Naude, Gabriel
Erudito e filosofo francese (Parigi 1600 - Abbeville, Somme, 1653). Studiò medicina e filosofia a Parigi e a Padova, dove fu allievo di Cremonini. Entrato (1630), come segretario e bibliotecario, nella casa del cardinale Francesco Guidi di Bagno, nunzio pontificio a Parigi, seguì il cardinale in Italia, dove rimase per dieci anni, soprattutto a Roma (1631-42). Alla morte del cardinale (1641), dopo un breve servizio presso il cardinal Barberini, fu chiamato a Parigi da A.-J.P. Richelieu per allestire la sua biblioteca e poi quella di G. Mazzarino, e quindi a Stoccolma da Cristina di Svezia. Autore di un Advis pour dresser une bibliothèque (1627), uno dei primi trattati di biblioteconomia, raccolse per Mazzarino una ricchissima biblioteca di circa 40 mila volumi, della quale una parte fu venduta nel 1651 durante la Fronda e una parte forma il nucleo dell’attuale Bibliothèque Mazarine. N. fu uno dei principali esponenti del libertinismo del sec. 17°. Al centro della sua cultura di grande erudito e bibliofilo è l’unione dell’aristotelismo eterodosso con lo scetticismo di Montaigne e Charron. Sulla base degli insegnamenti della scuola padovana, nella riflessione di N. il sistema aristotelico non costituisce più il supporto metafisico della teologia cristiana, bensì il punto di partenza di una fisica naturalistica nella quale la ragione, liberata dalla credenza nel meraviglioso (i peripatetici non credono nell’esistenza di sostanze separate, cioè di angeli e demoni), riconduce a cause naturali tutto il sovrannaturale. Su un altro versante, è Cicerone (l’autore del De divinatione, De natura deorum e De fato) la sua fonte principale nella critica della superstizione e delle tradizioni religiose, ricondotte tutte, in sinergia questa volta con Machiavelli, a un’origine umana e politica. Platone invece, assieme agli stoici, è considerato (sulla scia dell’aristotelismo radicale) all’origine del pensiero superstizioso e misticheggiante. Con questi strumenti N. elabora un razionalismo critico che demolisce fenomeni occulti, pretesi miracoli, tradizioni ermetico-alchimistiche: egli confuta così le favole propagate dalla setta dei Rosacroce (Instruction à la France sur la verité de l’histoire des frères de la Roze-Croix, 1623), le accuse di magia rivolte a coloro che sono invece studiosi della natura (Apologie pour tous les grands personnages qui ont esté faussemenent soupçonnez de magie, 1625; Syntagma de studio liberali, 1632), la fede nell’astrologia e in ogni forma di determinismo (Quaestio iatrophilologica de fato et fatali vitae termino, 1636). L’elaborazione di una teoria della ragione critica ed empirica, capace di mettere in discussione i valori della tradizione va, in queste opere, di pari passo con la riflessione metodologica sul lavoro dello storico che deve «passare al setaccio della ragione» opinioni consolidate e diffidare sempre del consensus gentium. Ma soprattutto N. mette a nudo l’uso politico delle religioni: a cominciare dai sacerdoti caldei e poi in tutto il mondo antico (ma l’osservazione è facilmente esportabile in una prospettiva cristiana e contemporanea) la religione è lex, cioè uno strumento di cui si sono serviti abili legislatori per asservire popoli, costruire imperi, rafforzare il loro potere. Tuttavia, pur criticando aspramente credulità e superstizione, egli ammette per i politici la legittimità di servirsi delle credenze religiose per tenere a freno la populace e imporre un ordine sociale: il potere è forza e chi governa può ricorrere a una «prudenza straordinaria» che deroga dalla morale (Considérations politiques sur les coups d’Éstat, 1639, stampato in sole 12 copie, dove arriva a giustificare la strage di S. Bartolomeo; Bibliographia politica, 1633, opera più marcatamente erudita). È questa dunque la caratteristica del libertinage érudit di N.: l’utilizzazione delle fonti antiche per affrontare problemi contemporanei, certamente per motivi di prudenza (seminando però dubbi blasfemi, per es. su Cristo, accusato di essere un mago dai pagani e di cui si insinua il ruolo di grande legislator), ma anche per tracciare un orizzonte culturale in cui antichi e moderni si saldano insieme espellendo la tradizione apologetico-cristiana. Seconda caratteristica è il risvolto aristocratico e conservatore: N. parla per pochi né intende uscire dai limiti della cerchia degli esprits forts; il pensiero critico non è un esercizio per tutti, e il popolo, violento e ribelle, non sarebbe governabile senza il freno dalla religione.