Futurismo
di Pär Bergman e Maurizio Calvesi
FUTURISMO
Futurismo letterario di Pär Bergman
sommario: 1. Osservazioni preliminari. 2. Il futurismo italiano: a) presupposti; b) il futurismo italiano prima della grande guerra; c) alcuni tratti peculiari del futurismo italiano; d) il futurismo in Europa occidentale. 3. Il futurismo russo: a) presupposti; b) il primo periodo del gruppo Gileja; c) l'egofuturismo e il Mezonin Poezii; d) il cubofuturismo (Gileja); e) regresso; f) alcune precisazioni. □ Bibliografia.
1. Osservazioni preliminari
Il futurismo è in origine un movimento letterario italiano, fondato da F. T. Marinetti agli inizi del 1909. Poiché Marinetti era bilingue e operava a Parigi, oltre che a Milano, il suo movimento è chiamato talvolta futurismo italo-francese. Il termine futurismo indica anche alcune avanguardie poetiche russe, che in qualche misura s'ispirarono alle teorie di Marinetti (futurismo russo) e che, con i loro maggiori rappresentanti, crearono opere di gran lunga superiori, per dignità letteraria, a quelle dei futuristi italiani. Non si ebbero altrove veri e propri movimenti futuristi, ma i termini ‛futurismo' e ‛futurista' sono stati spesso usati, in un senso più lato, anche a proposito di scrittori nelle cui opere prevalessero l'entusiasmo giovanile, la fiducia nell'avvenire, una visione dinamica della vita, l'avversione alle tradizioni e alle autorità e, contro il vecchio patrimonio culturale, s'inneggiasse alle manifestazioni della vita moderna e specialmente alle ultime conquiste della tecnica. Tali atteggiamenti coincidevano spesso con l'esigenza d'innovazioni formali in quanto, si sosteneva, un contenuto moderno richiede una forma radicalmente nuova. Prima della grande guerra, ma talvolta anche dopo, pure questi ‛futuristi' s'ispirarono spesso, direttamente o indirettamente, alle idee di Marinetti.
In questo articolo verrà esaminato il futurismo letterario in Italia e in Russia. Come limiti cronologici possiamo assumere lo scoppio della prima guerra mondiale per il futurismo italiano e la Rivoluzione d'ottobre per quello russo. Dopo queste date, i due movimenti ma naturalmente non sempre i singoli autori perdono la loro vitalità, i loro tratti futuristi, il loro rilievo internazionale, acquistando invece una più spiccata fisionomia politica. Marinetti continua a pubblicare una lunga serie di manifesti, che però sempre più raramente trovano risonanza fuori dai confini d'Italia e hanno spesso scarso rapporto con la letteratura. Continuare a usare il termine futurismo per un'arte ufficiale filofascista, borghese e reazionaria - Marinetti divenne accademico d'Italia nel 1929 - vorrebbe dire sottrarre al termine ogni plausibile motivazione etimologica. Dopo la Rivoluzione d'ottobre, molti scrittori futuristi russi, fra cui Majakovskij, salutarono con entusiasmo i nuovi ideali, ma il ‛comfuturismo', per fare un esempio, si discosta così decisamente dal precedente futurismo russo, tanto nei contenuti quanto nelle forme, che anche in questo caso il termine futurismo perde molte delle sue connotazioni originarie. I futuristi ortodossi, dal canto loro, non forniranno più al dibattito estetico-letterario contributi degni di rilievo. Quanto la nozione stessa di futurismo fosse ormai svuotata di senso risulta chiaro se si riflette che tale termine viene ormai usato per indicare tanto una letteratura fascista quanto una socialista.
2. Il futurismo italiano
a) Presupposti
Paradossalmente, si può dire che il futurismo è un tipico fenomeno di reazione, il quale trova la sua origine nella discrepanza esistente fra realtà e poesia in un dato momento storico. Intorno al 1900 la letteratura occidentale, e specialmente la poesia, è dominata dal simbolismo: corrente, nel suo complesso, trasognata, nostalgica, negativa nei confronti della realtà materiale circostante. Il progresso tecnico è ignorato e solo eccezionalmente si dà spazio, in letteratura, a motivi moderni. Ma questo è anche il periodo in cui la stampa e la letteratura popolare descrivono entusiasticamente, in uno spirito materialistico-evoluzionistico, i nuovi successi della tecnica che rendono piccolo il globo e permettono all'uomo di dominarlo: con accenti nietzschiani si lodano gli automobilisti sportivi e i pionieri del volo, si esalta la vita attiva, dinamica (tipica della ‛mentalità americana') e la forte umanità moderna che vive nelle megalopoli, ebbra di elettricità, di telegrafia senza fili, di cinematografia, delle nuove macchine e delle loro folli velocità: secondo i giornalisti, i corridori automobilisti ‛perforano lo spazio' e ‛sfrecciano come sparati da un cannone'. Sono gli anni dei fratelli Wright e di Blériot. Sono questi aspetti della realtà che forniscono al futurismo lo stimolo più importante. Più che i letterati, sono i divulgatori, gli entusiasti filosofi improvvisati a influenzare Marinetti. Più che Du Camp, Whitman, Verhaeren, Romains, Adam, D'Annunzio e altri che, prima di Marinetti o contemporaneamente a lui, avevano inneggiato - ma con moderazione - al Moderno, è M. Morasso, il profeta del motore a scoppio, che riecheggia nei manifesti letterari di Marinetti: colui cioè che con La nuova arma (1905) e Il nuovo aspetto meccanico del mondo (1907) aveva salutato ‟l'uomo della velocità" (il wattman) e predicato la nuova ‟estetica della velocità", da cui sarebbero nate opere paragonabili alla Vittoria di Samotracia.
Circa le ‛parole in libertà' e le altre teorie tecnico-letterarie è probabile invece che gli esperimenti linguistici dei simbolisti abbiano, almeno indirettamente, svolto un ruolo importante: così per es., le teorie di Mallarmé sulle analogie, l'apparente anarchismo linguistico di Rimbaud e la sua immaginosa lingua ‛senza fili', il sogno - di R. Ghil e di altri simbolisti - di creare l'art total e via di seguito. Il tentativo dei simbolisti - introversi - di dare una forma sfumata, poetica, al sogno, al mondo interiore, all'irrealtà, è però sostituito dalla concretissima raffigurazione che gli estroversi futuristi danno della realtà circostante. I paroliberisti portano a termine, in modo inaspettato ma radicale, il lavoro iniziato dai versiliberisti.
Che nel poeta simbolista F. T. Marinetti fosse così forte la reazione contro il simbolismo può essere in parte spiegato con i suoi anni in Egitto e con il contrasto, da lui vissuto intensamente, fra il clima ‛da mummie e da museo' proprio dell'Egitto e dell'Italia, e quello della Parigi moderna e della Milano industriale, dove egli dal 1905 pubblica il periodico simbolista internazionale ‟Poesia". Prima della fondazione del futurismo, a parte alcuni scritti insignificanti e un paio di lavori che mostrano la sua ambivalenza nei confronti di D'Annunzio, Marinetti pubblica La conquête des étoiles - poème épique (1902), Destruction - poèmes lyriques (1904), il volume La ville charnelle (1908) e Le Roi Bombance, rabelaisiana satira gastronomica. Queste opere sono fortemente colorate di parnassianesimo, simbolismo, decadenza e mostrano la profonda conoscenza che l'autore aveva dell'Oriente; ma sono al contempo spiccatamente antintellettualistiche e aggressive, e inneggiano talvolta ad aspetti della vita moderna. Nella poesia ditirambica A mon Pégase, stampata la prima volta in ‟Poesia" nell'agosto 1905 con il titolo A l'automobile, si saluta con entusiasmo la nuova musa del poeta, l'automobile, ma, anche se vi si avverte una certa ebbrezza della velocità, la poesia è ancora avvolta in pieghe simboliste e le immagini ricordano il Parnasse. Nel poema in prosa La mort tient le volant, pubblicato per la prima volta nei numeri ottobre-gennaio di ‟Poesia" (1907-1908) con il titolo Le circuit de la jungle e ispirato alle gare automobilistiche di Brescia, l'entusiasmo di Marinetti si approssima alquanto alla realtà, diviene meno idealistico (il poeta, del resto, aveva quell'anno acquistato un'automobile). L'ebbrezza della velocità è certamente un elemento nuovo, sebbene i legami con la tradizione simbolista rimangano rilevanti. Comunque, è possibile che l'opera sia stata sentita come programmatica: il dio della nuova era, la Velocità, attacca la vecchia poesia simbolista, segnata e posseduta dalla morte. Secondo noi, fu la lettura dell'opera già citata di Morasso che portò Marinetti a rompere definitivamente e apertamente con il simbolismo e ad accettare i prodigi tecnici della realtà moderna.
b) Il futurismo italiano prima della grande guerra
La nascita del futurismo letterario può essere datata al 20 febbraio del 1909, quando ‟Le Figaro", in prima pagina, pubblicò Fondation et manifeste du futurisme, firmato da F. T. Marinetti e recante, come la maggior parte dei successivi manifesti futuristi, la data del giorno 11. In una versione italiana del libro Le futurisme (1911), Marinetti scrive di aver compreso, l'11 ottobre del 1908, che l'attività di ‟Poesia" fino a quei momento e il simbolismo in genere non erano più soddisfacenti, e che era ormai necessario ‟scendere nelle vie". Il Manifesto venne scritto presumibilmente nel dicembre del 1908, e presentato a Milano, intorno al Capodanno 1909, a P. Buzzi, E. Cavacchioli e forse a O. Vecchi e al siciliano F. De Maria. È probabile che alla memorabile notte descritta nell'introduzione del Manifesto fosse presente anche D. Cinti, segretario di Marinetti e di ‟Poesia". A. Mazza, R. Mannoni e A. Palazzeschi aderirono assai per tempo al gruppo e a ‟Poesia" fu aggiunto il sottotitolo ‟Organe du futurisme". Parigi, Milano e Trieste (la questione di Trieste conferisce fin dall'inizio al futurismo una netta connotazione politica) possono essere considerate i luoghi di nascita del futurismo; tatticamente, fu una prova della perspicacia di Marinetti la scelta di Parigi come piattaforma di lancio.
Il termine futurismo - ma solo come denominazione di un atteggiamento politico-sociale - sembra essere stato usato per la prima volta nel 1903 dallo scrittore catalano G. Alomar in El futurisme, presentato dal ‟Mercure de France" in un lungo articolo (1 dicembre 1908), che Marinetti aveva probabilmente letto. Sembra che anche i termini ‛dinamismo' e ‛elettricismo' siano stati presi in considerazione come possibili nomi del movimento; ma, per motivi propagandistici, Marinetti avrebbe invece scelto ‛futurismo', quale denominazione più efficace della ‛sua' scuola (perfino le sue iniziali entrano nel nome FuTurisMo), nonché della ‟nuova formula dell'Arte-azione", che egli da allora comincia a diffondere e che attrae a sé giovani e meno giovani (Marinetti aveva allora 32 anni), entusiasmati dall'avvenire che i futuristi, gli ‛uomini del futuro', ritengono di rappresentare e che consente di sbarazzarsi di ogni vecchiume e di guardare alla realtà circostante con occhi nuovi e disincantati. I nomi d'arte dei futuristi sono eloquenti: Libero Altomare, Luciano Folgore, Auro d'Alba, Dinamo Correnti ecc.!
Ma, se fin dai tempi del manifesto del ‟Figaro" il termine futurismo è usato anche in un'accezione più ampia, per indicare genericamente la ribellione artistica e le nuove tendenze, il futurismo ortodosso dà un'impressione di forte omogeneità, con Marinetti come guida e la redazione di ‟Poesia" con D. Cinti (segretario del movimento) come punto d'incontro. ‟Poesia" pubblica ininterrottamente creazioni futuriste, manifesti e poesie, antologie e numeri propagandistici, spesso con prefazioni di Marinetti; riproduce manifesti, commenti della stampa e dichiarazioni sul futurismo, elenca opere futuriste, presenta i futuristi ortodossi e i sostenitori del futurismo. I manifesti - imperativi, categorici - sono scritti al plurale e vengono spesso firmati da più aderenti. L'omogeneità stilistica si spiega con il fatto che Marinetti, il quale veramente possiede ‛l'arte di far manifesti', li scrive - o almeno li rielabora - personalmente: e sono appunto i manifesti che vengono considerati i suoi migliori prodotti letterari: sin dal primo, sul ‟Figaro", assunto poi a modello dei successivi. In quale misura Marinetti vi lasci il suo segno appare, fra l'altro, se si considera che almeno 18 di essi, precedenti lo scoppio della guerra, sono datati (anche se non firmati da lui) all'undici del mese e hanno spesso undici paragrafi (per es. quello del ‟Figaro" e il primo Manifesto tecnico della letteratura futurista): F. T. Marinetti (11 lettere!) era nato il 22 dicembre e considerava l'11 come il suo numero portafortuna. Inoltre egli mette a disposizione del movimento le sue non trascurabili risorse economiche, indispensabili per l'esistenza stessa della ‛scuola', e cura con moderna efficacia la propaganda: invia rapporti, manifesti e lettere alla stampa; tiene conferenze sul futurismo a ogni occasione; distribuisce volantini; organizza bizzarre serate; utilizza abilmente come strumenti pubblicitari i processi in corso contro opere o esposizioni futuriste; per gran parte dell'anno funge da ambasciatore viaggiante del movimento. In pro del futurismo egli accetta, evidentemente, una visione ‛pragmatica' della verità ma ben pochi debbono aver preso sul serio le sue fantasiose tabelle statistiche sugli adepti, sulle conversioni, sui feriti nel corso delle serate ecc. È in genere degna di nota la forza con cui Marinetti crede al risultato ottenuto, in ogni contesto, mediante semplici addizioni o superlativi, il che lascia certo tracce profonde nella formazione delle sue teorie letterarie e nelle ‛parole in libertà'. Per questo aspetto Marinetti prosegue evidentemente il materialismo positivista dell'Ottocento e fa sua una teoria evoluzionistica delle più banali, in base alla quale, grazie appunto a criteri quantitativi, il presente supera il passato e il futuro il presente. Che poi la sua contemporaneità fosse improntata a una visione dell'uomo di matrice nietzschiana fu certamente di aiuto per la propaganda futurista.
La fanfara di Marinetti non risuona invano ed egli riesce a inquadrare nel suo indirizzo, inizialmente solo poetico, rappresentanti di settori culturali assai diversi. Nel 1914 egli può contare su numerose sezioni futuriste: Poesia, Pittura, Musica, Scultura, Azione femminile, Arte dei rumori, Architettura, Antifilosofia, Antimorale e Politica; e molte altre se ne aggiungeranno in seguito. È evidente la sua ambizione di ricomprendere nel futurismo l'intera gamma delle espressioni del modernismo. Il periodo di massimo splendore del movimento in Italia va all'incirca dal febbraio del 1913 allo scoppio della guerra, quando Papini e Soffici, abbandonando temporaneamente l'asprezza delle precedenti critiche, appoggiano attivamente il futurismo nel corso di provocatorie serate, e aprono ‟Lacerba", che dal 1° gennaio del 1913 esce con periodicità quindicinale, anche ai futuristi di Milano. I fiorentini, ma qui il termine futurismo è usato nel suo senso più largo, hanno in comune con Marinetti una forte insoddisfazione per la situazione letteraria e artistica italiana ed esigono un'arte e una letteratura nuove, non soffocate da vecchie dottrine e liberate dall'autorità del passato. Essi si fanno inoltre banditori di un dinamismo antintellettualistico che prende spunto dall'élan vital di Bergson, dottrina allora assai in voga. Nessuno dei redattori di ‟Lacerba", però, accetta la (riduttiva) interpretazione marinettiana del concetto di futurismo; essi dunque si allontanano quando sentono il peso del dogmatismo di Marinetti e di Boccioni. Gli atteggiamenti ribelli di Papini e la sua furia iconoclasta in ‟Lacerba", le sue stroncature della cultura ufficiale, le sue affermazioni antimoralistiche e antifilosofiche offrono ai futuristi milanesi molti stimoli, specialmente sul problema dell'antipassatismo; Papini, tuttavia, fu sempre critico verso la mania reclamistica di Marinetti, verso il suo materialismo, il suo puerile ottimismo, la sua retorica modernista (‟la retorica da chauffeurs") come anche verso il naturalismo imitativo delle parole in libertà. Quando Soffici e Papini, che distinguono fra marinettismo e futurismo, rompono con il primo e propongono il futurismo nel suo senso più ampio, Palazzeschi si era già allontanato da Marinetti. Del resto, se si prescinde dalla poesia L'incendiario e dal manifesto antitradizionalista Il controdolore, con la sua Umwertung fortemente nietzschiana, non c'è molto di futurista nell'opera di Palazzeschi. Lo stesso vale per G. P. Lucini, che si allontana da Marinetti nella primavera del 1913, dopo che questi aveva tentato invano d'inquadrarlo nella compagine futurista e dopo che ‟Poesia", già nel 1909, aveva ospitato la sua raccolta di poesie Revolverate. Lo scoppio della guerra, esaltando quanto di comune vi era nella visione politica, riunisce nella propaganda interventista gli aderenti alle due correnti, che spesso si arruolano volontari e, in qualche caso, non faranno ritorno dal fronte.
