Futurismo
I rapporti tra il F. e il cinema, che si concretizzarono nel manifesto La cinematografia futurista pubblicato su "L'Italia futurista" (nr. 9, 1916) e nel film del medesimo anno Vita futurista di Arnaldo Ginna, furono di certo abbastanza intensi e parzialmente reciproci, sebbene i risultati finali non si possano considerare importanti, soprattutto se li si confronta con quelli delle altre avanguardie che si svilupparono negli anni seguenti (v. avanguardia cinematografica, e in particolare dadaismo e surrealismo). Tuttavia non v'è dubbio che la necessità di modificare, o meglio di sovvertire, l'arte e la cultura tradizionali propugnata da Filippo Tommaso Marinetti e dal suo gruppo, a partire dal famoso Manifeste initial du futurisme, pubblicato su "Le Figaro" nel 1909, e dai successivi interventi teorici e programmatici degli altri manifesti, trovò nel linguaggio cinematografico, con le sue molteplici possibilità di modificare l'immagine della realtà con trucchi, deformazioni, accelerazioni, montaggio di elementi vari e anche eterogenei, un fertile terreno, se non di sperimentazione (data la complessità e i costi della tecnica cinematografica), di studio e riflessione. In questo senso possono essere letti alcuni testi futuristi di quegli anni, in particolare il Manifesto tecnico della letteratura futurista (1912) in cui è detto: "Il cinematografo ci offre la danza di un oggetto che si divide e si ricompone senza intervento umano. Ci offre anche lo slancio a ritroso di un nuotatore i cui piedi escono dal mare e rimbalzano violentemente sul trampolino. Ci offre infine la corsa d'un uomo a 200 chilometri all'ora. Sono altrettanti movimenti della materia, fuor delle leggi dell'intelligenza e quindi di una essenza più significativa"; o Il teatro di varietà (1913) in cui si parla del cinematografo e del "numero incalcolabile di visioni e di spettacoli irrealizzabili" che esso può fornire; o infine La nuova religione-morale della velocità (1916), in cui Marinetti indica, fra i "luoghi abitati dal divino", anche "le films cinematografiche". È insomma un legame, quello che unisce il cinema al F., non superficiale, quasi che la nuova concezione del mondo che Marinetti e i suoi seguaci cercavano di proporre come nuova materia per la letteratura e l'arte, passasse anche e forse soprattutto attraverso la loro esperienza cinematografica. Sicché ha ragione R. Allard quando, nel 1911, definì i futuristi come coloro "che hanno tutti le cineprese nello stomaco" (cit. in S.D. Lawder, The cubist cinema, 1975; trad. it. 1983, p. 18). Tuttavia, per questi artisti, il cinema fornì soprattutto stimoli all'immaginazione letteraria e pittorica, evidenziando una serie di possibilità fantastiche che i futuristi seppero utilizzare in altri ambiti linguistici. Fu insomma per essi più una fonte di godimento "antiestetico", di sorpresa, di provocazione (come lo sarà in gran parte per i surrealisti), che non una tecnica da apprendere e da sperimentare. Da questo punto di vista certi film di quegli anni si possono considerare intrinsecamente 'futuristi'. Si pensi soltanto, in ambito italiano, ad alcuni film comico-grotteschi di André Deed (Cretinetti), nella fattispecie Cretinetti che bello!, noto anche come Cretinetti e le donne (1909), con la destrutturazione del protagonista, che viene smembrato come un fantoccio (l'"uomo moltiplicato" di Marinetti). Si pensi a certi brevi film di Ferdinand Guillaume (Polidor) con la loro comicità assurda, quasi surreale. Si pensi soprattutto ad Amore pedestre (1914) di Marcel Fabre (già interprete con lo pseudonimo di Robinet di una serie di film comici), che pare, con il suo gioco erotico-grottesco di gambe e di piedi, un microdramma futurista. Film e autori-attori che certamente influenzarono Marinetti e i futuristi e di cui si trovano tracce in certi testi teatrali "sintetici" e nello stesso manifesto Il teatro futurista sintetico (1915), firmato da Marinetti, Emilio Settimelli e Bruno Corra, in cui si può leggere: "Con questa brevità essenziale e sintetica, il teatro potrà sostenere e anche vincere la concorrenza col Cinematografo". Si ricordi inoltre che Marinetti e Corra progettarono allora un film intitolato Le mani, chiaramente "sintetico", e che Marinetti, nel microdramma Le basi, si ispirò evidentemente ad Amore pedestre. Ci fu insomma un interscambio di esperienze e di suggestioni, di intuizioni e di realizzazioni, tra F. e cinema, una sorta di filo rosso che legò insieme le molteplici manifestazioni artistiche, dominando il campo dell'avanguardia degli anni Dieci. In questa prospettiva si inseriscono gli esperimenti di "cinepittura" o di "musica cromatica" dei fratelli Corradini (Bruno Corra e Arnaldo Ginna), databili al 1910-1912, nonché quelli di "fotodinamica" di Anton Giulio Bragaglia, anch'essi databili a quegli anni: quest'ultimo tuttavia, nel suo libro Fotodinamismo futurista (pubblicato nel 1911, del 1913 la seconda e terza edizione), di grande interesse per le ricerche fotografiche in esso contenute, si pone in antitesi al cinema come "arte del movimento", contestandone anzi le possibilità estetiche. Bragaglia diresse anche un paio di film ‒ Thaïs (1917) e Perfido incanto (1918) ‒ che solo marginalmente possono essere considerati futuristi, nel senso che, almeno