Figueroa, Gabriel
Direttore della fotografia messicano, nato a Città di Messico il 24 aprile 1907 e morto ivi il 27 aprile 1997. Tra i maggiori interpreti del bianco e nero, insieme a Gregg Toland e a G.R. Aldo, F. è uno dei pochi direttori della fotografia il cui lavoro risulti caratterizzato da uno stile individuale, sostanziato dall'esaltazione della tridimensionalità dei volumi ‒ sia nell'illuminazione dei corpi, sia in quella di indimenticabili nubi che riempiono cieli corruschi ‒ e in grado di sfruttare le tonalità più dense della scala dei grigi. Elaborò inoltre un modo particolare di sottolineare i contenuti drammatici dell'immagine con l'uso di una gran quantità di filtri e 'velatini' che letteralmente disegnavano le ombre e innestò le suggestioni figurative dei pittori messicani populisti, da D.A. Siqueiros a J.C. Orozco, che conobbe e frequentò, sul ceppo del calligrafismo fotografico hollywoodiano di Stanley Cortez e di Toland. Offrì il meglio di sé fra gli anni Quaranta e Cinquanta, giungendo ben presto a una forma di manierismo fotografico di cui rimase prigioniero. Pur se non vinse alcun Oscar (poco amato dall'establishment hollywoodiano, non andò oltre una nomination per The night of the iguana, 1964, La notte dell'iguana, di John Huston), ottenne un enorme numero di riconoscimenti nei festival: a lungo rimase l'unico operatore famoso e apprezzato dalla stampa e dal grande pubblico. Nel 1971 ottenne il Premio Nacional de Artes, il più importante riconoscimento statale messicano ai protagonisti della cultura.
Di umili origini, dopo aver studiato disegno all'Accademia di San Carlos e violino al Conservatorio nazionale di Città di Messico, si dedicò all'attività di fotografo ritrattista. Nel 1931, grazie al fotografo G. Martínez Soares, per il quale lavorava alla stampa e al ritocco delle foto, entrò in contatto con il canadese Alex Phillips, direttore della fotografia del primo film sonoro messicano, Santa (1932) di Antonio Moreno, e iniziò a lavorare come fotografo di scena negli studi La Nacional. Fra il 1932 e il 1935 alternò questa attività con quella di assistente operatore. Affiancò Eduard K. Tissé sul set di ¡Qué viva México!, film iniziato da Sergej M. Ejzenštejn nel 1931 e mai completato, e rimase influenzato dal suo stile. Nel 1935, grazie a una borsa di studio della Clasa Films Mundiales, si trasferì per qualche tempo a Hollywood per perfezionarsi sul set al fianco di Toland. Nel 1936 esordì come direttore della fotografia nel film Allá en el Rancho Grande diretto da Fernando de Fuentes. Fra gli anni Trenta e Quaranta trasferì nella fotografia cinematografica alcuni accorgimenti adottati dai fotografi paesaggisti, tra cui filtri colorati che modificavano la densità dei grigi, specialmente sulle nuvole e sul cielo. Queste scelte delinearono il suo stile che divenne universalmente noto dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando ‒ grazie al successo dei film Flor silvestre (1943; Messico insanguinato) e soprattutto María Candelaria (1943; La vergine indiana), entrambi diretti da Emilio Fernández e interpretati da Dolores Del Río ‒ Cannes e gli altri grandi festival europei celebrarono F. come il nuovo maestro dell'immagine cinematografica. Sull'onda di questi successi, venne chiamato da John Ford per fotografare un film che riproponeva ambientazioni e cast messicano dei film di Fernández, The fugitive (1947; La croce di fuoco). In questo periodo fu anche molto attivo come sindacalista dei tecnici del cinema messicano, partecipando alla fondazione del nuovo sindacato dei lavoratori dello spettacolo. Nel 1949, in procinto di trasferirsi a Hollywood, si vide negare il visto d'ingresso per aver partecipato a un'assemblea indetta dal poeta P. Neruda al fine di sostenere i cineasti hollywoodiani accusati di attività antiamericane. Continuò così a lavorare in patria, dove era ormai una celebrità e poteva ottenere dai registi locali quella libertà di movimento che sicuramente gli sarebbe stata negata dalle majors. I registi con i quali F. collaborò più frequentemente furono Fernández, Roberto Gavaldón e Luis Buñuel. Ma nei film girati per quest'ultimo il direttore della fotografia messicano dovette rinunciare a quella che già allora era chiamata 'fotografia alla Figueroa'. Soprattutto in Los olvidados (1950; I figli della violenza), Nazarin (1958) e Simón del desierto (1965; Simon del deserto) Buñuel gli chiese infatti di rinunciare a una luce manierista ed estetizzante a favore di soluzioni più crude e realistiche. Cresciuto e affermatosi nell'epoca d'oro del bianco e nero, F. non si trovò mai a suo agio con il colore. Tuttavia il contributo che seppe dare a Under the volcano (1984; Sotto il vulcano) di Huston, penultimo film da lui fotografato, risulta esito rigoroso e calibrato anche nelle gamme coloristiche.
C. Fuentes, La mirada creadora, in "Artes de México", 1988, 2, pp. 3-15.
A. Ruy Sanchez, El arte de Gabriel Figueroa, in "Artes de México", 1988, 2, pp. 45 e segg.
T. Dey, Gabriel Figueroa: Mexico's master cinematographer, in "American cinematographer", 1992, 3, pp. 34-40.
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T. Jousse, Avec Luis Buñuel. Propos de Gabriel Figueroa, in "Cahiers du cinéma", 1993, 464, p. 45.
E. Feder, A reckoning, in "Film quarterly", 1996, 3, pp. 2-14.
E. Poniatowska, Todo México, 3° vol., Ciudad de México 1996, in partic. La mirada que limpia. Gabriel Figueroa; F. Romero, Gabriel Figueroa, hacedor de imágenes. Conversaciones, Bogotá 1996; Museo de Arte Carrillo Gil, Gabriel Figueroa y la pintura mexicana, Ciudad de México 1996 (catalogo della mostra).