Si è parlato spesso della difficoltà di trovare opere futuriste rappresentative. Gli ortodossi, pedissequi imitatori di Marinetti, non sono scrittori interessanti; quelli più originali non si lasciano costringere negli schemi del futurismo dogmatico teorizzato dal fondatore. Tutto sommato, dunque, del futurismo non rimane che Marinetti: estroverso, antintellettualista, poco profondo ma incredibilmente vitale, dinamico, abile declamatore e propagandista capace, anche economicamente, di diffondere le sue idee. La sua originalità diviene un bene collettivo del movimento, il cui sviluppo s'identifica più o meno con quello del suo capo: per molti aspetti, il futurismo è Marinetti stesso. Lo squilibrio fra teoria e prassi è però stridente. I manifesti dilagano ma le realizzazioni poetiche sono alquanto esili e, se si prescinde dalle ‛parole in libertà', corrispondono raramente alle enunciazioni programmatiche. Per i primi lavori successivi al manifesto sul ‟Figaro", ciò può essere spiegato pensando che essi furono iniziati prima della nascita del futurismo. Questo vale, per es., per Poupées électriques, drame en trois actes (1909), in cui solo la prefazione dedicata a W. Wright ricorda il futurismo, e per il ‛romanzo esplosivo', ambientato nel deserto, Mafarka le futuriste (1909-1910), il cui protagonista, superuomo nietzschiano, guidato dall'istinto e dalla volontà si libera dei pregiudizi sentimentali e passatisti e quindi, grazie a un puro atto di volontà, può generare il figlio Gazourmah che, alla fine del romanzo, detronizza il sole. Nella Bataille de Tripoli, scritto quando Marinetti era corrispondente di guerra in Libia, alla fine del 1911, appaiono le difficoltà che egli trova ad esprimere nella prosa tradizionale le impressioni che d'un tratto aggrediscono l'uomo in una guerra moderna. Più o meno contemporaneo è il grande romanzo politico in versi liberi, Le monoplan du pape, grottesco nel contenuto e con tratti fortemente anticlericali e antiaustriaci. Il papa viene sequestrato sul monoplano futuristico dell'io e costretto a fare esperienza di tutto ciò che in Italia provoca disgusto in un futurista, dopo di che viene gettato ai pescecani nell'Adriatico. L'opera ha parti di grande bellezza lirica, nel contrasto fra uno smisurato bisogno di attività e certe tendenze sentimentali, spesso raccolte intorno all'immagine della madre. La ricchezza verbale, la quantità di sensazioni, la prospettiva aerea promettono comunque uno sviluppo, e l'opera sarà in seguito considerata da Marinetti come il primo tentativo compiuto nel genere artistico futurista dell'aeropoesia.
Nell'estate del 1912 Marinetti compie l'ultimo passo e scrive le sue prime ‛parole in libertà', Battaglia Peso+Odore, probabilmente come risposta alle critiche rivolte al Manifesto tecnico della letteratura futurista (maggio 1912). Ma solo nel febbraio del 1914 Marinetti pubblica un intero volume di ‛parole in libertà', il famoso Zang Tumb Tuuum, ispirato all'assedio di Adrianopoli dell'ottobre del 1912. Il manifesto letterario del maggio 1913 (Distruzione della sintassi - Immaginazione senza fili - Parole in libertà) e il Manifesto tecnico del maggio 1912, con il suo supplemento, fungono da prologo e epilogo. Zang Tumb Tuuum è il verbo del profeta tradotto in realtà, e Marinetti, nel corso dei suoi viaggi propagandistici per convertire il mondo, ne declamava magistralmente dei brani.
Non c'è qui spazio per trattare dei poeti minori del futurismo: P. Buzzi, L. Folgore (pseudonimo di O. Vecchi), E. Cavacchioli, A. d'Alba (pseudonimo di U. Bottone), A. Mazza, L. Altomare (pseudonimo di R. Mannoni), F. De Maria, F. Cangiullo e altri. Probabilmente, solo Folgore e d'Alba pubblicarono manifesti prima della guerra, ma non sembra che Marinetti li considerasse specificamente futuristi.
c) Alcuni tratti peculiari del futurismo italiano
Molto schematicamente, i punti essenziali delle dottrine letterarie del futurismo possono essere riassunti nelle parole d'ordine: futurismo, modernolatria, dinamismo/attivismo, antipassatismo e sensibilità futurista. Il culto del futuro, e le ottimistiche speranze in esso riposte (cioè, futurismo nel suo valore etimologico) comportano l'accettazione delle conquiste più recenti della tecnica moderna (quindi modernolatria, ovvero culto del moderno, quale si manifesta nelle realizzazioni meccaniche e nella velocità; il termine fu creato da Boccioni). Le grandi città moderne e le guerre esigono, e in qualche misura creano, uomini attivi, dinamici (attivismo/dinamismo), che vivono la loro contemporaneità in modo radicalmente diverso dai precedenti e non hanno quindi interesse a scavare nel passato; essi si sentono liberati dalle tradizioni, non riconoscono, e anzi negano violentemente l'autorità, che sbeffeggiano e sentono come appartenente al passato, come ostacolo alla creazione di opere moderne (antipassatismo). La vita convulsa della nuova umanità, la sua nuova ‛sensibilità futurista' producono nuove forme e implicano l'esigenza di una ‛forma' (tecnica) estetica nuova. La lingua, le regole grammaticali e sintattiche tradizionali, che non possono più dare espressione alla realtà, devono essere infrante e sostituite da nuove e libere parole. È in questo contesto che nascono gli slogan futuristi come parole in libertà (PIL), ‟immaginazione senza fili" (ISF) e ‟simultaneità".
Contenuti: antipassatismo - dinamismo/attivismo - modernolatria - sensibilità futurista. - Ciò che più colpiva, già nel manifesto sul ‟Figaro", era l'antipassatismo. Istituire un confronto fra la Vittoria di Samotracia e un'automobile da corsa - e per di più, come appare dal paragrafo 4 del manifesto, a svantaggio della prima - era certo cosa inaudita. Le proposte di distruzione di musei, biblioteche, accademie, che evidentemente non dovevano essere interpretate letteralmente, furono da molti considerate come pura e semplice follia. I critici paragonarono a volte Marinetti a Erostrato e videro in lui il Bakunin, il Marat o il Babeuf della rivoluzione artistica. Egli attacca ripetutamente il ‛clima da museo', raccomanda di vendere i vecchi capolavori famosi conservati in Italia e di comprare cannoni. Venezia, ‟cloaca massima del passatismo", è sottoposta a vere e proprie campagne aggressive e i veneziani vengono esortati a dar fuoco alle gondole. Con argomentazioni dello stesso tipo, l'ira futurista aggredisce Roma, Firenze, Parma, si scaglia contro ogni inclinazione romantica, esotica, sentimentale, contro le rappresentazioni stereotipe della Spagna, della luna, della donna, dell'amore viste come forze che ostacolano il poeta futurista cui spetta di sconfiggere i pregiudizi del passatismo (prendendo in questo a modello il Mafarka del romanzo marinettiano). Il disprezzo per il romantico chiaro di luna e quello per la tradizionale visione della donna, cui vengono dedicati due manifesti diversi, sono temi ricorrenti in molta poesia futurista.
Politicamente i futuristi sono antidemocratici, anticlericali, antipacifisti e antiaustriaci. Il gruppo di ‟Lacerba", guidato da Papini, Palazzeschi e Tavolato, l'‛immoralista' del movimento, intraprendono una violenta Umwertung lodando, contro l'umanità ‛normale', prostitute, omosessuali, criminali e pazzi. ‟Odiatevi!", proclama Papini, e su ‟Lacerba" si attacca, al seguito di Nietzsche, il cristianesimo come religione dei deboli e Dio viene definito come ‟cloaca massima di tutti gl'idealismi". Se, fra i critici contemporanei, Croce è colpito in modo particolarmente duro, nella rubrica ‟Sedia elettrica" di ‟Lacerba" si procede a una serie ininterrotta di esecuzioni. Opere d'arte classiche e valutazioni tradizionali vengono ridicolizzate in vari modi: ‟Bisogna sputare ogni giorno sull'Altare dell'Arte", dice Marinetti nel Manifesto tecnico del 1912, in cui il brutto viene proposto come poeticamente prezioso. Nell'‟Almanacco purgativo" dei futuristi di ‟Lacerba" vengono stroncati, spesso in modo ingegnoso e divertente, antichi maestri e capolavori. La Gioconda, questa ‟icona del passatismo", sarebbe un ottimo nome per un lassativo, e i futuristi esultano alla notizia del furto al Louvre, rattristandosi poi per il successivo recupero. Sotto la guida di Papini, l'antipassatismo assume anche un forte carattere antintellettualistico e si predicano un dinamismo ideologico e un relativismo estremo. Ogni epoca deve creare norme e arti proprie.
Il dinamismo futurista è probabilmente influenzato, in modo indiretto, dal filosofo alla moda dell'epoca: Bergson. Per esempio, le teorie marinettiane sullo ‟stile vivo che si crea da se" ricordano la volgarizzazione della concezione bergsoniana della durée. Che la modernolatria sia un importante presupposto del futurismo, appare del tutto chiaro. Marinetti avrebbe potuto fare sua la parola d'ordine di D'Annunzio: ‟Marciare non marcire"; i verbi di moto come ‛marciare', ‛salire', ‛scendere', ‛correre' sono innumerevoli nelle opere futuriste. L'attivismo è un'esigenza insopprimibile e il futurismo è, secondo Marinetti, appunto la nuova formula per l'‟Arte-creazione". L'atto del creare è più importante dell'opera finita, la casa in costruzione è più bella di quella terminata. I contemporanei si scontrano con lo spietato attivismo futurista soprattutto nel corso delle loro serate violentemente provocatorie, in cui si eccita l'aggressività del pubblico con metodi che vanno dalle goliardiche polverine irritanti agli attacchi politici, prima a proposito della questione triestina, poi di Tripoli e infine dell'intervento. Gli attacchi contro l'Austria e gli Asburgo provocarono inoltre complicazioni diplomatiche.
L'uomo dinamico, attivo, proposto dai futuristi fin dal manifesto del ‟Figaro" e cantato naturalmente anche nella poesia futurista, la quale brulica di soldati, alpinisti, esploratori, corridori automobilisti, volatori e altri sportivi, o comunque persone che vivono pericolosamente. ‛Uomo' e ‛lottatore' sono sinonimi secondo Marinetti, e la volontà di vivere nel rischio, la passione per il record, la ‛fisicofollia' sono elementi importanti dell'uomo futurista. La violenza viene vista, ricalcando Sorel, come positiva e inevitabile, l'aggressività come un presupposto per la creazione, anche in campo artistico. ‟Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro" si legge nel paragrafo 7 del manifesto del ‟Figaro". La guerra, al paragrafo 9, vi è proclamata ‟sola igiene del mondo", e si arriverà in seguito a dichiarare che essa è la più importante delle creazioni artistiche del futurismo. E degno di nota che Marinetti, nelle sue parole in libertà, rappresenti esclusivamente esperienze di guerra. L'eroismo bellico come forza etica è uno dei motivi conduttori del futurismo e i richiami al culto della violenza sono in Marinetti tanto numerosi quanto triviali: si pensi, per es., a Le monoplan du pape. L'osservatore di oggi può senz'altro stupirsi del grande numero di critici, contemporanei di Marinetti, che recepirono positivamente la sua violenza e il suo antipassatismo.
Se la guerra moderna, con tutte le sue manifestazioni acustiche, è una delle fonti d'ispirazione delle parole in libertà, l'altra è certamente la modernolatria, intesa soprattutto come accettazione della metropoli moderna, i cui prodigi tecnici (luci elettriche, grattacieli e simili) sono descritti icasticamente nell'ultimo paragrafo del manifesto del ‟Figaro". Del resto Marinetti parla spesso di una ‟bellezza meccanica", che nello stesso manifesto è rappresentata dall'automobile lanciata a tutta velocità. Allo stesso tempo, questo è un ottimo esempio della nuova bellezza futurista per eccellenza, ‟la bellezza della velocità", cuore del ‟regno meccanico" che presto sostituirà, secondo Marinetti, il ‟regno animale". Elettricità, telegrafo, cinematografo, macchine (specialmente automobili e aeroplani) e velocità diventano motivi frequentissimi e simboli portanti nelle poesie futuriste, in una lingua che però è piena di immagini e paragoni barocchi. L'antropomorfizzazione di motori e oggetti meccanici cede sempre più a una disumanizzazione e meccanizzazione dell'uomo mirante a conquistare nuovi domini alla dea Velocità, che annuncia una nuova religione e una nuova morale ed esige, inoltre, un'estetica del tutto nuova. ‟Nous créons la nouvelle esthétique de la vitesse", proclama categoricamente Marinetti (Le futurisme). Sia come tema sia come elemento formale, la velocità ha un ruolo dominante nella letteratura futurista in cui l'‛ebbrezza della velocità' dell'uomo moderno è un fattore di grande importanza.
Nel manifesto del maggio 1913 (Distruzione della sintassi) Marinetti parla di ‟coscienze molteplici e simultanee in uno stesso individuo", pensiero a lui assai caro e tema prediletto di conferenze nelle tournées all'estero, durante le quali cerca di precisare ‟la nuova sensibilità futurista". Il cittadino della grande città moderna vive, grazie allo sviluppo tecnico offerto, per es., dal telegrafo, dal telefono, dal grammofono, dal treno, dall'automobile, dall'aeroplano, dal cinema ecc., con un'intensità diversa che nel passato, e può disporre di una sintesi quotidiana di ciò che avviene in tutto il mondo. La sua sensibilità viene moltiplicata e l'uomo acquisisce un ‛senso globale' o ‛senso mondiale', cioè quasi una sorta di ubiquità e simultaneità. Il tempo e lo spazio sono morti, si annuncia già nel manifesto del ‟Figaro" perché l'uomo ha creato ‟l'eterna velocità onnipresente". La simultaneità come motivo poetico viene usata, prima della guerra, in modo alquanto vago: ci si limita a giustapporre in una poesia tradizionale o nelle parole in libertà, denominazioni di luoghi geograficamente distanti fra loro. Ma durante e subito dopo la guerra questo stesso motivo assume un certo rilievo nelle sintesi del teatro futurista, come anche nei manifesti La cinematografia futurista (1916) e Il teatro futurista radiofonico (1933, lo stesso anno in cui Marinetti pubblica i Poemi simultanei). Invece la simultaneità degli anni prebellici influenza, se non la forma, la visione futurista dell'uomo. Il pilota, il telegrafista, il corrispondente e simili vengono visti come rappresentanti del sentimento mondiale dell'umanità moderna, e Mafarka, e con lui gli altri superuomini futuristi di tipo nietzschiano, viene sempre più sostituito da ‟l'Homme multiplié par lui-même, ennemi du livre [...] élève de la Machine" (Le futurisme). Questa è una conseguenza logica della modernolatria dei futuristi e della loro fede nella dea Velocità. Si deve anche osservare che questo ‟uomo moltiplicato" è fatto di parti sostituibili ed è quindi teoricamente immortale.
Forme: parole in libertà - immaginazione senza fili - simultaneità. - Non si esamineranno qui gli audaci tentativi compiuti nelle arti figurative e nella musica per soddisfare i nuovi bisogni espressivi dell'uomo moderno, ma va sottolineato che gli artisti futuristi della parola e dell'immagine collaborano strettamente e che anche i pittori creano parole in libertà: è forse questa la spiegazione dell'importanza che assume il momento visuale. Le frontiere fra le arti vengono spesso cancellate: i poeti futuristi devono essere stati ispirati in particolar modo dal tentativo boccioniano di risolvere, nella teoria e nella prassi i diversi problemi della simultaneità sotto il segno della ‛compenetrazione dei piani' e della ‛simultaneità degli stati d'animo'. A volte, infatti, i poeti tentano nei loro scritti di rendere tanto le ‛linee-forza' quanto la ‛compenetrazione' dei pittori. ‟I trams s'incrociano, l'automobili sembra/entrino nei trams e ne fuorescano", scrive Buzzi in una poesia ‛urbana' in Versi liberi, alludendo probabilmente a un passo famoso del Manifesto tecnico della pittura futurista. Cangiullo ha tentato nelle sue parole in libertà Addiooooo di rendere Gli addii, n. 1 del trittico boccioniano Stati d'animo, che indusse molti futuristi a rendere verbalmente la simultaneità dello stato d'animo totale nell'uomo moderno, che è bombardato da sensazioni immediate ma allo stesso tempo sente come attuali esperienze e ricordi depositati nel passato; ed è questo un campo che si suole piuttosto ricondurre all'arte delle parole che a quella delle immagini. Va anche ricordato che le teorie dei pittori futuristi sulla simultaneità provocarono un violento dibattito a Parigi, dove la paternità della nozione di ‛simultaneità' fu contesa fra Boccioni e diversi cubisti; ciò influirà in modo non indifferente sull'arte della parola dei circoli poetici parigini vicini al futurismo.
Come abbiamo già detto, Marinetti svolgeva in ‟Poesia", un'energica propaganda a favore del vers libre e la sua ultima opera di rilievo prima delle parole in libertà, Le monoplan du pape, è in versi liberi. Qui è interessante la prospettiva aerea - il paesaggio danza, si contorce - e qualche passo presenta un certo parallelismo con i mutamenti di prospettiva alla Porter nella tecnica cinematografica. Nel Manifesto tecnico del maggio 1912 Marinetti ci informa che fu proprio durante un volo che egli per la prima volta comprese ‟l'inanità ridicola della vecchia sintassi ereditata da Omero" e sentì un furioso bisogno di ‟liberare le parole traendole fuori dalla prigione del periodo latino". Volando, tutto appare in una prospettiva nuova, ‟non più di faccia o per dietro, ma a picco, cioè di scorcio". Le teorie sulle parole in libertà vengono inoltre esposte in Risposte alle obiezioni, nell'agosto dello stesso anno, e nel manifesto del maggio 1913, Distruzione della sintassi, seguito anch'esso da un complemento, Dopo il verso libero le parole in libertà (novembre dello stesso anno). A questi scritti si aggiungono gli articoli-manifesti su ‟Lacerba" e altrove.
