona che si trovi nell’atto di fruire, ovvero abbia appena usufruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, punisce i furti commessi in situazioni di particolare vulnerabilità della vittima che, nel compiere operazioni bancarie o nell’utilizzare denaro o valori, è maggiormente esposta al pericolo ed alla difficoltà di proteggere i propri beni.
Può applicarsi in concorso con l’art. 625, co. 1, n. 4, c.p. ed aggravare il furto con strappo.
Al co. 2 l’art. 625 c.p. prevede che qualora concorrano due o più circostanze di cui al co. 1, ovvero una di esse concorra con altra tra quelle indicate nell’art. 61 c.p., si applichi un solo aumento di pena (reclusione da tre a dieci anni e multa da euro 206 a euro 1.549).
Parimenti si procede nel caso di concorso di una o più circostanze previste dall’art. 625 c.p. con più aggravanti di cui all’art. 61 c.p.
L’art. 4 l. 8.8.1977, n. 533, modificato dall’art. 10 l. 26.3.2001, n. 128 con l’inserimento, tra l’altro, di un’attenuante speciale per il fatto di lieve entità (co. 4), ha previsto un’aggravante per il furto di armi, munizioni ed esplosivi da armerie, depositi ed altri luoghi in cui sono custoditi.
L’art. 2, co. 2, l. 26.3.2001, n. 128 ha introdotto con l’art. 625 bis c.p. una circostanza attenuante speciale di natura premiale che riconosce la riduzione della pena da un terzo alla metà in favore di chi, avendo commesso una delle ipotesi di furto di cui agli artt. 624, 624 bis e 625 c.p., prima del giudizio, consenta l’individuazione dei correi o di coloro che hanno acquistato, ricevuto od occultato la cosa sottratta o si sono, comunque, intromessi per farla acquistare, ricevere od occultare (Aprile, E., Art. 625 bis. Circostanze attenuanti, in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio, Libro II Art. 624-649, cit., 110).
Si è inteso cioè bilanciare il maggiore rigore punitivo con il riconoscimento di un beneficio volto alla dissociazione ed alla collaborazione operosa.
Ricorre sia nelle ipotesi di furto in concorso, che in quelle monosoggettivamente integrate, laddove sia seguita la ricettazione della refurtiva.
L’impiego della disgiunzione «o» ne permette il riconoscimento anche ove l’imputato si limiti ad offrire elementi per l’identificazione di un ricettatore e non anche di un correo e viceversa (Dolcini, E.-Marinucci, G., Art. 625 bis Circostanze attenuanti, in Codice penale commentato, III, III ed., cit., 6164), purché il suo contributo sia determinante.
Il richiamo all’art. 625 c.p. comporta una deroga all’art. 69 c.p. per il concorso eterogeneo di circostanze, operando la riduzione da un terzo alla metà sulla pena aumentata in forza dell’aggravante speciale.
L’art. 626 c.p. prevede tre figure minori di furto.
L’ipotesi di cui al n. 1 (cd. furto d’uso) consiste, come il furto semplice, nell’impossessamento della cosa mobile altrui, ma richiede due ulteriori elementi essenziali: il fine esclusivo di fare uso momentaneo della res sottratta e la restituzione, dopo l’uso, della stessa (Aprile, E., Art. 626. Furti punibili a querela dell’offeso in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio, Libro II, Art. 624-649, cit., 116). La fruizione momentanea deve essere destinata al soddisfacimento di un bisogno contingente dell’autore ed implica – stante l’incidenza dell’impossessamento sull’altrui rapporto di detenzione – che la cosa sia rimossa per un certo tempo e per un’apprezzabile distanza dal luogo in cui si trovava.
Oggetto materiale del reato sono le cose infungibili e non consumabili.
Sotto il profilo dell’elemento psicologico, oltre alla coscienza e volontà d’impossessarsi di un bene altrui per farne un uso momentaneo, occorre il fine di trarne profitto (dolo specifico).
Il momento consumativo del reato coincide con la restituzione. È configurabile il tentativo (Dolcini, E.-Marinucci, G., Art. 626 Furti punibili a querela dell’offeso, in Codice penale commentato, III, III ed., cit., 6169).
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la norma nella parte in cui non ne estende la disciplina all’omessa restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore, per violazione dell’art. 27, co. 1, Cost. (C. cost., 13.12.1988, n. 1085, in Foro it., 1989, I, 1378).
La previsione di cui al n. 2 (cd. furto lieve da bisogno) indica, oltre ai requisiti tipici del furto, due elementi specializzanti che ne giustificano la più lieve offensività, ossia il tenue valore della cosa sottratta e la finalità perseguita dall’autore di soddisfare un grave ed urgente bisogno (Dolcini, E.-Marinucci, G., Art. 626 Furti punibili a querela dell’offeso, cit., 6170). Bisogno che consiste nell’impellente necessità, derivante da uno stato d’indigenza attinente alle fondamentali ed elementari esigenze di vita, tale da esporre ad un gravissimo pericolo la propria o l’altrui persona (Cass. pen., sez. IV, 8.7.2008, n. 33307, in CED Cass. n. 242117).