per quanto concerne Thaïs (dell'altro si sono perse le tracce), esso non esce dai limiti del gusto dannunziano allora imperante, se non per alcune soluzioni scenografiche di indubbia suggestione e modernità 'futurista', grazie alla collaborazione di Enrico Prampolini. Più interessante, naturalmente, doveva essere il film Vita futurista, realizzato nel 1916 da Ginna, con la collaborazione del fratello, di Marinetti, Settimelli, Giacomo Balla, Remo Chiti e Lucio Venna, che purtroppo è andato perduto, ma che bene rifletteva i programmi e le istanze del gruppo. Il film era articolato in una serie di episodi, scene e scenette interpretate dagli stessi futuristi e dai loro amici, mescolando varie tecniche di ripresa e vari trucchi cinematografici. La descrizione pubblicata su "L'Italia futurista" (1° ottobre 1916) ne fornisce un riassunto dettagliato: "Liberiamo il cinematografo dalla sua schiavitù di semplice riproduttore della realtà, dai confini di una fotografia movimentata, e innalziamolo ad arte, cioè a mezzo d'espressione: pittura, scultura, architettura, letteratura ecc.". La descrizione indica, fra l'altro, i seguenti episodi: Come dorme un futurista, Ginnastica mattutina, Colazione futurista, Ricerche d'ispirazione ‒ Dramma d'oggetti, Declamazione futurista, Discussione fra un piede, un martello e un ombrello, Passeggiata futurista, Lavoro futurista ‒ Quadri deformati idealmente ed esteriormente. Come si può intuire, è un campionario di possibilità filmiche, forse più interessante per le proposte di destrutturazione formale in esso contenute (con anticipazioni della poetica dadaista) che per le questioni linguistiche affrontate e risolte. Un campionario che solo in parte realizza le indicazioni contenute nel manifesto La cinematografia futurista pubblicato nel medesimo anno, firmato da Marinetti, Corra, Settimelli, Ginna, Balla, Chiti. È questo il testo fondamentale del cinema futurista, almeno come linee di tendenza e dichiarazioni programmatiche. È un testo al tempo stesso rivelatore e anticipatore, rispetto all'avanguardia cinematografica posteriore, ma anche generico e velleitario. Rivendicata la più assoluta libertà per il nuovo mezzo espressivo, vi si individuano gli elementi e le possibilità autenticamente 'futuriste', nella convinzione che "il cinematografo, essendo essenzialmente visivo, deve compiere innanzi tutto l'evoluzione della pittura: distaccarsi dalla realtà, dalla fotografia, dal grazioso e dal solenne" e diventare "antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero". Da queste premesse il manifesto passa a elencare quelli che devono essere i caratteri del cinema futurista, dalle "analogie cinematografate" alla "simultaneità e compenetrazione di tempi e luoghi diversi cinematografate", dalle "ricerche musicali cinematografate" ai "drammi d'oggetti cinematografati", dalle "ricostruzioni irreali del corpo umano cinematografate" alle "equivalenze lineari, plastiche, cromatiche ecc. di uomini, donne, avvenimenti, pensieri, musiche, sentimenti, pesi, odori, rumori cinematografati" e così via, per concludere: "Scomponiamo e ricomponiamo l'Universo secondo i nostri meravigliosi capricci". Come si è detto, queste intenzioni programmatiche sono rimaste in gran parte sulla carta: il cinema futurista non è mai nato veramente. Tuttavia le varie correnti dell'avanguardia cinematografica attinsero abbondantemente, in maniera diretta o indiretta, a questa sorgente tumultuosa e un poco torbida. Sicché, se il cinema futurista ha avuto un'esistenza precaria e casuale, l'influenza che il F. e i suoi manifesti hanno avuto sulle avanguardie successive è stata invece determinante e decisiva. Basti pensare, da un lato, a certe ricerche del cinema d'avanguardia in Germania negli anni immediatamente seguenti alla Prima guerra mondiale; dall'altro, agli esperimenti pratici e alle formulazioni teoriche di alcuni cineasti sovietici agli inizi degli anni Venti, per tacere della diretta influenza del F. italiano sul cubofuturismo russo, con un film come Drama v kabare futuristov n. 13 (Dramma nel cabaret futurista n. 13, 1913) di Vladimir P. Kas′janov o con gli interventi (e gli scenari) di Vladimir V. Majakovskij, di Michail F. Larionov e di altri in campo cinematografico. Anche i primi scritti di Lev V. Kulešov e le sue prove di montaggio, e più ancora i pro-grammi di Dziga Vertov e gli esperimenti del 'cineocchio', nonché le ricerche teoriche e pratiche del primo Sergej M. Ejzenštejn, si collocano sul versante della frantumazione dei linguaggi tradizionali e di quella scoperta della "velocità" e della "simultaneità" che l'avanguardia cinematografica sovietica aveva ereditato dal F. italiano attraverso il cubofuturismo russo. Né andrebbero sottaciute talune correnti del cosiddetto Impressionismo cinematografico francese e il movimento delle avanguardie parigine, dal Fernand Léger di Le ballet mécanique (1924) ai René Clair e Francis Picabia di Entr'acte (1924) al Man Ray di Retour à la raison (1923) sino al cinema surrealista e alla "sinfonia visiva" di Germaine Dulac, che risentono, probabilmente attraverso altri canali artistici e culturali, delle formulazioni programmatiche del manifesto di Marinetti e dei futuristi italiani.
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