È dunque l'elica che detta le teorie letterarie nel Manifesto tecnico del 1912. Il sostantivo deve essere usato liberamente senza riguardo per la struttura della frase: nel verbo devono dominare le forme infinite perché solo esse sono sufficientemente dinamiche per rendere la continuità della vita e possono dunque raggiungere l'intuizione elastica del lettore moderno. Gli aggettivi e gli avverbi sono statici, impediscono la fantasia e per questo vanno banditi; il sostantivo deve quindi essere caratterizzato da un altro sostantivo che crei un'analogia, per es. ‛uomo-torpediniera'. Parole come ‛così', ‛come', ‛simile a' sono inutili perché l'acuita sensibilità dell'uomo moderno coglie immediatamente l'analogia. Anche i segni d'interpunzione convenzionali vengono eliminati perché statici. Al loro posto Marinetti raccomanda segni matematici e indicazioni ritmiche, come +−x:=, che possono rendere i movimenti, la quantità (come le lettere maiuscole e le variazioni tipografiche) e fanno risparmiare tempo. Le analogie e le immagini sono come il sangue della poesia e il poeta può, con ‟la catena delle analogie", riprodurre le fasi successive del movimento di un oggetto. La materia in sé deve sostituire l'io e le tendenze psicologistiche della letteratura; ciò è reso possibile dall'intuizione del poeta e dalla ‟ossessione lirica della materia". Non è lecito attribuire alla materia qualità umane: la vita dei motori e la vita meccanica devono essere rese per se stesse, al massimo con l'aiuto di qualche strumento tecnico mutuato dalla cinematografia. Alla letteratura vanno aggiunti tre elementi non letterari: il ‛rumore', che rivela la dinamica degli oggetti e può essere ottenuto con l'onomatopea, il ‛peso', che svela la capacità degli oggetti di volare, e l'‛odore', che mostra la loro capacità di diffondersi. Grazie all'‛immaginazione senza fili', in una similitudine poetica è sufficiente un solo membro. In Risposte Marinetti riporta un capitolo della Battaglia Peso+Odore come esemplificazione e risposta alle critiche rivolte al Manifesto tecnico. Ne riproduciamo qui un breve passo, tralasciando però le peculiarità tipografiche: ‟mitragliatrici = ghiaia + risacca + rane Tintinnio zaini fucili cannoni ferraglia atmosfera = piombo + lava + 300 fetori + 50 profumi selciato materasso detriti sterco-di-cavallo carogne flic-fiac ammassarsi cammelli asini TUMB-TUUUM cloaca Souk-degli-argentieri dedalo seta azzurra galabieh porpora aranci moucharabieh archi scavalcare biforcazione piazzetta pullulio".
Sono evidenti le sequenze di sostantivi, le analogie dirette ‛senza fili', la mancanza di aggettivi, avverbi, congiunzioni, interpunzione, la presenza di cifre, segni matematici, infiniti, la libertà grammaticale e sintattica. I rumori (l'onomatopea), gli odori e il peso sono resi direttamente con i sostantivi, e l'enfasi posta sulla quantità si manifesta nel tentativo di rendere la simultaneità di uno stato d'animo mediante addizioni. L'io è assente, il disordine è palesemente massimo, e l'aspetto tipografico è anormale (il passo citato è preceduto da una superficie bianca).
Nel manifesto del maggio 1913, Distruzione della sintassi, prosegue l'esposizione teorica, mentre Marinetti spiega il nuovo modo in cui l'uomo moderno, inebriato di velocità, percepisce l'esistenza: è un modo cioè sintetico, rapido, ellittico, che rifugge perciò da analisi e spiegazioni: ‟Raccontami tutto, presto, in due parole!". Di qui l'esigenza di una lingua telegrafica, secca, laconica. Si annuncia la morte del verso libero, che è ora sostituito dalle parole in libertà (PIL), e si apre la strada per le analogie dirette della ‟immaginazione senza fili" (ISF). Si proclama che gli aggettivi ormai potranno avere solo funzione di segnali e se ne accettano tre tipi: aggettivo semaforico, aggettivo-faro e aggettivo-atmosfera. La tipografia tradizionale deve essere distrutta. Le argomentazioni a favore dell'onomatopea ricordano quelle dei pittori futuristi e cubisti a favore del collage. Si raccomanda l'uso di segni matematici, fra cui + per connettere i componenti di un'esperienza di simultaneità. Marinetti chiama il suo progetto per la simultaneità ‟lirismo multilineo" e lo equipara a ‟quella simultaneità che ossessiona anche i pittori futuristi". Ogni riga contiene un tipo diverso di sentimenti o di sensazioni, e il lettore può seguire le impressioni compresenti abbracciando con lo sguardo un gruppo di righe. Se, per es., è predominante una catena di sensazioni e analogie visive, questa verrà stampata più nettamente, mentre la catena di sensazioni acustiche verrà resa con caratteri più grandi di quelli usati per la catena di fenomeni olfattivi; questi ultimi, a loro volta, domineranno le catene che indicano il peso o la dispersione degli oggetti. Quando si descrive come i Turchi incendiano un ponte bulgaro, si usano caratteri di ben sei formati diversi; la catena con i caratteri maggiori rende il senso di disperazione - ‟fine disperazione perduto niente-da-fare inutile" - mentre quella con i caratteri più piccoli riproduce gli odori - ‟sterco-di-cavallo orina bidet ammoniaca odore-tipografico". Altre righe rendono denominazioni di colori, esclamazioni, crepitio di mitragliatrici e altri fenomeni acustici, sensazioni tattili, ecc. ecc. La novità consiste nella disposizione ‟multilinea". Marinetti difende anche una ‟ortografia libera espressiva", per es.: ‟urrrrrrraaaaah", che si collega direttamente alla prediletta onomatopea: in questo modo il declamatore raggiungerà ‟l'accordo onomatopeico psichico". Come abbiamo ricordato, l'ispirazione all'onomatopea veniva a Marinetti principalmente dalla guerra e dalla metropoli moderna.
In un articolo su ‟Lacerba" dell'aprile 1914, Onomatopee astratte e sensibilità numerica, che è una parte del manifesto Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica, Marinetti riassume e precisa le sue teorie sull'onomatopea. I presupposti ne sono l'invasamento dei futuristi per la materia e il loro amore per i motori. Marinetti distingue fra quattro tipi di onomatopea. La più semplice è l'‟onomatopea diretta imitativa elementare realistica" (il crepitio delle mitragliatrici viene reso con ‟tatatatata"), spesso ridicolizzata dai critici contemporanei di Marinetti, che in lui videro solo questo aspetto onomatopeico. Gli altri tipi sono l'‟onomatopea indiretta complessa e analogica" (il ‟rumore rotativo del sole africano e il peso arancione del cielo" vengono riprodotti con ‟dum-dum-dum-dum"), l'‟onomatopea astratta" (uno stato d'animo può essere espresso con ‟ran ran ran ran") e l'‟accordo onomatopeico psichico", che si raggiunge quando si combinano più ‟onomatopee astratte". C'è qui probabilmente l'eco dei discorsi dei pittori futuristi sulla ri-creazione del'‟accordo psichico" e degli ‟stati d'animo". La ‟sensibilità numerica" è la conseguenza dell'esigenza, da parte dell'uomo moderno, di precisione e rapidità (i rintocchi delle campane non vengono resi solo con ‟dondon", ma Marinetti vi aggiunge, per es., ‟campana rintocco ampiezza 20 kmq"). Le definizioni liriche devono essere quanto mai esatte e possibilmente avere forma di equazione: ‟orizzonte = trivello acutissimo del sole + 5 ombre triangolari (1 km dilato) + 3 losanghe di luce rosea + 5 frammenti di colline + 30 colonne di fumo + 23 vampe".
Con le parole in libertà si rompe, secondo Marinetti, la tradizione, nata con Omero, della successione narrativa perché le PIL esprimono il carattere integrale, dinamico e simultaneo dell'universo. Dunque, dietro l'ambizione del paroliberista di riprodurre la totalità come è sentita dall'uomo moderno, che vive febbrilmente ed è esposto a infinite sensazioni, si nascondono una considerazione materialistica e quantitativa della realtà circostante e una teoria sulle possibilità espressive dell'imitazione. Le PIL non sono né prosa né poesia tradizionali (distinzioni come forma-contenuto, soggettivo-oggettivo, poesia-realtà sono difficilmente applicabili a opere che vogliono esprimere la materia in sé), ma piuttosto una forma di letteratura ‛concreta'. In alcuni casi limite, le PIL forniscono materia bruta che viene resa con onomatopee e immagini in libertà.
Gli elementi puramente visivi predominano più nel paroliberista Cangiullo che in Marinetti, ma naturalmente sono di gran lunga più spiccati nei pittori futuristi che si dedicano alle PIL, quando i confini fra le diverse arti tendono a svanire: le parole di Carrà ‟noi pittori-poeti futuristi" sono significative. Del resto, Marinetti sosteneva che le PIL dovessero essere ‟autoillustrazioni". Anche gli elementi calligrafico-ideografici, per cui il volo dell'aeroplano veniva reso visivamente con la disposizione delle lettere, richiamarono un grande interesse nel dibattito internazionale della Parigi prebellica, e certamente influenzarono, tra gli altri, Apollinaire.
d) Il futurismo in Europa occidentale
Se si prescinde dalle dichiarazioni politiche nazionalistiche e da un certo antipassatismo specificamente italiano, il futurismo era, in linea di principio, un movimento internazionale, nel senso che le teorie concernenti sia la forma che il contenuto potevano essere applicate anche ad altre lingue e ad altri paesi. Marinetti si dedicò intensamente a una propaganda moderna per la creazione di scuole - o meglio ‛filiali' - futuriste fuori d'Italia.
Le maggiori opere marinettiane del periodo prebellico furono spesso scritte in francese e solo in un secondo momento tradotte in italiano, specialmente da D. Cinti. Spesso i manifesti venivano scritti contemporaneamente nelle due lingue, e il manifesto di fondazione fu pubblicato su ‟Le Figaro". Ci sono dunque validi motivi per considerare il futurismo come fenomeno anche francese ed è evidentemente a Parigi che il movimento, fin dal suo nascere, desta la massima attenzione: è qui che Marinetti rilascia interviste e tiene conferenze in occasione di esposizioni futuriste; qui viene rappresentato Le Roi Bombance al Théatre de l'Œuvre (immediatamente dopo la pubblicazione del manifesto su ‟Le Figaro"). Sempre a Parigi viene pubblicata nel 1911 la più completa e probabilmente la migliore tra le prime presentazioni del futurismo, Le futurisme di Marinetti, poi tradotto nelle maggiori lingue. È in concomitanza con l'esposizione parigina dei pittori futuristi (5-24 febbraio 1912), delle sculture futuriste (20 giugno-16 luglio 1913) che Marinetti intensifica la sua propaganda; i due manifesti futuristi di V. de Saint-Point - in particolare quello sulla donna futurista del 25 marzo 1912 - e il manifesto del belga Mac Delmarle Manifeste futuriste contre Montmartre sono considerati come importanti successi propagandistici. Ma l'apogeo è raggiunto quando Apollinaire, araldo del cubismo, che precedentemente aveva tenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti del futurismo, diede da stampare a Marinetti, in francese e in italiano, il suo manifesto L'antitradition futuriste, datato 29 giugno 1913; in una lettera, Marinetti mostra di considerare questo documento come ‟importantissimo: solido ponte originale predisposto all'incontro delle due avanguardie" (v. Drudi Gambillo e Fiori, 1959, pp. 257-258). Anche se non è da escludere che lo stesso Marinetti abbia collaborato alla sua stesura, il manifesto va però considerato, in primo luogo, come un gesto polemico e non come un riconoscimento da parte di Apollinaire. Il testo contiene numerosi slogan futuristi, che il poeta francese in precedenza non aveva accettato. La prima parte, intitolata Destruction, è fortemente antitradizionalistica e improntata alle teorie marinettiane. La seconda, Construction, contiene un paragrafo dove, tra l'altro, si legge in corsivo maiuscolo: ‟mots en liberté, invention de mots, description onomatopéique"; in un altro paragrafo, con gli stessi caratteri, si ha: ‟Intuition Vitesse Ubiquité, Imagination sans fil, Analogies et calembours tremplin". Nel paragrafo MERDE sono elencati, fra l'altro: musei, Venezia, buon gusto, critici, pedagoghi, professori, D'Annunzio e Dante; nel corrispondente ROSE si hanno invece circa 70 nomi, il primo dei quali è Marinetti, seguito da Picasso, Boccioni e Apollinaire. È certamente questo il periodo marinettiano di maggior splendore internazionale. Il grande Apollinaire pone il suo nome perfino dinanzi a quello di Picasso, e la cosa è di rilievo, anche dando per scontata la parzialità della sede in cui il giudizio è formulato. Naturalmente, questo manifesto non consente di classificare Apollinaire come futurista; esso indica però in quale misura egli, fra il 1911 e il 1913, si interessasse al movimento, di cui peraltro non condivise mai la ‛modernolatria' esasperata: per Apollinaire il moderno era solo una fonte d'ispirazione fra molte. Egli partecipò attivamente anche al dibattito sulla ‛simultaneità' che, ampliatosi grazie all'esposizione parigina dei pittori futuristi, si raccoglieva intorno a S. e R. Delaunay (le simultané) e ad altri cubisti, e a H. M. Barzun, alfiere del ‛simultaneismo' poetico. Non si può comunque negare che le parole in libertà siano state una delle molte fonti d'ispirazione dei Calligrammes di Apollinaire. Già Zone era stato visto dai futuristi come una sintesi simultanea" (‟Lacerba" 1 maggio 1914); Lettreocéan fu salutato come ‟le prime originalissime parole in libertà del nostro carissimo amico" (‟Lacerba" 15 luglio 1914).
È interessante notare come Bl. Cendrars, nelle sue grandi composizioni anteriori alla guerra, e specialmente in molti poèmes élastiques, raggiunga posizioni che ricordano da vicino quelle dei futuristi, senza che peraltro si possa individuare un'influenza diretta di Marinetti. Fra le molte ‛scuole' letterarie francesi, che nell'anteguerra furono fortemente attratte da idee futuriste, va ricordato il dynamisme di H. Guilbeaux, il paroxysme di N. Beauduin e il simultanéisme di H.-M. Barzun. Anche certi aspetti del dadaismo sarebbero impensabili senza il futurismo. Se Marinetti non riuscì a formare una vera e propria scuola futurista francese, riuscì però a creare a Parigi un clima futurista, vissuto fruttuosamente da molti poeti francesi. Un'influenza indiretta delle idee futuriste dovrebbe essere riscontrabile pure in poeti spagnoli e latino-americani, anche se il Proclama futurista a los españoles (Contro la Spagna passatista) di Marinetti, pubblicato nel ‟Prometeo de Madrid" nel giugno 1910, non sembra aver lasciato tracce.
Come era prevedibile, il successo di Marinetti fu minore nelle aree linguistiche non romanze, anche se egli utilizzò tutte le occasioni di propaganda che gli venivano offerte dalle esposizioni di pittura nel 1912 a Londra, Berlino, Bruxelles, L'Aia e Amsterdam e nel 1913 a Rotterdam e Berlino. L'ambiente dello Sturm dette grande risonanza alle idee e ai manifesti del futurismo; tra l'altro, attraverso Berlino - ma naturalmente anche direttamente da Parigi - le idee futuriste raggiunsero la Scandinavia. Un interessante punto d'incontro è costituito dal modernismo della letteratura finlandese di lingua svedese, che venne molto presto in contatto sia con il futurismo italo-francese, sia con quello russo. Nel giugno 1910, al Lyceum Club di Londra, Marinetti pronunciò il programmatico Discorso futurista agli Inglesi, e in occasione delle esposizioni di pittura futurista, nonché delle esecuzioni dell'‛intonarumori' di Russolo, anche le esibizioni di Marinetti ottennero una certa attenzione. Si può anche ricordare che il suo manifesto Il teatro di Varietà fu pubblicato dal ‟Daily Mail" (21 novembre 1913) e che Marinetti, insieme con Nevinson, nel giugno 1914 fece uscire il manifesto Contre l'art anglais (a volte chiamato Vital English art). Tra le avanguardie inglesi, quella che più fortemente risente del futurismo, è il vorticismo, ma ne subirono l'influsso anche molti poeti imagisti.
Le idee futuriste costituirono un fertile terreno per il rinnovamento letterario - cioè per il futurismo nella sua accezione più ampia - anche in altre direzioni. La Russia è un caso a parte: durante la sua visita del gennaio-febbraio 1914 Marinetti si trovò davanti a un fatto compiuto. Paesi come la Iugoslavia o il Giappone possono essere ricordati a titolo di curiosità, ma Marinetti sostenne spesso, dopo la guerra, che molti autori avevano utilizzato idee futuriste senza indicare la fonte. Ciò è vero in molti casi, ma non si deve dimenticare che egli stesso e altri futuristi italiani solo raramente riuscirono a realizzare le loro idee in modo poeticamente valido. Era dunque lecito che altri poeti, grandi o piccoli, le utilizzassero senza per questo sentire l'obbligo di richiamarsi al verbo marinettiano.