L’elemento soggettivo si connota per lo scopo di provvedere ad un grave ed urgente bisogno, la cui erronea supposizione determina l’applicazione analogica dell’art. 59, co. 3, c.p.
Tale figura è incompatibile con l’aggravante dell’art. 61, n. 7, c.p. e si distingue dal furto attenuato ai sensi dell’art. 62, n. 4, c.p. per il fine sotteso all’impossessamento della cosa di tenue valore.
Con l’ipotesi di cui al n. 3 (cd. spigolamento abusivo) si tutela il possesso dei residui prodotti vegetali sfuggiti alla raccolta, punendo in modo attenuato il furto se il fatto consiste nello spigolare (raccogliere le spighe rimaste nel campo dopo la mietitura), nel rastrellare (raccogliere con il rastrello gli avanzi dell’erba falciata) o nel raspollare (raccogliere i grappoli d’uva sfuggiti alla vendemmia).
Ricorre allorquando il fatto abbia ad oggetto i suddetti prodotti (il cui valore non rileva, salvo che per l’applicabilità degli artt. 61, n. 7 o 62, n. 4, c.p.) e sussistano determinate condizioni di luogo (terreni altrui soggetti a coltura agraria, orticola o naturalmente produttivi) e di tempo (dall’inizio del raccolto sino all’asportazione).
L’elemento psicologico non differisce dal furto semplice.
Per incompatibilità con la ratio posta a fondamento del correlato minore rigore sanzionatorio, l’art. 626, ult. co., c.p. esclude la ravvisabilità di tali fattispecie se concorre una delle aggravanti di cui ai nn. 1, 2, 3 e 4 dell’art. 625, co. 1, c.p.
Trattasi di reati procedibili a querela della persona offesa, di competenza del Giudice di pace e, se ricorrono le ipotesi aggravate di cui all’art. 4, co. 3, d.lgs. 28.8.2000, n. 274, del Tribunale monocratico.
L’art. 627 c.p. delinea un’autonoma figura di reato che ricalca il furto comune, stante l’elemento dell’impossessamento della cosa in danno di chi la detiene, differenziandosene nel richiedere che il soggetto attivo, in qualità di comproprietario, socio o coerede, vanti un diritto sulla totalità della res, limitato dall’uguale diritto degli altri comproprietari, soci o coeredi (Mantovani, F., Sottrazione di cose comuni, in Nss.D.I., XVII, Torino, 1957, 1021).
Il minor disvalore che giustifica il più mite trattamento punitivo deriva dal rapporto intercorrente tra l’agente ed il soggetto passivo, risultando il bene tutelato in parte (cd. quota) di proprietà dell’autore della sottrazione (Aprile, E., Art. 627. Sottrazione di cose comuni, in Lattanzi, G.-Lupo, E., a cura di, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, XII, I delitti contro il patrimonio, Libro II Artt. 624-649, cit., 130).
Trattasi di un reato proprio, realizzabile solo da uno dei soggetti ivi tassativamente indicati che si appropria di cose non possedute, né detenute, ravvisandosi altrimenti il delitto di cui all’art. 646 c.p. (Cass. pen., sez. II, 26.4.1996, n. 4316, in CED Cass. n. 204757).
Oggetto materiale della condotta è la cosa mobile comune in relazione a tre tipi di comunione: comproprietà, società ed eredità. Comune è la res che spetta a più individui che singolarmente vantano un diritto sulla totalità della stessa limitato, nel contenuto, dal medesimo diritto degli altri.
Il termine socio è rivolto ai membri delle società di persone (in relazione ai quali è configurabile la comproprietà dei beni conferiti) e non a quelli delle società di capitali che, in quanto dotate di personalità giuridica, costituiscono soggetto giuridico distinto dai singoli partecipanti (Cass. pen., sez. V, 13.6.1996, n. 2954, in CED Cass. n. 205596).
Dall’autonomia della fattispecie discende l’applicabilità dell’art. 117 c.p. nei confronti del concorrente estraneo che ignori la qualità dell’autore, nonché il mancato riconoscimento delle aggravanti speciali di cui all’art. 625 c.p. e l’integrazione del reato in caso di errore di fatto sulla natura comune delle cose sottratte (ex art. 47 c.p.).
Si richiede, altresì, la coscienza e volontà dell’impossessamento mediante sottrazione del bene comune unitamente al fine di profitto per sé o per altri (dolo specifico).
Il momento consumativo del reato coincide con l’impossessamento della cosa. Il tentativo è configurabile.
Al co. 2 é esclusa la punibilità per chi sottrae cose fungibili il cui valore non ecceda la quota di spettanza. La ratio di tale condizione di non punibilità (Cass. pen., sez. II, 17.2.2005, n. 11024, in CED Cass., n. 231340) si rinviene nel fatto che si lede il diritto accessorio alla divisione concordata, senza trasformare la comunione nella signoria esclusiva che la norma mira ad evitare.
Sono fungibili le cose surrogabili con esemplari equipollenti.
Il reato, procedibile a querela della persona offesa, è di competenza del Giudice di pace e, ove ricorrano le ipotesi aggravate di cui all’art. 4, co. 3, d.lgs. 28.8.2000, n. 274, del Tribunale monocratico.
Art. 624, 624 bis, 625, 625 bis, 626 e 627 c.p.
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