3. Il futurismo russo
Domandarsi se, nel caso russo, il termine futurismo sia adeguato, o se Majakovskij fosse o no futurista è cosa sterile. I termini furono usati in Russia, negli anni precedenti e seguenti la Rivoluzione d'ottobre, sia dalla critica sia dai poeti. Grazie alle ricerche originali e innovatrici di Vl. Markov (v., 1968), è ora possibile orientarsi nelle poetiche dei diversi circoli futuristi. Un'analisi approfondita mostra che se l'influenza di Marinetti fu molto maggiore di quanto i futuristi russi fossero disposti a riconoscere, i vari circoli e i singoli poeti, talvolta assai diversi fra loro, spesso non presentavano alcuna corrispondenza rilevante con il futurismo italiano. In generale, si potrebbe dire che il primato del momento formale è più evidente nei futuristi russi che negli occidentali, mentre la ‛modernolatria' nei contenuti ha un ruolo decisamente minore presso i primi, i quali a volte assumono addirittura un atteggiamento negativo nei confronti della tecnica moderna. Un'ovvia delimitazione naturale per la nostra esposizione è la Rivoluzione dell'ottobre del 1917. Nella misura in cui sopravvissero e si rinnovarono, le ramificazioni del futurismo divennero, nell'Unione Sovietica, un momento della politica culturale ufficiale. Si potrebbe qui istituire un parallelo con il ruolo svolto dal futurismo italiano durante il fascismo, ma in verità i due movimenti vissero sotto segni politici diametralmente opposti e le tendenze borghesi del futurismo russo furono soffocate. Che le poesie di Majakovskij successive alla Rivoluzione, improntate a entusiasmo per il socialismo, siano sopravvissute e abbiano avuto una risonanza maggiore della produzione filofascista di Marinetti, dipende in parte dagli sviluppi politici (Majakovskij è ufficialmente dalla parte dei vincitori), ma anche, e principalmente, dalla maggiore statura del poeta russo.
L'asse della presente trattazione è naturalmente costituito dagli aspetti comuni al futurismo russo e a quello italiano. I circoli futuristi che del movimento di Marinetti hanno solo il nome non saranno oggetto di un esame particolareggiato.
a) Presupposti
Il simbolismo come scuola letteraria si estingue in Russia intorno al 1910; ma, come in Italia e in Francia, costituisce un naturale punto di partenza per molti che saranno poi futuristi. L'impressionismo e il postimpressionismo in pittura hanno una funzione forse ancora più importante (si ricordi che molti futuristi erano anche artisti figurativi di professione), e i circoli che facevano capo a V. Kamenskij e a E. Guro sono una delle matrici del futurismo letterario russo, in cui gli aspetti visivi occupano una posizione di forte rilievo: molti poeti futuristi tenteranno infatti di applicare alla poesia principi mutuati dalla pittura moderna. Del resto fu proprio un critico postimpressionista, N. Kul′bin, a presentare per la prima volta opere letterarie di V. Chlebnikov, fra cui il suo famoso Zakljatie smechom (Esorcismo col riso), che il critico K. Čukovskij considera come la prima manifestazione del futurismo in Russia. In questa poesia Chlebnikov mette in luce le possibilità di derivazione morfologica unendo affissi diversi alla radice smech (riso).
Due mesi più tardi usciva Sadok sudej (Il vivaio dei giudici), un ‛almanacco' stampato su carta da parati con un evidente scopo provocatorio che può essere considerato come la prima manifestazione del circolo futurista che prenderà poi il nome di Gileja. L'almanacco fu concepito probabilmente nell'appartamento di Kamenskij a Pietroburgo, ma già in questa fase sembra che D. Burljuk assumesse funzioni simili a quelle di Marinetti, diventando l'organizzatore, l'impresario e l'editore del gruppo, nei cui scritti egli sarà, di conseguenza, quasi costantemente presente. In Sadok sudej l'aspetto centrale è costituito dalla magia verbale di Chlebnikov e dai suoi esperimenti formali. Dell'almanacco, che non conteneva un manifesto collettivo, furono vendute solo una ventina di copie; ma esso è però ugualmente considerato come l'atto di nascita del futurismo russo, benché gli autori, nella primavera del 1910, non sapessero nulla, o quasi, del futurismo italiano, e certo non immaginassero che, tre anni più tardi, avrebbero fatto proprio il termine futurismo. Nel corso delle successive polemiche con Marinetti circa la priorità cronologica dei rispettivi movimenti, D. Burljuk e V. Kamenskij attribuirono grande importanza a Sadok sudej, che a volte retrodatarono al 1908; Majakovskij, invece, faceva risalire la nascita del futurismo russo al 1912.
b) Il primo periodo del gruppo Gileja
La poetica e l'idea implicite nel nome Gileja sono intimamente legate al futurismo russo. Nel 1911 i fratelli Burljuk avevano conosciuto l'opera di Picasso; allo stesso anno risaliva ‛la maggiore scoperta del futurismo' (cioè Majakovskij), merito di David Burljuk; inoltre, ben presto si era aggiunto agli altri B. Livsic, le cui memorie, Polutoraglazyj strelec (L'arciere dall'occhio e mezzo), costituiscono la più vivace descrizione del movimento. E nella tenuta paterna, vicina a Cherson, in Crimea, che i fratelli Burljuk e Livšic fondano Gileja, riesumando il nome che Erodoto dà alle mitiche steppe della Scizia in cui Eracle avrebbe compiuto alcune delle sue imprese: il nome è programmatico e testimonia della volontà di un rinnovamento letterario in senso primitivistico. Chlebnikov, Krucènych e Majakovskij approvano la scelta, consona alle suggestioni che venivano, proprio in quegli anni, dalla musica di Stravinskij e all'interesse, manifestato da alcuni, per le antichità slave. Inoltre, in pittura lo stesso D. Burljuk e i suoi amici N. Gončarova e M. Larionov tendevano appunto a un primitivismo, alcuni aspetti del quale sembra abbiano influenzato la produzione di Gileja: il linguaggio infantile e asemantico (Chlebnikov, Kručënych), la preistoria e il folclore slavi (Chlebnikov) e, principalmente, la tendenza antiletteraria a infrangere le regole della logica e della lingua (Chlebnikov, Kručënych); tutti aspetti, questi, che spesso coesistono nei componimenti più ampi di Chlebnikov, sapienti combinazioni di ingenuità, freschezza, voluta goffaggine e solecismi geniali.
Nel corso del 1912 i membri di Gileja sconcertano e provocano il pubblico in diversi modi, alle esposizioni o altrove, creando le premesse di quella che sarà la tipica atmosfera futurista. Del resto, già nel febbraio, D. Burljuk rinvia criticamente al futurismo italiano. Alla fine dell'anno esce a Mosca la prima pubblicazione collettiva di Gileja, stampata su carta da pacchi grigia e marrone e foderata con rozza tela di sacco, e che fra l'altro contiene il noto scritto programmatico dei futuristi russi, Poščëčina obščestvennomu vkusu (Schiaffo al gusto del pubblico), scritto probabilmente da D. Burljuk, Kručënych e Majakovskij alla fine dell'anno e firmato anche da Chlebnikov (Livšic e N. Burljuk erano temporaneamente assenti da Mosca). Chlebnikov è rappresentato da otto poesie nelle quali dominano il primitivismo, il nazionalismo e la ricerca neologistica; Kručënych è presente con un'interessante poesia primitivistica priva d'interpunzione e di maiuscole, con parole accentate in modo volutamente errato rispetto agli accenti ritmici ecc.; Livšic con un brano in prosa in cui tenta di disporre ‛cubisticamente' la massa verbale. Alla presenza invadente dei fratelli Burljuk corrispondono solo due poesie di Majakovskij sulla città e una prosa impressionista di Kandinskij. D. Burljuk introduce i concetti di sdvig (smottamento) e faktura (tessitura, struttura). Di Chlebnikov sono anche una raccolta di neologismi e la famosa previsione della caduta dell'Impero zarista nel 1917. Il manifesto è interessante sia per il tono comunitario e futurista sia riguardo ai contenuti, per la critica mossa a grandi personalità del passato e contemporanee (per es., Blok, Bal′mont e Brjusov) e per l'esigenza di una rivoluzione linguistica. Basteranno qui un paio di esempi, tipici e spesso citati: ‟‛Noi' soli siamo il volto della nostra epoca. Nell'arte della parola siamo noi a suonare il corno del tempo"; ‟L'Accademia e Puškin sono più incomprensibili dei geroglifici. Gettare Puškin, Dostoevskij, Tolstoj ecc. ecc. dal battello della modernità". La vacuità dei grandi simbolisti russi viene vista ‟dall'alto dei grattacieli". Si esprime disgusto per il ‟buon senso" e il ‟buon gusto" linguistici e si esigono rinnovamenti lessicali e formali. Nelle composizioni futuriste ‟già palpitano, ‛per la prima volta', i lampi dell'Avvento della Nuova Bellezza, della Parola Autosufficiente" (qui vengono lanciati i termini samocennoe slovo e samovitoe slovo). La retorica, lo stile e, per i contenuti, l'antipassatismo, le esigenze modernistiche, la visione dei futuristi quali portatori della nuova estetica verbale ricordano molto i primi manifesti di Marinetti. Ma, in luogo delle anarchiche parole in libertà marinettiane, si propone piuttosto la ‛parola come tale', ed è evidente che l'interesse di Chlebnikov per gli aspetti linguistici ha conferito al futurismo russo un orientamento che lo distingue dalla superficialità delle teorie marinettiane e apre la strada a una fruttuosa collaborazione con il formalismo. Sadok sudej II (Il vivaio dei giudici II, febbraio 1913) contiene, in forma di manifesto, un attacco a critici e egofuturisti, in cui predominano le teorie linguistiche di Chlebnikov e di Kručënych: la grammatica e la sintassi devono essere distrutte; l'ortografia, l'interpunzione, il ritmo ecc. sono liberi; si sottolinea l'importanza della dimensione grafica e di quella fonetica, nonché il ruolo assegnato a prefissi e suffissi. Non solo gli aggettivi, ma anche altre parti del discorso possono servire a caratterizzare i sostantivi; le vocali esprimono il tempo e lo spazio, le consonanti i colori, i suoni, gli odori ecc. Si esalta la ricchezza lessicale (i neologismi) del poeta: le parole sono mitopoietiche. La ricchezza inventiva dei futuristi russi è assai maggiore di quella di Marinetti, pur se certe teorie sono comuni. Anche i futuristi russi fanno presente la necessità di cantare nuovi temi. Le ultime parole del manifesto suonano chiaramente futuriste: ‟Conosciamo sentimenti ignoti prima di noi. Siamo gli uomini nuovi di una vita nuova". Se Poščëčina obščestvennomu vkusu era stato il primo attacco di Gileja, Sadok Sudej II fornì le direttive per la nuova estetica verbale. In Sojuz molodëži (Unione della gioventù), che in copertina reca il nome di Gileja, e in Trebnik troich (Il messale dei tre), ambedue pubblicati nel marzo 1913, Gileja si rivelò capace di creare poesia di altissimo livello.
c) L'egofuturismo e il Mezonin Poezii
L'egofuturismo è interessante da un punto di vista storico: furono infatti gli egofuturisti di Pietroburgo che per primi accolsero in Russia il termine futurismo, poi accettato anche dai membri di Gileja (per questo anche costoro vengono talvolta chiamati egofuturisti dalla critica). Da un punto di vista estetico, invece, è quasi del tutto privo d'interesse per gli sviluppi del futurismo vero e proprio. Il primo profeta del gruppo, I. Severjanin, vide in Ibsen un antesignano del futurismo (!); ma la sua raccolta di poesie - malgrado il titolo: Električeskie stichi (Poesie elettriche) - non ha nulla a che fare col futurismo. Culto dell'io, sconfinato individualismo, intuizione e teosofia sono le parole d'ordine degli egofuturisti verso la fine del 1911; ciò non impedisce che singoli autori potessero aggiungervi cadenze marinettiane, come, per es., I. Lukaš che, all'inizio del 1912, parla del ‟nuovo impulso del futuro - la Velocità". Anche qualche titolo può suonare futurista, come, per es. la Aeroplannye poezy di K. Olimpov. In uno dei molti almanacchi viene addirittura promessa una collaborazione di Marinetti, ma non sembra che la cosa abbia mai avuto seguito. Come effetto di una scissione verso la fine del 1912, la guida del gruppo viene assunta da I. Ignat′ev, il cui interesse per le ricerche verbali favorisce un accostamento a Gileja. V. Gnedov, radicale nella sperimentazione linguistica - per lui l'epiteto di zaumnik (transmentalista) è veramente appropriato - sarebbe certamente stato a suo agio nell'ambiente di Gileja, come mostrano i neologismi, l'interesse scatologico, le poesie di un solo verso, le sillabe prive di senso, le ripetizioni di parole, l'anarchia grafica, le assurdità. Malgrado i tentativi di creare un fronte futurista unitario, Gileja e l'egofuturismo sono per lo più in feroce polemica. Nel lavoro teoricamente più ambizioso di Ignat′ev, il manifesto Egofuturizm (autunno 1913), si ha un'interessante esposizione del concetto di futurismo, della storia dell'egofuturismo e della parola d'ordine Ja buduščee (Io - il futuro). Viene riconosciuta una certa influenza di Verhaeren e di Whitman, e Ignat′ev ravvisa l'obiettivo dell'egofuturismo nel tentativo di estrarre il presente dal futuro, tema che Majakovskij avrebbe poi fatto suo e trattato con grande originalità. Quando gli egofuturisti descrivono una città o trattano motivi moderni lo fanno spesso con una patina decisamente salottiera e l'elemento ‛ego' predomina assolutamente sul futurismo. Dopo il suicidio di Ignat′ev, nel gennaio 1914, il gruppo si scioglie. Tipico dell'eclettismo del futurismo russo, in questo periodo, è che I. Severjanin facesse una tournée nella Russia meridionale insieme con Majakovskij, Kamenskij e D. Burljuk (anche se dopo poco si avrà la rottura). Markov parla anche di una terza fase dell'egofuturismo, cioè quella del gruppo raccolto intorno a un periodico di V. Chovin, fra il 1913 e il 1916; ed è interessante che il gruppo già egofuturista e i futuristi di Gileja abbiano lavorato fianco a fianco, e che Chovin difenda decisamente Kručënych, Chlebnikov e gli altri, mentre allo stesso tempo considera Marinetti come più genuinamente ribelle dei cosiddetti futuristi russi.
Un gruppo moscovita parallelo all'egofuturismo di Pietroburgo è quello di Mezonin Poezii (Mezzanino della poesia), organizzato nell'estate del 1913 da V. Šeršenevič e L. Zak, che a settembre pubblica il manifesto Perčatka kubofuturistam (Guanto di sfida ai cubofuturisti), dove si ravvisa nella ‛parola in sé' (samocennoe slovo) il punto di partenza per ogni forma di futurismo e si polemizza contro i cubofuturisti. Il futurismo di Šeršenevič sarà trattato più avanti. Egli collaborò a numerosi gruppi di avanguardia e divenne poi uno dei maggiori rappresentanti dell'immaginismo.
d) Il cubofuturismo (Gileja)
La denominazione di cubofuturismo per il gruppo Gileja diventa abituale nel 1913. Già all'inizio dell'anno Majakovskij aveva assunto il nome di futurista, assai più adatto alla sua poesia ‛urbana' che non Gileja, con i suoi richiami al primitivismo rurale e animale. Anche D. Burljuk trovò il termine accettabile, tanto più che il cubismo era di moda nel 1913 e K. Čukovskij aveva usato in senso positivo il termine per distinguere il futurismo di Mosca (Gileja) dall'egofuturismo di Pietroburgo. Fra i critici il caos terminologico è pressoché totale. Nell'almanacco Dochlaja Luna (La luna crepata), dell'autunno 1913, Gileja usa il termine futurismo anche sulla copertina e gli autori si proclamano sul frontespizio ‟gli unici futuristi del mondo". In Troe (I tre, cioè Chlebnikov, Guro e Kručënych) c'è un articolo programmatico di Kručënych, Novye puti slova (Le nuove vie della parola), in cui i critici sono considerati come parassiti, vampiri, becchini, e Puškin come un momento negativo della lingua russa. Egli presenta qui l'esigenza di una lingua ‛transmentale' (zaum′): ‟Le parole sono più ampie del loro significato"; ma prima di tutto fa un inventano delle irregolarità linguistiche, accentua la dissonanza e la rozzezza primitiva, e allo stesso tempo polemizza con le puerilità dei futuristi italiani e con i loro ‟interminabili ra-ta-ta ra-ta-ta".
Le caratteristiche dello zaum′ sono esposte più ampiamente dallo stesso Kručënych nella Deklaracija slova kak takovogo (Dichiarazione della parola come tale) e, insieme con Chlebnikov, nel manifesto Slovo kak takovoe (La parola come tale), ambedue del 1913: vero annus mirabilis dei cubo-futuristi. Gli esempi vengono dati spesso, da questi ‛canton del futuro' (bajači budetljane), col tono del militante e del banditore. Lo zaum′ fornisce un'enorme forza espressiva e una poesia in sintonia con i tempi, che vive solo per il presente. ‟I creatori della parola dovrebbero scrivere sui loro libri: dopo aver letto strappa!". Lo stile dei manifesti e molti toni antiromantici potrebbero essere echi dei precedenti manifesti di Marinetti.
Verso la fine dell'autunno 1913 la stampa si occupa molto dei futuristi, forse a causa delle loro uscite in pubblico a Mosca, organizzate con cura da D. Burljuk, alle quali ora partecipa spesso anche V. Kamenskij (che dal 1910 si è dedicato al volo). E probabile che siano state le ‛serate' dei futuristi italiani a stimolare i russi a quelle loro esibizioni, divenute poi quasi leggendarie (le passeggiate che le precedevano e gli incidenti che le accompagnavano, la camicia gialla e il mestolo all'occhiello di Majakovskij ecc.). Contemporaneamente K. Čukovskij ritorna al cubofuturismo e D. Burljuk e Majakovskij presentano in varie conferenze numerosi futuristi, come anche il cubismo, la poesia urbana; Kamenskij, con un aeroplano ‛simbolo del dinamismo universale' dipinto sulla fronte, parla di ‟aeroplani e poesia futurista". Le opere vengono retrodatate per poter sostenere la priorità rispetto ai futuristi italiani. Nel corso delle tournées nella Russia meridionale, effettuate da D. Burljuk, Majakovskij e Kamenskij fra il dicembre 1913 e il marzo 1914, vengono visitate 17 città; Majakovskij parla della poesia futurista come poesia della città moderna, sostenendo che i sentimenti nuovi, risvegliati dalla grande città, esigono un nuovo ritmo poetico, rapido e febbrile. Le conferenze di Majakovskij riportate dalla stampa sembrano a volte essere quelle di Marinetti (Distruzione della sintassi); ma i tre futuristi itineranti interrompono la tournée per partecipare a diverse iniziative antimarinettiane a Mosca. Il futurismo raggiunge il suo massimo splendore fra il 1913 e il 1914, quando i futuristi sono in buoni rapporti con tutti i principali gruppi modernisti. Le parole elogiative di Šklovskij in una sua conferenza sulla ‟resurrezione della parola" procurarono ai cubofuturisti anche un appoggio accademico, e nasce così l'amicizia con i formalisti russi. Vanno anche ricordate le rappresentazioni di lavori futuristi nel dicembre 1913, quando vennero messe in scena la tragedia Vladimir Majakovskij, dello stesso Majakovskij, e l'opera Pobeda nad solncem (Vittoria sul sole) di Kručënych, ambedue a Pietroburgo. Nell'opera è presentato l'uomo forte tipico del futurismo, che proclama la smisuratezza dei successi futuristi. Qui tutto è maschile, e perfino le desinenze femminili vengono troncate nella maniera tipica di Kručënych. L'ottimismo pervade il Canto transmentale dell'aviatore. Va anche detto che le idee di Marinetti sul teatro futurista erano già state presentate sulla rivista teatrale ‟Maski" (Le maschere).
Marinetti si recò in Russia su invito di G. Tasteven, delegato russo presso la Société des Grandes Conférences e zelante divulgatore di Marinetti, il quale sembra avesse una qualche conoscenza del futurismo russo. Nel novembre 1913, infatti, con una lettera alla stampa russa aveva risposto a un attacco di Majakovskij, che sosteneva l'indipendenza del futurismo russo da quello italiano e rifiutava le teorie di Marinetti sull'onomatopea. Già nel marzo 1909 quotidiani e periodici russi avevano dato notizia del futurismo italiano e in particolare di P. Buzzi (con la Lettera dall'Italia in ‟Apollon"); Marinetti aveva inviato i suoi manifesti, e Šeršenevič, che aveva presentato il movimento nel libro Futurizm bez maski (Futurismo senza maschera), faceva parte del comitato che accolse Marinetti al suo arrivo a Mosca il 26 gennaio 1914. Šeršenevič si scontra anche, in un'interessante polemica su ‟Nov′" (Novale), con Larionov che aveva proposto di accogliere Marinetti con uova marce. Ma in risposta al tono paternalistico usato da Marinetti a Pietroburgo, D. Burljuk e Kamenskij mandano una lettera a ‟Nov′", cui aggiungono di loro arbitrio anche le firme di altri cubofuturisti, provocando così le proteste di Majakovskij, Šeršenevič e di K. Bol′šakov, che invece sottolineanc il parallelismo fra il futurismo italiano e quello russo. ‟Il futurismo è un movimento che nasce nelle grandi città e che in sé cancella tutte le differenze nazionali. La poesia del futuro deve essere cosmopolita". Nelle memorie di Livšic si ha una descrizione vivace degli scontri di Marinetti con i futuristi russi, che reagirono duramente contro il suo programma politico e sentirono le sue parole in libertà come una fase già sorpassata in Russia. Viceversa, essi apprezzavano le declamazioni di Marinetti e il suo modo di ‛vivere' il futurismo. A sua volta Marinetti, che era fortemente interessato a Chlebnikov, assente in quell'occasione, cercava di convincere i cubofuturisti che le PIL e la ISF erano radicali quanto lo zaum′, che era peraltro da lui ritenuto troppo arcaico ed estraneo al ritmo della vita moderna. Se si prescinde dall'antipassatismo, Marinetti sentì i futuristi russi come troppo filosofi, e questi giudicarono le teorie di Marinetti come troppo superficiali.
Marinetti fallisce dunque nel suo tentativo di creare un fronte unitario futurista e i russi, dal canto loro, non cessano di mettere in evidenza le differenze fra Occidente e Oriente, fra teoria e prassi. Livšic si allontana dall manifestazioni futuriste e Chlebnikov, il maggior sostenitore di un futurismo antioccidentale, rompe con Gileja perché a parer suo ha mostrato troppa tolleranza nei confronti di Marinetti (e solo nel 1916 ridiventerà più conciliante). Marinetti era certamente alquanto insoddisfatto degli ‛pseudofuturisti', che secondo lui vivevano più nel trapassato remoto che nel futuro. Comunque, una conseguenza della sua visita fu un'ondata di articoli, di presentazioni, di libri sul futurismo, fra i quali quelli di Tasteven e di Šeršenevič, che tradussero numerosi manifesti italiani. Che Marinetti abbia svolto un ruolo importante per il futurismo russo è evidente. Il modo di presentarsi, di richiamare l'attenzione (‟il piacere dei fischi" di Majakovskij), suscitando indignazione, la retorica aggressiva dello stile da manifesto, certi aspetti superficiali dell'interesse per la lingua (bizzarrie tipografiche, rifiuto della sintassi e della grammatica e simili) hanno probabilmente una matrice marinettiana. Inoltre Majakovskij e, come vedremo in seguito, specialmente Šeršenevič, nelle conferenze e negli scritti teorici mostrano di essere, per molti aspetti, debitori di Marinetti. Un'analisi dettagliata mostrerebbe con ogni probabilità che la dipendenza dal futurismo italiano è maggiore di quanto non si sia stati inclini a credere, almeno prima degli studi di Markov.
Il futurismo russo raggiunge l'acme all'inizio del 1914, quando Gileja comincia anche un'attività editoriale pubblicando ininterrottamente opere futuriste. Già nel corso del primo semestre escono quattro grandi volumi miscellanei, che spesso contengono scritti programmatici, come per es. Idite k čërtu! (Andate al diavolo), in cui si annuncia che tutti i futuristi sono ormai riuniti intorno a Gileja. In questi volumi Chlebnikov sostiene la superiorità dell'uomo dell'entroterra sull'uomo della costa e dell'Oriente sull'Occidente; D. Burljuk prosegue le sue provocazioni e uccide, in ottimo stile marinettiano, il chiaro di luna. Šeršenevič cerca invano di creare un gruppo unitario di poeti urbani e oscilla fra le varie posizioni futuriste. N. Burljuk scrive sui calligrammi, sui segni matematici, sul sonetto Vogelles di Rimbaud, sugli odori nella scrittura e sostiene, seguendo Krucënych, l'importanza di utilizzare sistematicamente in poesia gli errori di grammatica. Negli stessi volumi vengono talvolta riportati i giudizi della critica sul futurismo; vengono pubblicati elenchi di opere futuriste; i manifesti più importanti vengono ristampati a fianco di quelli di Kul′bin, di Gnedov e di altri, che trattano dei colori delle consonanti e delle dissonanze in poesia. In oltre dieci articoli sul ‟Nov′" quasi tutti della fine dell'anno, Majakovskij afferma la necessità di creare, per gli uomini del futuro, una lingua rapida, economica, spezzata, riecheggiando dunque le teorie di Marinetti sul moderno stile ‛telegrafico'. A tutto ciò si aggiungono le numerose opere e operette, a volte molto originali, di singoli futuristi o di autori solo temporaneamente legati al futurismo o che lo hanno imitato, come anche le falsificazioni o le imitazioni più goffe, così che non è sempre facile orientarsi in questo materiale. Tra coloro che prendono il futurismo sul serio figurano Brjusov e Čukovskij, e nel corso dell'anno escono in Russia almeno sei libri sull'argomento.
Ancora un motivo della fama del futurismo è il comparire, alla fine del 1913, del gruppo detto Centrifuga, che dai critici ricevette l'etichetta di futurista e ha certamente le sue radici nel simbolismo e nella pittura di avanguardia, esattamente come Gileja. Centrifuga nasce dal gruppo simbolista di Lirika, dominato da B. Pasternak, N. Aseev e S. Bobrov. Nell'estate del 1914 il gruppo si scinde in Centrifuga e Strelec (L'arciere). È comunque difficile rinvenire tratti esplicitamente futuristi, anche se ci sono delle coincidenze fra l'espressionismo di Pasternak e quello di Majakovskij (per es. nella Poesia del treno di Pasternak). Centrifuga è particolarmente duro nei confronti di Šeršenevič, ma considera Majakovskij e Chlebnikov come autentici futuristi. Pasternak rifiuta la visione marinettiana del futurismo ridotto a velocità e contemporaneità, ma accetta invece un confronto fra il futurista e il soldato che cerca di creare il futuro. In Bobrov si ha invece una certa ammirazione per la velocità e inclinazione per l'onomatopea, mentre I. Aksënov tenta di riprodurre la tecnica cubista di Delaunay nelle sue poesie La Tour Eiffel I e II. Il gruppo di Centrifuga si sciolse alla fine del 1917.
e) Regresso
Già allo spirare del 1914 i futuristi erano divenuti un elemento della letteratura ufficiale - pericolo, questo, letale per ogni futurismo - e a partire dal 1915 cominciano a essere criticati anche dalla sinistra, mentre lo scoppio della guerra sopravvenne a complicare la situazione. Nel primo numero di ‟Strelec" (L'arciere) la maggior parte dei cubo-futuristi, insieme con altri artisti d'avanguardia, vengono presentati come grandi personaggi ormai affermati (Blok, Sologub ecc.); Majakovskij è rappresentato da un lungo brano di Oblako v štanach (La nuvola in calzoni). Ma nel secondo numero di ‟Strelec" (1916), del gruppo Gileja compaiono solamente Chlebnikov e Majakovskij. Che i futuristi siano ormai ammansiti appare a molti dal fatto che sia Gor′kij sia la critica accademica, già nel 1915, trattano il futurismo seriamente. Šklovskij afferma che i futuristi hanno ridato vita alla lingua e che lo zaum′ dà espressione diretta ai sentimenti ed è una manifestazione d'arte. Molti critici scoprono che i futuristi trovano difficoltà a creare nuove teorie estetiche, a mantenere la loro freschezza, e che sempre più spesso scendono a compromessi e stringono alleanze opportunistiche. Markov considera come ultima manifestazione collettiva importante dei futuristi la Vesennee kontragentstvo muz (Contragenzia primaverile delle muse), preparata in collaborazione con Centrifuga: Kamenskij è presente con una poesia aeronautica e Majakovskij con componimenti sui quali ha lasciato il segno lo scoppio della guerra. A Pietroburgo, nel dicembre 1915, esce il fascicolo Vzjal: Baraban futuristov (Ha afferrato: Il tamburo dei futuristi) che contiene, fra l'altro, l'unico manifesto firmato dal solo Majakovskij, Kaplja dëgtja (Una goccia di catrame). Il tono è aggressivo e la morte del futurismo, qui annunciata, è vista come un successo: il programma distruttivo di Poščëčina è realizzato perché il futurismo non esiste più come gruppo. Al sonaglio del buffone succede ora il progetto dell'architetto. ‟Oggi tutti sono futuristi. Il popolo è futurista". Si può infine ricordare un'altra pubblicazione - minore - del gruppo Gileja, Četyre pticy (Quattro uccelli), contenente poesie di D. Burljuk, Kamenskij e Chlebnikov: Bog XX veka (Dio del ventesimo secolo), di quest'ultimo, è un saluto in tono discreto alla tecnica moderna. Da questo momento i poeti di Gileja lavoreranno individualmente. Ci sono dunque buoni motivi per concludere qui la parte cronologica e descrittiva dell'esposizione; passeremo quindi a qualche breve considerazione su alcuni dei poeti di Gileja cercando d'individuare i loro rapporti con ciò che tradizionalmente s'intende con futurismo.
f) Alcune precisazioni
Si comprende facilmente l'estensione del termine futurismo in Russia se si pensa che l'indipendente Chlebnikov, figura leggendaria già in vita, fu chiamato da D. Burljuk ‛padre del futurismo'. In realtà, se si prescinde dalla poesia ricordata poc'anzi e dal manifesto Truba marsian (La tromba dei marziani), dove si sostiene, a volte con qualche cadenza antipassatista di tipo marinettiano, la causa del futuro e dei giovani contro il vecchio e i morti, Chlebnikov è enormemente distante dai contenuti del futurismo italiano. Il suo atteggiamento antioccidentale, la sua visione nazionale della storia, il suo interesse per la mistica numerica si accordano bene con Gileja, ma sono diametralmente opposti a tutto ciò che in genere si associa al futurismo. La sua importanza per il futurismo è invece da ravvisarsi piuttosto sul piano formale. Egli è, secondo Kamenskij, l'oceano verbale alla cui risacca attingono gli altri futuristi. La densità dei pensieri, l'originalità delle immagini, la sua ricerca del linguaggio transmentale sono alla base della ‛trasparente oscurità' che caratterizza la sua poesia. Anche tralasciando gli innumerevoli neologismi, il suo vocabolario è probabilmente il più ricco di tutta la letteratura russa. La magia verbale, la capacità di utilizzare le possibilità foniche delle lettere e il valore autonomo dei suoni ne fanno, secondo Markov (che è il suo biografo), uno dei massimi poeti del Novecento, un poeta per i poeti. Al confronto anche Majakovskij sembra ‟convenzionale, limitato e monotono".
Se il solitario Chlebnikov fu il padre di Gileja, D. Burljuk ne fu l'organizzatore, la forza centripeta, il Marinetti. Come poeta egli non può certamente essere paragonato a Chlebnikov: il suo contributo è piuttosto nell'ostinato atteggiamento antiestetizzante, nelle sue provocazioni in parole e immagini, nelle alogie e negli esperimenti tipografici. Le 46 poesie di Moloko kobyli (Latte di giumente) hanno tutte veste tipografica diversa ed egli eccelle in errori di grammatica, neologismi, soppressione d'interpunzione e prefissi ecc. Come una specialità futurista si possono ricordare le sue poesie ‛ferroviarie', in cui i movimenti del treno sono resi con una serpentina. A Vladivostok egli divenne uno dei capi del nucleo futurista e, in epoca sovietica, si schierò con il gruppo Tvorčestvo (Creazione). Negli Stati Uniti continuò a predicare il futurismo e, fra l'altro, il ‛radiofuturismo'.
Kamenskij era, come abbiamo detto, appassionato del volo, il che conferì una certa aria futurista alla sua poesia, in cui i segni della ‛modernolatria' sono gli aeroplani, i raggi Röntgen, l'elettricità ecc. Gli effetti sonori, i neologismi ecc. rivelano l'influenza di Chlebnikov, mentre l'atteggiamento antiestetizzante, la volontà di épater ricordano piuttosto D. Burljuk e Kručënych. Sotto l'aspetto grafico, la punta più avanzata è raggiunta da Kamenskij nei suoi Železobetonnye poemy che sotto l'aspetto visivo ricordano in modo evidente le creazioni dei futuristi italiani in ‟Lacerba". In Konstantinopol′ (1914) le lettere sono poste in sequenze segmentate arbitrariamente e le diverse sensazioni sono raggruppate in varie sezioni, le parole d'ordine sono in corsivo: il famoso Zang Tumb Tuuum di Marinetti sembra essere qui almeno uno dei modelli. Anche le poesie telefoniche di Kamenskij, piene di onomatopee, cifre, date, numeri civici, targhe di automobili, impressioni stradali ecc., o le poesie in cui rende graficamente i movimenti dell'aeroplano ricordano così nettamente i futuristi di ‟Lacerba" che un'influenza diretta appare molto probabile. A volte egli è invece molto vicino ai futuristi georgiani e armeni, ed è inoltre evidente un suo progressivo accostamento a Chlebnikov (folclore, linguaggio infantile, onomatopea, poesie costruite su una radice lessicale, la lettera come ‛monade di creazione poetica', piani utopistici ecc.). Dopo un periodo di bizzarri progetti e di atteggiamenti anarchici, Kamenskij divenne un sostenitore dei Soviet, fece parte del Lef fra il 1923 e il 1925 e, dopo alcune critiche, cessò di praticare lo zaum′.
Fu probabilmente Kručënych che inventò il termine zaum′, e la sua partecipazione al futurismo è ravvisata soprattutto sul piano formale e particolarmente nel suo atteggiamento antiestetizzante. Le origini dello zaum′, avverte Kručënych, sono nelle glossolalie, nei gerghi esoterici, nel linguaggio infantile. Egli eccelle nelle sequenze prive di significato in cui le parole vengono ordinate in base ai suoni, scomposte e ricomposte in neologismi, frammenti e in forme in qualche modo distorte, con terminazioni, accenti, grafie errate e accostate in combinazioni assurde. Tutto ciò unito all'atteggiamento antipassatista e all'interesse scatologico, fa di Kručënych una specie di drappo rosso per i critici, ed è questo uno dei motivi per cui egli è stato sottovalutato. Il suo Zaumnaja gniga (sic; Libro transmentale) è caratterizzato dalla mancanza totale di ordine, con pagine di grandezza diversa, a volte bianche, a volte con il testo capovolto ecc. Nel 1916 Kručënych si recò a Tiflis, dove numerosi appartenenti alle avanguardie russe formarono il gruppo 41° e dove inoltre si sviluppò un fiorente futurismo georgiano. I seguaci dello zaum′ attaccano violentemente i passatisti e criticano altre forme di futurismo. È principalmente in questo ambiente che Kručënych, in manifesti dell'inizio degli anni venti, elabora le parole-chiave sdvig (smottamento), faktura (connessione) e zaum′ e riassume le sue teorie. A differenza di Chlebnikov, che sosteneva sempre più decisamente una lingua universale razionale, egli afferma il carattere emozionale dello zaum′. Il suo antipassatismo e il suo atteggiamento antiestetizzante, il rigore della sua critica contro la lingua tradizionale e i libri convenzionali, le sue teorie sullo zaum′ ne fanno, per molti aspetti, il più radicale dei cubofuturisti. La sua linea fu proseguita dagli zaumniki (transmentalisti) di Tiflis, fra i quali Il′ja Zdanevič, i cui cinque dra (pièces), pubblicati fra il 1918 e il 1923, rappresentano, secondo Markov, ‟l'utilizzazione più ampia e frequente dello zaum′ nella letteratura futurista russa": giudizio motivato dalla quasi incredibile fantasia verbale dell'autore. Tendenze antiestetizzanti e gusto per l'assurdo si trovano anche in I. Terent′ev il quale, fra l'altro, afferma che non bisogna mai lasciarsi sfuggire l'occasione di dire qualche cosa di sciocco.
Per gli zaumniki la lingua era un'avventura e a volte, come per Chlebnikov, più importante della stessa vita. Un componimento di V. Gnedov consiste unicamente della lettera ju dell'alfabeto cirillico: è questo un buon esempio dell'audace tesi, a proposito degli esperimenti linguistici del simbolismo, secondo la quale ogni suono ha il suo significato; infatti ju, che spesso funge da desinenza di prima persona del presente, può suggerire le infinite possibilità dell'io. Concentrazione, culto dell'io e dinamismo, tre tratti importanti del futurismo russo, sono dunque espressi da un suono, o meglio da una lettera. Il neologismo mnestr in Chlebnikov può simboleggiare la velocità del flusso di coscienza (mne a me + il fiume Dnestr), e le circa duecento variazioni sulla radice significante ‛riso' (smech) mostrano le infinite possibilità della lingua. Invece delle variazioni eufoniche dei simbolisti, gli zaumniki vanno in cerca di tutte le capacità espressive dei suoni e appaiono affascinati soprattutto dal complicato sistema consonantico del russo. L'importanza dello zaum′ per la scuola formalista è comunque indiscutibile.
Per quanto riguarda la ‛modernolatria' e il futurismo di ispirazione marinettiana, V. Šeršenevič, non legato al gruppo Gileja, occupa un posto a sé. Egli fu l'unico dei futuristi russi a vedere in Marinetti un pilastro del futurismo e a tentare, in parte, di creare un movimento modellato sull'iniziatore italiano, i cui testi egli lesse, commentò, presentò e tradusse. Nelle sue raccolte di poesie urbane Avtomobil′ja postup′ (Incedere d'automobile) e Bystr′ (Velocità), risuona il fragore della grande città, brillano le luci artificiali dei grattacieli ecc.; e tutto è rappresentato in modo dinamico, in una lingua modernamente immaginosa, non priva di elementi barocchi. Egli sottolinea di volta in volta che è stato Marinetti a introdurre la nuova bellezza della velocità e a insegnare come cogliere il ritmo della vita moderna, ma ricorda anche che gli Italiani sono falliti sul piano poetico perché hanno solo scomposto la città moderna nei suoi costituenti, senza però ricrearla. La sua teoria, secondo la quale le parole devono seguire ‟un massimo di disordine", è la citazione di una parola d'ordine di Marinetti, e le sue teorie sulle nuove esigenze poetiche del cittadino moderno sono solo traduzioni di conferenze o di manifesti letterari di Marinetti. Lo stile altisonante, retorico del manifesto Dva poslednich slova (Due parole definitive), del 1913, corrisponde in tutto a quello marinettiano, e le immagini sono anche qui costruite su aeroplani, automobili, grattacieli. La musa del poeta è la metropoli che non resta impigliata nei tacchi alti ma si lancia in avanti con l'automobile. È essa stessa che nel finale esclama: ‟Imparate dunque ad apprezzare e comprendere le uniche bellezze del mondo: ‛la bellezza della forma e la bellezza della velocità'". Chi volesse leggere un riassunto delle parole d'ordine del futurismo italiano e vedere come lo stile di Marinetti si presenti in russo, dovrebbe leggere Dva poslednich slova o l'introduzione a Avtomobil′ja postup′. Questi lavori, infatti, rispecchiano un certo stato d'animo prodotto dalla visita di Marinetti, stato d'animo che si ritrova anche in un piccolo gruppo di futuristi di Odessa, i quali, nel 1915, pubblicano Avto v oblakach (Un'auto fra le nuvole). L'opera di Šeršenevič futurista uscì però troppo tardi per avere rilievo e oggi egli è ricordato soprattutto come immaginista. Il suo significato storico è nella funzione di tramite fra il modernismo europeo e quello russo, in particolare nell'ambito del futurismo.
Nel dibattito letterario fuori della Russia, Majakovskij è stato considerato, molto spesso e molto caparbiamente, come il rappresentante del futurismo russo. Viceversa, gli studiosi sovietici, altrettanto caparbiamente, negano o minimizzano il suo futurismo (vedendolo come uno sbandamento giovanile, estraneo alla sua vera natura), e rinviano spesso a una dichiarazione di Gor′kij, peraltro molto discutibile: ‟In realtà il futurismo non esiste. C'è solo Majakovskij. Poeta. Un grande poeta". Ma, a parte Šeršenevič, che certe volte sembra addirittura identificarsi con Marinetti, Majakovskij è senza dubbio il futurista russo più vicino al futurismo internazionale, d'ispirazione italiana, e il più fedele al programma di Poščëčina. La sua singolare personalità, la solitudine, il bisogno di affetto, la sua vulnerabilità difesa da un cuore di bronzo, la forte emotività - a volte considerata un tipico tratto russo - informano la sua poesia al punto che qualsiasi confronto sarebbe fuorviante. Majakovskij non è un teorico agguerrito, il suo atteggiamento verso il futurismo è ambivalente e contraddittorio, ma il suo impegno con Gileja, nelle tournées e nelle altre manifestazioni, fu deciso e indiscutibile. Durante la guerra si liberò dei suoi risvolti settari e la sua poesia, nella quale il futurismo aveva dapprima rappresentato un momento di sperimentazione formale e estetica, entra in una seconda fase, meno dogmatica, in cui ai contenuti viene conferita una maggiore importanza, il sentimento si raccosta all'intelletto e, sul piano formale, si riscontra una prevalenza del ritmo. Il motivo predominante in tre dei quattro grandi poemi degli anni di guerra è l'amore.
Nei viaggi di conferenze e in diversi articoli, specialmente in ‟Kine-Žurnal" (Cinegiornale), ‟Novaja Žizn′" (Nuova vita) e ‟Nov′" (Novale), della fine del 1914, Majakovskij cercò di organizzare teoricamente i suoi punti di vista sull'estetica e il suo atteggiamento verso il futurismo. Egli sostiene che il cinema è l'arte del futuro e che il teatro deve imparare dal cinema; attacca, spesso in modo volgare, il realismo fotografico e la ‟diarrea del gusto"; esige la libertà per l'arte della parola e per le arti figurative. Egli popolarizza le teorie di Chlebnikov sul primato della parola e accentua in particolar modo il ruolo della guerra. La poesia inutile, come quella di Bal′mont, deve essere interdetta per crearne un'altra, che sia importante come lo stivale per il guerriero. La guerra e la metropoli moderna richiedono economia verbale, una lingua telegrafica in cui s'infrangono grammatica e sintassi. Il parallelo con le ‛parole in libertà' di Marinetti è chiaro; Majakovskij ammonisce però a non scimmiottare le scuole straniere e loda quanto c'è di specificamente russo in Chlebnikov. Il nuovo nome di Pietroburgo, Pietrogrado, viene visto come una nuova pagina della poesia e della letteratura russe. Attraverso la guerra, invenzione diabolica ma purificatrice, viene generato e moltiplicato l'uomo forte del futuro, il budetljane, termine che fu per un certo periodo quasi sinonimo di futurista in Russia. Anche qui vien fatto di ricordare i discorsi di Marinetti sull'uomo moltiplicato e sulla guerra ‟sola igiene del mondo". Majakovskij sostenne sempre l'autonomia del futurismo russo e polemizzò contro la volontà di supremazia di Marinetti. Il problema è dunque solo quello di un parallelismo letterario, e il termine futurismo è un contrassegno apposto dai critici, per il quale non vale la pena di bisticciare. ‟Per noi, giovani poeti, il futurismo è il drappo rosso del torero: ci serve soltanto per i tori (poveri tori, li ho paragonati alla critica!)" scrive Majakovskij nell'articolo I nam miasa! (Anche a noi la carne!). Majakovskij è probabilmente anche l'autore delle formulazioni contenute nella lettera, già citata, alla redazione di ‟Nov′", in cui il futurismo in quanto movimento delle grandi città cancella le frontiere nazionali e crea una poesia cosmopolita. Il ruolo delle megalopoli e della guerra moderna come presupposti della nuova sensibilità dell'uomo e delle nuove esigenze linguistiche è spesso riconosciuto da Majakovskij il quale, senza citare la fonte, a volte fa sue nelle conferenze le argomentazioni di Marinetti.
I critici reagiscono principalmente contro l'antipassatismo di Majakovskij, evidente già in Poščëčina, spesso dichiarato esplicitamente e accentuatosi durante la guerra, quando egli condanna l'imitazione di accademie, musei e libri stranieri. Vengono colpiti Tolstoj, Puškin, Dante e Petrarca, ma l'egocentrismo del poeta porta anche all'odio verso ogni mediocrità e verso la borghesia. Dio viene oltraggiato e considerato, per esempio in Oblako v štanach (La nuvola in calzoni), come un nemico personale. Tre anni dopo (per la seconda edizione del poema) Majakovskij dichiarò che l'opera era un quadruplice attacco contro la borghesia: ‟Abbasso il vostro amore, abbasso la vostra arte, abbasso il vostro regime, abbasso la vostra religione". Durante la guerra il poeta predicò spesso, a parole, un antisentimentalismo e un attivismo dinamico che, se in superficie ricordano Marinetti, ne sono in realtà assai lontani. Nelle poesie sulla guerra e sulla grande città moderna, Majakovskij pone al centro l'uomo e non, come Marinetti, le armi distruttrici e i prodigi tecnici. Il suo atteggiamento nei confronti della guerra e della grande città è, comunque, ambivalente e il tono, nelle poesie ‛urbane' molto sommesso, anche se alcuni titoli possono ricordare quelli dei futuristi italiani, di cui egli usa la tecnica dell'incrocio di piani diversi e il ritmo spezzato. A volte, si può anche scorgere in Majakovskij un certo entusiasmo per l'elettricità e la velocità, come nella tragedia Vladimir Majakovskij; in cui egli si chiama ‟lo zar delle lampade"; ma questo entusiasmo è pallido in confronto a quello che apparirà nei suoi poemi socialisti - principalmente Naš marš (La nostra marcia) - in cui egli si atteggia sempre più a poetico portabandiera della elettrificazione; inoltre, i viaggi negli Stati Uniti e a Parigi conferiranno alle sue poesie un tono di spiccata modernolatria: la torre Eiffel e il ponte di Brooklyn divengono simboli portanti. Il sentimento globale, spesso accostato a quello di Whitman che, secondo Čukosvkij, è il primo futurista, si trova talvolta già nelle poesie majakovskijane anteriori alla rivoluzione, dove è inoltre presente la fiducia nella gioventù e nel futuro. In Vojna i mir (La guerra e l'universo) il poeta è visto come l'araldo del futuro, e nel finale si afferma che in ogni giovane c'è ‟la polvere di Marinetti". Strappare la gioia dal petto del futuro e far sì che dal futuro scaturisca il presente: è questo il tema conduttore del poeta.
In teoria Majakovskij ha sostenuto le esigenze marinettiane di una lingua telegrafica ad andamento ‛staccato', ma, se lo si confronta con i transmentalisti, egli appare come un riformatore linguistico assai moderato. Questo naturalmente non impedisce che egli utilizzi l'onomatopea, le ripetizioni di suoni, i raddoppiamenti vocalici, alcuni esperimenti grafici, ritmi complicati e rari, asimmetrie e dissonanze, neologismi e le sue caratteristiche iperboli, che i critici difficilmente accettavano. La semplificazione linguistica nella sua produzione posteriore non è solo programmatica, ma costituisce anche il risultato di un processo di maturazione. L'impetuoso antipassatismo del giovane Majakovskij, il suo atteggiamento antimetafisico e antiestetizzante, il suo dandismo e l'enorme egocentrismo, i motivi urbani e l'interesse per la tecnica moderna, il suo entusiasmo giovanile per le dimensioni cosmiche, le sue speranze nel futuro e, naturalmente, il suo impegno con Gileja, autorizzano, per lui, senza alcun dubbio, la denominazione di futurista.
Non si parlerà qui della lotta condotta, dopo la Rivoluzione, dai futuristi e da altri gruppi d'avanguardia, principalmente immaginisti e costruttivisti, per il proseguimento della loro rivoluzione letteraria a fianco dei molti gruppi di poeti proletari che con il tempo, attraverso il partito, riuscirono ad armonizzare in qualche modo lo sviluppo letterario con lo sviluppo economico e politico. I futuristi finirono in una difficile posizione intermedia, anche quando, come ‛compagni di strada' (poputčiki), accettarono il comunismo. Gli autori proletari li sentivano infatti troppo borghesi, e i loro oppositori troppo rivoluzionari, mentre ambedue gli schieramenti li accusavano d'incomprensibilità e antipassatismo; e anche Lenin, che però riconosceva la propria incompetenza in questi problemi, condivideva tali punti di vista. (Per un quadro del clima culturale dopo la Rivoluzione d'ottobre, v. Woroszylski, 1972).
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Futurismo artistico di Maurizio Calvesi
sommario: 1. Introduzione. 2. I caratteri originali. 3. I protagonisti. 4. La ricostruzione futurista dell'universo. 5. Il futurismo e la politica. 6. Il futurismo e lo spettacolo. □ Bibliografia.
1. Introduzione
Il futurismo nasce con il Manifesto pubblicato sul ‟Figaro" il 20 febbraio 1909 come movimento letterario o, meglio, ideologico-culturale. A un anno preciso di distanza vede la luce (grazie a una leggera retrodatazione) il Manifesto dei pittori futuristi, proclama frettolosamente stilato dopo un incontro di Marinetti con Boccioni e Carrà a Milano; altri firmatari saranno, oltre al milanese Russolo, O. Severini a Parigi e O. Balia a Roma: gli ultimi due furono meno direttamente implicati nella vicenda futurista al suo primo avvio, mentre altri artisti, come Bonzagni, che avevano inizialmente dato la loro adesione, successivamente la ritirarono.
Il volto del futurismo figurativo sarà chiaro solo nell'aprile, quando vedrà la luce il secondo manifesto dei pittori, con il titolo di Manifesto tecnico della pittura futurista. Questo manifesto contiene ormai tutti i principi che, dapprima enunciati teoricamente, saranno immediatamente dopo attuati e sperimentati nel vivo farsi della pittura futurista: la quale parte da premesse divisioniste e neo-impressioniste, italiane e parigine, con componenti simbolistiche e vagamente espressionistiche di radice mitteleuropea, per poi incontrarsi e misurarsi con la più vistosa novità di quel momento, il cubismo francese, conosciuto dai futuristi alla fine del 1911.
I problemi di linguaggio, che tanto più in questo momento iniziale sono decisamente preminenti sui contenuti e sulla tematica stessa della macchina, sono comunque condizionati (per esempio nella perseguita violenza dei contrasti dei colori, nell'intenzione di coinvolgimento e scuotimento del pubblico) dall'adesione ideologica ai principi del ‛modernismo' marinettiano, il cui carattere più immediatamente percepibile è l'esaltazione della macchina e della velocità, elevata a ‛religione' dell'uomo moderno. In questo senso il futurismo interpreta gli impulsi produttivi e le necessità di ricambio di una società capitalistico-industriale che proprio a causa della sua arretratezza di sviluppo, in Italia, poteva far sentire con maggiore veemenza la propria pressione di crescita e il proprio bisogno di espansione.
Il futurismo va tuttavia oltre, identificando questo bisogno di espansione con un istinto di rivolta dalle ambigue e variamente diramate radici politiche e culturali: il cui esito non è poi soltanto la distruzione, ma anche la concreta impostazione di quella ricerca di ristrutturazione del linguaggio che sarà, contemporaneamente e dopo il futurismo, l'operazione di tutte le avanguardie e neoavanguardie occidentali.
2. I caratteri originali
L'originalità del futurismo, infatti, non consiste certamente nell'esaltazione della macchina, e neanche nel suo apprezzamento estetico, di cui esistono numerosi precedenti: già, per esempio, nel 1856 Samuel Atkins Eliot annoverava i transatlantici fra i migliori esempi di belle arti'. Ma il futurismo non si limitò a idolatrare la macchina; esso intese l'influenza che la macchina, e più in generale i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione, avrebbero necessariamente esercitato sulla sensibilità generale. In questo senso gli assunti del futurismo furono ben chiariti da F. T. Marinetti nel manifesto intitolato Immaginazione senza fili, del maggio 1913: ‟Il futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che oggi fanno uso del telefono, del telegrafo e del grammofono, del treno, della bicicletta, della motocicletta, dell'automobile, del transatiantico, del dirigibile, dell'aeroplano, del cinematografo, del grande quotidiano, non pensano che queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d'informazione esercitano sulla loro psiche una decisiva influenza".
Conseguentemente, il futurismo non si è limitato a inventare nuovi soggetti, nell'ambito di una tematica modernista; ma ha cercato le concrete ripercussioni del nuovo ideale meccanico e modernista (spinto a intuizioni che si ritroveranno solo in recenti studiosi della comunicazione come McLuhan) sulla struttura del linguaggio artistico, e anzi su tutto un comportamento di arte e di vita.
Anche quando lancia i più paradossali slogan, Marinetti è meno banale e diretto di quanto si creda. Come la vaporiera del Carducci, l'automobile da corsa del manifesto marinettiano di fondazione del futurismo è un simbolo; l'intero manifesto è un'apologia, che celebra il trionfo della ‛follia', ovvero dell'irrazionale, sulla ‛razionalità' dei benpensanti (motivo che ha radici nella cultura anti-positivistica, romantica e simbolista, e si svilupperà nel surrealismo).
Per Picasso, le sculture negre non sono belle come la Venere di Milo, ma di più; per Marinetti l'automobile da corsa ‛è più bella' della Vittoria di Samotracia. In entrambi i casi i termini scelti per il confronto sono indicativi e niente affatto casuali. Il profilo della Venere di Milo, e in particolare il suo massiccio naso greco allineato con la fronte, la forte struttura delle orbite e della bocca, resteranno dominanti nella tipologia femminile di Picasso. La Vittoria di Samotracia è invece una figura impetuosa e gonfia di vento, protesa dinamicamente dalla prua di una nave. Più bello della Vittoria di Samotracia vuol dire, nel linguaggio neoeracliteo dei futuristi, più dinamico, più avventato, più esposto.
Analogamente, è da rilevare che la famosa affermazione del Manifesto tecnico della pittura futurista del 1911: ‟Tutto si muove, tutto corre" (poi emblematizzata in un quadro di Balla), è proprio una citazione dal πάντα ῥεῖ di Eraclito; e schiettamente eraclitea, e conseguente a una visione del mondo come divenire, è la ben nota tesi marinettiana, reperibile già in Hegel, in Nietzsche, in Darwin, che la ‛guerra' sia legge di tutte le cose.
La polemica dei futuristi contro la staticità cubista, non è dunque pretestuosa, ma ben conseguente alla loro visione, anche se della scomposizione cubista essi si valsero largamente. Ma innestarono il linguaggio cubista in un contesto di ricerche figurative autonome, già indipendentemente attuate prima della conoscenza stessa del cubismo e sollecitate dalle istanze del movimento.
È sul problema della rappresentazione del movimento che si concentrano le ricerche del futurismo figurativo fino al 1914-1915, quando Marinetti intuisce che questo era, in qualche modo, un falso problema: non si tratterà tanto di ‛rappresentare' il movimento in forme artistiche, non si tratterà tanto di ‛rappresentare' la vita in un quadro o in una scultura, quanto di movimentare l'arte, di rendere l'oggetto artistico mobile e vivo, attivo, e di trovare una concreta comunicazione tra arte e vita. Questa idea marinettiana, presente nei suoi scritti dal 1912 in poi, troverà un concreto riscontro nelle arti figurative solo dopo la scomparsa di Umberto Boccioni: questi (nato nel 1882) muore nel 1916, ma già nel 1914-1915 - proprio intuendo questa nuova svolta del movimento - incomincia ad allontanarsi dal futurismo.
Ma finché Boccioni è vivo e attivo in seno al movimento futurista, è lui, per le arti, il protagonista. Firma e in gran parte scrive i manifesti della pittura, firma da solo il manifesto della scultura, prepara un manifesto dell'architettura futurista (che però Marinetti bloccherà, sostituendolo con quello di A. Sant'Elia).
3. I protagonisti
La preoccupazione costante di Boccioni è si la rappresentazione del movimento, ma intendendo il movimento in senso totale, come principio di energia che anima l'universo, come ‛divenire' per l'appunto, e non tanto come spostamento fisico di un corpo da un punto all'altro dello spazio. Quest'ultimo modo di pensare e di rappresentare il movimento, che è invece proprio di altri futuristi, provoca polemiche e reazioni da parte di Boccioni. Egli non condivideva l'operato, soprattutto, di G. Balla, il quale assumeva come chiave e giustificazione delle proprie figurazioni dinamiche il principio cinematografico della persistenza delle immagini sulla retina, rappresentando un cagnolino a passeggio con un numero sproporzionato di zampe, in omaggio a quel passaggio del Manifesto tecnico della pittura futurista che Boccioni aveva considerato subito molto pericoloso: ‟un cavallo in corsa non ha quattro zampe: ne ha venti, e i loro movimenti sono triangolari".
L'idiosincrasia di Boccioni per la ‛riproduzione schematica o successiva della statica e del moto' è in tutto analoga al rifiuto che il filosofo Bergson opponeva al cosiddetto ‛tempo spazializzato' della scienza positiva, cioè al tempo dell'orologio, ridotto a successione di attimi; per Bergson e così per Boccioni, il tempo è da valutarsi globalmente come perenne attualità, cioè come ‛durata', pura dimensione della coscienza.
Per Boccioni un corpo fermo si muove - in quanto partecipa del dinamismo universale - non meno di uno che si sposta. Occorre aggiungere che, di questo corpo, Boccioni non intende darci solo la percezione immediata, e neanche la percezione immediata del suo eventuale passaggio nello spazio, ma la sintesi delle sue ubicazioni nel tempo. Dunque a Boccioni non interessa tanto il principio della persistenza delle immagini sulla retina, quanto appunto il motivo bergsoniano della persistenza dei contenuti della coscienza, cioè il principio della ‛durata', che si realizza nella memoria. Nella ‛simultaneità', teorizzata dai futuristi, la memoria può agire a lungo raggio (sebbene il ricordo in senso evocativo sia presente quasi soltanto in Severini e Russolo, non in Boccioni), oppure a raggio anche brevissimo: il ricordo immediato della posizione assunta un attimo prima dalla figura che ora percepiamo, dinamicamente e provvisoriamente, in una nuova posizione, e già pensiamo, con l'immaginazione del futuro, in un'altra; senza con ciò creare una veristica e scientifica ‛sequenza', ma un intreccio, appunto, di percezione, memoria e progetto.
Nelle opere anteriori alla conoscenza del cubismo, la ‛simultaneità' si attua con una presentazione della figura che, secondo le parole del manifesto, ‟va e viene", ‟rimbalza", appare e scompare, sollecitata dalla ‛vibrazione universale', e si offre in più momenti e situazioni, anche dilato o di dietro, in una sintesi ottico-mnemonica dei punti di vista e dei tempi. Alla realizzazione della ‛simultaneità' il cubismo offrirà poi, nella seconda metà del 1911, nuovi strumenti, suggerendo la scomposizione della figura e una possibilità, quindi, di dislocare in diversi punti dello spazio-tempo non più la figura nella propria totalità, ma le sue parti.
Tra gli esempi più tipici di attuazione della ‛simultaneità' (questa idea in fondo così affine alle intuizioni da cui in Francia muovono i cubisti), prima della conoscenza del cubismo stesso, sono da citare in particolare La città sale (1911) e Lutto (1910) di U. Boccioni. In Lutto non si tratta a una lettura attenta ciò diventa evidente - di sei figure, quante ne vediamo, ma al massimo di due, ripetute in tre atteggiamenti di disperato dolore: o addirittura di una, i cui capelli canuti, come in una proiezione espressionistica, divengono a tratti di fiamma. Questa figura - o questa coppia di figure - è dunque vista in diversi momenti (simultaneamente presentati) del suo dibattersi, con una conseguente intensificazione anche del contenuto drammatico.
In La città sale, il turbine che avvolge il cavallo è la forza del progresso, del divenire, della vita, ma è anche un flusso psicofisico nel quale spazio e tempo si rincorrono mangiandosi la coda, fissando la visione come in un intrico di attimi folgoranti, di lampi al magnesio, che si coordinano simultaneamente nella dimensione ottico-mnemonica, e costituiscono qualcosa di assai diverso, evidentemente, dalle cronofotografie o fotodinamiche cui s'ispirava Balla. Il gruppo del cavallo è ripetuto vicino-lontano, a destra e a sinistra, in più punti del quadro: è uno e molti.
Anche in Gli addii, abbozzati prima di conoscere il cubismo, ed eseguiti nella loro versione definitiva subito dopo il viaggio a Parigi dell'autunno 1911, non si tratta di tante coppie abbracciate, ma di una stessa coppia, riprodotta in diverse ubicazioni e proiezioni spazio-temporali: situazione che non ha assolutamente riscontro nel cubismo, senza considerare la violenza dei colori; ma ormai la scomposizione delle figure consentirà sempre più e sempre meglio, invece che di ripeterle intere, di dislocarne in più punti le diverse parti. Si tratterà, pur sempre, di ‛simultaneità', cioè di una ‛sintesi' di quello che si ricorda e di quello che si vede: dove tra ricordo, intuizione, percezione non c'è quasi differenza, appunto perché il tempo non è frazionato in una successione puntiforme, ma è espresso come ‛durata' e convergenza di questi diversi atti mentali.
Per Bergson la ‛durata', oltre che memoria, è al tempo stesso ‛slancio vitale', cioè divenire e creazione in atto, e anche questa suggestione sembra riflettersi sul futurismo e su Boccioni. Tuttavia al coscienzialismo assoluto e allo spiritualismo di Bergson i futuristi, i quali parlano appunto di ‛vibrazione universale' e sentono profondamente la saturazione luminosa dello spazio impressionista, integrano il dato attivo della sensazione, in uno con quello della luce, che si presenta, specie in Boccioni, corposa e densa, molecolare. Pur tenendo presente l'opposizione bergsoniana di materia e movimento, materia come morte e movimento come vita (‟il moto e la luce - dice il Manifesto tecnico della pittura futurista - distruggono la materialità dei corpi"), Boccioni e i futuristi finiscono così per orientarsi verso la soluzione energetica (da cui era partito lo stesso Einstein) che riduce anche la materia a energia. Movimento è dunque energia, spiegazione della materia e della vita: ecco in ultima analisi la filosofia di Boccioni, ed ecco la funzione dirompente del colore entro le strutture squassate della forma: una funzione attivante dello ‛slancio vitale'. In questo quadro ideologico, rientra anche il ‛polimaterismo', l'uso di materie brutali che Boccioni introdusse nell'arte, non con l'intento formalistico del collage cubista ma per dimostrare, appunto, l'azione attivante del movimento e della luce sulle materie.
‟La materia, considerata nella sua azione, perde la sua integralità", scrive bergsonianamente anche G. Severini all'incirca in quegli stessi anni. Anch'egli parla, come Boccioni, di ‟emozioni plastiche" e di ‟ambiente emotivo". Ma alla foga di Boccioni sostituisce il brio e la leggerezza; l'emozione, più che in termini diretti, viene comunicata in termini traslati, musicali, di ritmo. Il colore non ha la carica aggressiva di Boccioni, ma è trillante e sereno, sciolto in una vibrazione diffusa della luce, e si riallaccia al neoimpressionismo francese.
Più decisamente ancora di Boccioni, Severini punta poi sulla carica emotiva del ricordo per attuare la ‛simultaneità' o ‛durata' di ciò che è attuale, e in Ricordi di viaggio (così come Russolo in Ricordi di una notte) è quasi sul punto di approdare a una pittura di rievocazione. Ma il tema del ricordo si sviluppa e si arricchisce in quello marinettiano dell'analogia ‛reale' e ‛apparente' (per es.: Mare-danzatrice-mazzo di fiori). L'analogia è, secondo Severini, una ‟continuità qualitativa" che la materia sviluppa allorché, attraverso il movimento, ‟perde le sue quantità integrali". ‟Perciò - egli conclude - la nostra espressione plastica sarà soltanto qualitativa". L'analogia è dunque un mezzo per ridurre a pura qualità, cioè a puro simbolo cromatico-luminoso, l'elemento sensoriale, tattile, visivo, auditivo che sia. Anche se la sensazione non è affatto rinnegata da Severini, essa è depurata e ricondotta a una simbologia eminentemente formale, che tenderà sempre più a trovare la propria espressione astratta nel ritmo.
Per Carrà il problema è quasi opposto: non rarefare e depurare la sensazione, ma condensarla. Carrà insiste sulla ricchezza di spessori, come a strati multipli, della sensazione. Non propone i colori gridati di Boccioni, né quelli luminosi e aerei di Severini; elabora una tavolozza pressante, moderna nei timbri, ma viscosa e densa, come per trattenere, compenetrandole, le qualità sensibili. È Carrà a parlare, prima di Malevič (che ripeterà l'espressione, ma con tutt'altra intenzione poetica), di ‛pura sensibilità'. Un manifesto di Carrà del 1913 propone degli ‟insiemi plastici astratti, cioè rispondenti non alle visioni ma alle sensazioni nate dai suoni, dai rumori, dagli odori". ‟Questo ribollimento - egli scrive - o turbine di forme e di luci sonore, rumorose e odoranti è stato reso in parte da me nel Funerale di un anarchico e in Sobbalzi di fiacre [...]. Questo ribollimento implica una grande emozione e quasi delirio dell'artista, il quale per dare un vortice, deve essere lui stesso un vortice di sensazioni". A parte la ripresa letterale dell'assunto o almeno del termine nel ‛vorticismo' inglese, la pittura di Carrà, con I funerali dell'anarchico Galli (1911), è la prima a sviluppare quegli andamenti rotatori che trionferanno nell'orfismo francese.
Mentre Carrà, Severini, Boccioni e Russolo presentano coincidenze e sincronismi nelle fasi del loro sviluppo, G. Balla segue uno svolgimento indipendente. Nel 1912 realizza la scomposizione del movimento in termini analitici, ispirati come si è detto alla cronofotografia e alla fotodinamica. Fin dai dipinti prefuturisti, del resto, traspariva un interesse ‛scientifico' (di segno diverso dunque da quello ‛filosofico' di Boccioni) per la fotografia, anche nelle inquadrature. Il punto di partenza è Degas, con le sue pennellate in dissolvenza che mimano l'istantanea fotografica, e con il decentramento degli spazi e l'audacia dei tagli, spesso ridotti da Balla a un perentorio dettaglio. Mentre Boccioni punta a una sintesi soggettiva, Balla si attiene a un'analisi oggettiva. Egli non pretende di rilevare la realtà nella sua interezza, ma opera sempre una scelta, anche ristretta: non inquadra il totale, ma il particolare. Non crea strutture complesse, ma arabeschi elementari. La differenza è evidente tanto in pittura, quanto in scultura, dove, alle forme congestionate e complesse di Boccioni, si oppongono i nitidi profili delle sue traiettorie astratte, tracciate nell'aria con il fil di ferro.
All'atteggiamento scientifico-positivista si sovrappone, poi, il principio magico-teosofico della ‛corrispondenza'. E questo in effetti il profondo legame che le Compenetrazioni iridescenti, dipinte tra la fine del 1912 e il 1914, intendono esplorare. Si tratta di composizioni totalmente astratte, basate su innesti di forme triangolari, a tessuto regolare, certo ispirato dalla cultura secessionista; ma Balla assume il motivo con una nuova purezza e intensità pittorica. L'idea della ‛compenetrazione' rimanda a quella, fondamentale nell'ambito ermetico e teosofico, dell'integrazione dei contrari e della congiunzione ‛mercuriale', che è poi velata nel tema stesso dell'iride, simbolo della compresenza e armonia dei colori. Vi si adombra una poetica idea di totalità, intesa come legge d'amore e meccanismo d'attrazione; questa totalità è però colta nel particolare, giacché le grandi strutture del cosmo si rispecchiano nelle piccole, il macrocosmo nel microcosmo. (La diffusione della teosofia e del pensiero ermetico nella cultura dell'avanguardia è abbastanza vasta).
Il 1913 è, per Balla, anche l'anno delle Velocità di automobili e dei Voli di rondini. Lo stesso movimento è reso ora in termini decisamente più astratti, pur restando Balla fedele alla rappresentazione dinamica come sequenza o traiettoria. L'immagine s'apre a ventaglio in una rapidissima successione e il chiaroscuro, con il suo crescendo e poi con il suo svanire, evidenzia il senso del veloce trapassare. Tra i guizzi e le picchiate delle rondini si insinuano delle traiettorie astratte, luminose, che Balla chiamava ‟linee andamentali"; esse individuano un punto di vista mobile, che corrisponde a quello del pittore, mentre nel suo studio a finestre spalancate passeggiava avanti e indietro: è necessaria infatti, secondo Balla, la duplice valutazione degli spostamenti del soggetto e dell'oggetto per un'immagine ‛realistica' del movimento (la cui ‛relatività' era postulata anche in alcuni accenni marinettiani di quegli anni).
In Mercurio che passa davanti al sole, che Balla dipinge in diverse versioni nel 1914, la rappresentazione di questo evento astronomico è ridotta a quegli stessi elementi, cioè triangoli e cerchi, che alludono al dinamismo astratto delle automobili: il triangolo è infatti la forma dinamica per eccellenza, la forma ‛penetrante'. Oramai la pittura di Balla non aspira più a rappresentare l'oggetto, ma a darne l'essenza, lo stato rivelativo; e tale essenza di cui si sostanzia l'immagine è in ultima analisi la sensibilità del pittore, il suo lirismo: è l'etereo diffuso, che tutto permea. Questa costante, lirica e delicata, non esclude tuttavia il vigore stereometrico dell'impianto e, spesso, la squillante energia del colore, che interpreta un messaggio gioioso e ottimistico.
Il naturale ottimismo di Balla - così diverso dal senso drammatico di Boccioni - s'intensifica poi e si fa programmatico per l'influenza dell'‛ilarità' marinettiana e della giocosa poesia di Palazzeschi, cui s'ispirano le colorate tavole parolibere dello stesso Balia. Il manifesto della Ricostruzione futurista dell'universo, redatto nel 1915 da Balla e Depero, nasce dalla confluenza del futurismo con il filone Jugendstil, che già aveva suggerito a Balla l'interesse per l'ambiente dell'uomo, per i mobili e l'arredamento, per l'opera d'arte che entra nella vita. L'obiettivo è ora di ‟ricostruire l'universo rallegrandolo, cioè ricreandolo integralmente", attraverso l'ilarità, essendo l'ilarità energia e vita allo stato puro.
4. La ricostruzione futurista dell'universo
Questo fondamentale manifesto, che segna la svolta, cui prima si accennava, dall'arte di ‛rappresentazione' a un'arte di ‛azione', non può essere inteso senza avere prima valutato come s'era sviluppata in quegli anni, contemporaneamente, la ricerca marinettiana, dalle ‛parole in libertà' e dal ‛teatro di varietà', alle ‛sintesi' teatrali e all'organizzazione delle varie serate futuriste.
Mentre infatti per Boccioni l'arte restava soprattutto un fine, per Marinetti essa diventava sempre di più un mezzo, un'arma da combattimento, uno strumento per raggiungere l'obiettivo prefisso, che era quello di svecchiare il mondo, di ringiovanirlo, appunto, con un messaggio dissacrante e spregiudicato, che mettesse in crisi le polverose strutture del benpensante borghese.
Il più significativo dei manifesti marinettiani, in questo senso, è quello del Teatro di varietà, del 1913, che riveduto e corretto costituì uno dei segreti modelli del carattere del Cabaret Voltaire dadaista. Contatto tra platea e palcoscenico, dissacrazione sistematica di tutti gli schemi antiquati e solenni dell'arte, trionfo dell'energia fisica, della risata e della spontaneità, fino alla celebrazione dell'‛imbecillità' e dell'‛assurdo', sono i temi su cui batte Marinetti che già nel 1909 predicava la ‛pazzia', temi che saranno così fecondi d'indicazioni per il dadaismo: ‟10. tutta la gamma della stupidaggine, dell'imbecillità, della balordaggine e dell'assurdità, che spingono insensibilmente l'intelligenza fino all'orlo della pazzia; 11. tutte le nuove significazioni della luce, del suono, del rumore e della parola, coi loro prolungamenti misteriosi e inesplicabili nella parte più inesplorata della nostra sensibilità; 12. cumolo di avvenimenti sbrigati in fretta e di personaggi spinti da destra a sinistra in due minuti [...]; 13. pantomime satiriche [...]. Massima frenesia muscolare dei negri. Alla psicologia si oppone la fisico-follia. Acrobatismo dei Giapponesi [...]. Eseguire una sinfonia di Beethoven a rovescio [...]. Far recitare Ernani da attori chiusi fino al collo in tanti sacchi [...]. Capelli verdi, braccia violette décolleté azzurro, chignon arancione [...]. Travestimenti impensati [...]. Utilizzare la collaborazione del pubblico. Questo non rimane statico [...], ma partecipa rumorosamente all'azione. L'azione si svolge a un tempo sul palcoscenico, sui palchi e nella platea. Introdurre la sorpresa e la necessità di agire fra gli spettatori [...]. Provocare chiassate con gesti osceni. Il teatro di varietà collabora alla distruzione futurista dei capolavori immortali, plagiandoli, parodiandoli".
Altro suggerimento futurista al dadaismo e al surrealismo è quello contenuto nei manifesti letterari di Marinetti (specie nelle Risposte del 1912), dove è già predicata la scrittura automatica, che nasce da ‟uno stato d'animo quasi interamente intuitivo e incosciente". ‟La mano che scrive - dice Marinetti - sembra staccarsi dal corpo e si prolunga in libertà assai lungi dal cervello che, anche esso in qualche modo staccato dal corpo e divenuto aereo, guarda dall'alto, con una terribile lucidità, le frasi inattese che escono dalla penna [...]. Uno spazio più bianco più o meno lungo, indicherà i riposi o i sonni più o meno lunghi dell'intuizione". Al ‛subconscio' Marinetti porge attenzione al fine, sempre, di liberare il potenziale d'energia compresso e represso nell'uomo; il subconscio è (come la macchina) un simbolo dell'irrazionale e un segno dell'energia.
Anche il ritorno al linguaggio infantile sarà così uno dei temi anticipati da Marinetti, come ci testimonia, per esempio, uno scritto di Lunačarskij del 1913, che parla di un dibattito futurista avvenuto in quell'anno a Parigi, in occasione della mostra di sculture polimateriche di Boccioni. Allora Lunačarskij era particolarmente animoso contro i futuristi (contro quelli italiani, ma anche contro quelli russi, che - egli diceva - in confronto ai loro prototipi italiani sono un riflesso deforme e ai contempo scialbo e assurdo). ‟Rifacendosi a un'affermazione di Marinetti - egli scriveva - secondo cui dovremmo ritornare al linguaggio infantile, un vecchio barbuto gli predice che presto non dirà altro che mamma e papà": allo stesso titolo, dada, se questo vocabolo infantile, come sembra evidente, non fu scelto a caso (come vorrebbe la leggenda), ma con cura, come prima parola che s'incontra nel ‛vocabolario' del bambino.
Il manifesto della Ricostruzione futurista dell'universo è dunque condizionato profondamente da queste premesse marinettiane, e dalla proposta, in parte risalente allo stesso Marinetti, di abbandonare i vecchi generi della pittura e della scultura, per un'arte che sia ‛presenza', ‛oggetto' e ‛azione'. Depero e Balla prevedono così in questo scritto (e in parte realizzano) dei ‟complessi plastici" fissi o anche mobili, costruiti con ‟fili metallici, di cotone, lana, seta, d'ogni spessore, colorati. Vetri colorati, carteveline, celluloidi, reti metalliche, trasparenti d'ogni genere, coloratissimi, tessuti, specchi, lamine metalliche, stagnole colorate, e tutte le sostanze sgargiantissime. Congegni meccanici, elettrotecnici, musicali e rumoristi; liquidi chimicamente luminosi di colorazione variabile, molle, leve, tubi, [...] acque, fuoco, fumi".
Il polimaterismo boccioniano è ormai utilizzato non per integrare, ma per sostituire la pittura e la scultura.
5. Il futurismo e la politica
Siamo nel 1915. Il futurismo esce da una battaglia vinta, quella dell'interventismo; il paese è in guerra per conseguenza, anche, della pressione esercitata dai futuristi. Questa vittoria sembra far concretamente toccare la convergenza arte-vita e testimoniare l'efficacia e l'urgenza di un' azione artistica estesa dai musei alle piazze. Riannodando di fatto vincoli finora solo ipotizzati tra comportamento e linguaggio, questo successo agisce ora come incentivo per un'ulteriore elaborazione, su scala dilatata, delle strutture linguistiche, e fa apparire più ampio l'orizzonte delle loro applicazioni.
A partire dal 1914-1915 l'arte futurista progetta, in effetti, con tale metro. Sant'Elia, nel manifesto L'architettura futurista (1914), prevede non soltanto metropoli irte di levigati grattacieli, sistemi viari a diversi livelli, ma, contrapponendo alla ridondanza decorativa e alla monumentalità di vecchi edifici in pietra o in muratura l'agilità scheletrica dei nuovi materiali, applica alla città l'ideologia futurista dell'anti-duraturo e dell'anti-eterno: in questo caso dell'architettura da vivere e da consumare. ‟Le case dureranno meno di noi. Ogni generazione dovrà fabbricarsi la sua città". Sant'Elia non propone un nuovo stile, ma un ‟costante rinnovamento dell'ambiente architettonico".
È progettato dunque ormai l'ambiente futurista, la ‛macrostruttura' ambientale nei suoi caratteri di continua mutevolezza e agilità, cui ogni opera dovrà commisurarsi; l'opera tenderà così a essere concepita, non più come un inserto inerte e chiuso nella propria bidimensionalità, ma come un elemento vivo, compartecipe del dinamismo e della tridimensionalità dell'ambiente. Nel succitato manifesto per la Ricostruzione futurista dell'universo i ‟complessi plastici" si muovono, si trasformano e si dissolvono; oggetto d'ispirazione e di attenzione è ogni azione che si sviluppa nello spazio". Vengono proposti il ‟giocattolo futurista", il ‟concerto plastico-motorumorista nello spazio", il ‟vestito trasformabile", l'‟edificio di stile rumorista trasformabile".
La connessione tra il manifesto L'architettura futurista e quello per la Ricostruzione futurista dell'universo è confermata da una più tarda ‛sintesi teatrale' di Marinetti, che s'intitola Ricostruiamo l'Italia con l'architettura futurista di Sant'Elia, dove alla progettazione di grandi solidi spaziali, architettonicamente e formalmente delineati come una sorta di ‛strutture primarie' in equilibrio instabile, si alterna quella di paradossali interventi sulla natura (del tipo: ‟plasmiamo il mare") che amplificano il filone lirico-immaginativo del manifesto di Balla e Depero.
Per ricostruire futuristicamente il mondo, bisognava che gli artisti futuristi amministrassero la cosa pubblica: il che è previsto nei manifesti politici di Marinetti, in cui ricorre l'invocazione ‟gli artisti al potere", che sarà parafrasata da Breton (‟l'immaginazione al potere").
Ma proprio sul piano politico matura ormai invece, rapidamente, lo scacco futurista; l'avvento del fascismo - che utilizza in parte degli slogan futuristi, come ‟largo ai giovani o marciare non marcire", sia pure inserendoli in un contesto aberrante - sottrae ogni iniziativa e ogni spazio politico al futurismo.
Marinetti dapprima è in urto con Mussolini, poi, per opportunità, si schiera dalla sua parte, ma abdicando così a ogni seria e autonoma ambizione politica. Dove poteva sfociare, a questo punto, l'esaltata volontà di ‛ricostruzione dell'universo'? L'incanalamento naturale, del resto l'unico possibile, fu verso il teatro e lo spettacolo, nel solco genialmente aperto dal già ricordato Teatro di varietà e dalle sintesi teatrali. Quello dello spettacolo futurista è, certo, un capitolo a sé, ma fondamentale; con molte ingenuità, ma anche intuizioni e novità, per il cinema e il teatro, con Bragaglia, Prampolini, Depero, Ginna.
6. Il futurismo e lo spettacolo
Prampolini, nel 1932, aveva pubblicato il manifesto tecnico L'atmosfera scenica futurista, riassumendovi le proprie esperienze teatrali a partire dal 1915-1916: ‟Architettura elettro-dinamica polidimensionale di elementi plastici e luminosi in movimento nel centro del cavo teatrale. Questa nuova costruzione teatrale per la sua ubicazione permette di fare sconfinare l'angolo visuale prospettico oltre la linea di orizzonte, spostando questo al vertice e viceversa in simultanea compenetrazione, verso un'irradiazione centrifuga di infiniti angoli visuali ed emotivi dell'azione scenica. Dalla pittura, scenosintesi, alla plastica, scenoplastica, da questa all'architettura dei piani plastici in movimento, scenodinamica. Dal palcoscenico tradizionale a tre dimensioni, alla creazione dello spazio scenico polidimensionale; dall'attore umano, alla nuova individualità scenica dell'attore spazio; da questo al teatro poliespressivo futurista, che già vedo profilarsi architettonicamente al centro di una valle di terrazze spiraliche, collina dinamica sulla quale s'innalza arditamente la costruzione polidimensionale dello spazio scenico, centro d'irradiazione dell'atmosfera scenica futurista. Il teatro dovrà [...] assumere la funzione di un organismo trascendente di educazione spirituale nella vita collettiva [...] ogni spettacolo sarà un rito meccanico dell'eterna trascendenza della materia, una rivelazione magica di un mistero spirituale e scientifico".
È agevole riconoscere in queste parole l'artista che, in pittura, aveva più di ogni altro approfondito il filone sperimentale del polimaterismo, dopo Boccioni e Balia, con lo scopo di ‛spiritualizzare la materia', farla protagonista del dipinto ed evidenziarne il valore evocativo (allo stesso modo che in teatro faceva protagonista la luce o l'atmosfera scenica, sostituendola alla scena), nonché, sempre in pittura, di quelle visioni extraterrestri e stratosferiche informate a una bioplastica di ascendenza surrealista (Prampolini è anche colui che porta avanti con piena consapevolezza, a livello culturale, l'istanza europeistica e internazionalistica del futurismo): visioni che costituivano una sorta di variante cosmica rispetto ai temi allora dominanti dell'aeropittura.
Né sarà difficile avvertire, più in generale, l'affinità di clima spirituale con l'aeropittura stessa. Questa nasce ufficialmente con un manifesto del 1929, firmato da Balla, Depero, Dottori, Fillia, Marinetti, Prampolini, Somenzi, Tato. ‟Le intuizioni profonde della vita congiunte l'una all'altra, parola per parola, secondo il loro nascere illogico, ci daranno le linee generali di una psicologia intuitiva della materia. Essa si rivelò al mio spirito dall'alto di un aeroplano. Guardando gli oggetti da un nuovo punto di vista, non più di faccia o per di dietro, ma a picco, cioè di scorcio, io ho potuto spezzare le vecchie pastoie logiche e i fili a piombo della comprensione antica": così scriveva Marinetti nel 1912, dando alla prospettiva aerea il valore e il significato simbolico di un drastico capovolgimento della mentalità comune. Tuttavia questo senso polemico viene meno già nelle prime adozioni pittoriche del punto di vista aereo, che si hanno con Dudreville e con Balla: in questi dipinti la visione aerea è una visione lirica, ‛elevata', spirituale, e non è collegata al tema della macchina e dell'aeroplano. Sironi, nel suo momento macchinistico-futurista, fu poi il primo o tra i primi a dipingere un aeroplano; nel 1919 F. Azari pubblica il Manifesto del teatro aereo futurista, proposta per uno spettacolo di massa con evoluzioni dialoganti di aeroplani; all'incirca da questo momento alcuni pittori futuristi cominciano a dipingere vedute mobili di paesaggi dall'aereo, e il primo e il più ispirato è G. Dottori. L'assunto polemico marinettiano della veduta dall'alto resta escluso, così come è assente ogni intenzione di alludere, con la rappresentazione della macchina volante, alla ‛follia' e all'‛irrazionale' nel senso già proclamato da Uccidiamo il chiaro di luna. Sono fortemente accentuati, invece, il lirismo e la coralità del volo, resi in una strutturazione plastica e in valori pittorici spesso di una certa finezza: così in Dottori come negli altri firmatari del manifesto del 1929, accanto ai quali sono da ricordare in particolare T. Crali, O. Korompay, lo scultore M. Rosso.
Ma rientrando nei limiti per quanto dilatati e ‛totali' dello spettacolo e del cosmo, la ‛rivoluzione' futurista ripiega ormai stancamente su se stessa. L'opera d'arte non serve più a propagandare la guerra e la lotta, ma richiama a se stessa questa lotta puramente simbolica: ‟superamento della guerra e della rivoluzione con una guerra e una rivoluzione artistiche-letterarie decennali o ventennali", è lo slogan che Marinetti lancia nel 1933. E già nel 1921, nel manifesto del Tattilismo, egli scriveva: ‟Invece di distruggere le agglomerazioni umane, bisogna perfezionarle. Intensificare le comunicazioni e le fusioni tra gli esseri umani. Distruggete le distanze e le barriere che li separano nell'amore e nell'amicizia. Date la pienezza e la bellezza totale a queste due manifestazioni essenziali della vita: l'Amore e l'Amicizia". Le ‛tavole tattili' proposte nello stesso manifesto dovevano essere un mezzo per affinare il senso del tatto e sviluppare, in tal modo, impreviste capacità di comunicazione fra gli esseri umani.
Nell'economia e nella logica del pensiero futurista, questa era in qualche modo una resa. Per altri aspetti, tuttavia, la proposta riprendeva quell'utopica e insieme profetica visione del mondo come - diremmo oggi - ‛villaggio globale', che alimenterà, nel 1933, in chiave cosmica, anche l'interessantissimo Manifesto della radio. ‟Un'arte nuova che comincia dove cessano il teatro cinematografo e la narrazione. Immensificazione dello spazio. Non più visibile e incorniciabile la scena diventa universale cosmica. Captazione amplificazione e trasfigurazione di vibrazioni emesse dalla materia [...]. Utilizzazione dei rumori dei suoni degli accordi, armonie simultaneità musicali o rumoriste dei silenzi [...]. Utilizzazione delle interferenze tra stazioni e del sorgere e dell'evanescenza dei suoni".
Infatti tale visione era fin dall'inizio contestuale al principio futurista (per esempio nel citato manifesto dell'Immaginazione senza fili del 1913) secondo cui alle nuove forme di comunicazione (come si accennava) avrebbe dovuto corrispondere un ‛nuovo senso del mondo', ovvero la ‛necessità, per l'individuo, di comunicare con tutti i popoli della terra': ‟da tutto ciò deriva in noi un ingigantimento del senso umano - concludeva Marinetti - e un'urgente necessità di determinare a ogni istante i nostri rapporti con tutta l'umanità".
Come si può conciliare tutto ciò con il lato ‛guerrafondaio' e nazionalistico del futurismo? Il discorso rimanderebbe alle contraddizioni delle avanguardie, di cui il futurismo, nelle sue esagerazioni e nei suoi ingenui limiti, nei suoi caratteri, se si vuole, caricaturali o persino, a tratti, goliardici, resta il modello più intimamente rivelante.
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