BALDINI, Gabriele
Nacque a Roma il 29 ag. 1919 da Antonio, noto scrittore, giornalista e saggista, e da Elvira Cecchi. Compì gli studi elementari e medi in scuole private, tra cui la "M. A. Colonna" degli scolopi irlandesi (Christian Brothers). Conseguita nel 1935 la licenza liceale, nel 1937 si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Roma, ove ebbe condiscepoli (A. Guidi, V. Gabrieli, G. Melchiori ed altri) e maestri (N. Sapegno, G. Gabetti, P. P. Trompeo, M. Praz) che influirono in diversi modi sulla sua formazione. Si laureò nel luglio 1940 con una tesi su "L'onomatopea nella poesia di Pascoli" (relatore A. Schiaffini). I suoi esordi di italianista si ebbero con la monografia Panzini. Saggio critico (Brescia 1941) e in seguito con un saggio su Ruzante e Falstaff (Firenze 1956).
Aveva fatto giovanissimo le prime armi, autodidatta dilettante di gusto, scrivendo di cinema e di musica su Bianco e nero e poi sul foglio universitario Roma fascista con lo pseudonimo di Martino Giaffa. Si formò così il suo stile letterario e critico, conversevole, sinuoso, piuttosto diffuso, non immemore, pur senza pedissequa imitazione, del modello della prosa paterna.
Chiamato alle armi in fanteria, l'8 sett. 1943 si trovava ufficiale in Croazia, e, dopo il collasso delle forze armate italiane, rientrò a piedi in patria. L'esperienza drammatica della guerra segnò una svolta decisiva nella sua visione della vita, maturandone il carattere. Nel periodo 1943-1945 lavorò a Bari e a Napoli presso la radio (EIAR fino al 1944, poi RAI).
Già durante gli anni universitari si era specializzato negli studi inglesi sotto il magistero di Praz. La sua "anglofilia", alimentata fin da ragazzo dalla passione per il cinema e da letture di poesia, coincise con la sua adesione all'antifascismo nell'ateneo romano e dopo la laurea, si tradusse in una chiara vocazione per la letteratura inglese e americana e per la professione d'insegnante. A Salisburgo, nel seminario estivo di studi americani, nel 1947 il B. incontrò F. O. Matthiessen, il grande storico del "Rinascimento americano" che considerò poi sempre, assieme a Praz e E. Cecchi, uno dei suoi modelli di letteratura e di filologia.
Dal 1948 al 1950 fu research fellow del Trinity College a Cambridge, agguerrendosi alla scuola di F. L. Lucas nella conoscenza del teatro elisabettiano inglese. Professore incaricato di lingua e letteratura inglese successivamente nelle università di Trieste, Pisa, Torino e Napoli, nel 1953 ottenne la cattedra della materia nella facoltà di magistero a Roma, ove insegnò fino alla morte. Nell'aprile 1950 aveva sposato la scrittrice Natalia Ginzburg, dalla quale ebbe due figli, Susanna e Antonio, quest'ultimo morto a Londra di pochi mesi. Dal 1959 al 1961 diresse l'Istituto italiano di cultura di Londra, consolidando il prestigio che esso aveva acquistato negli ambienti intellettuali inglesi sotto la direzione di G. Calogero e di U. Morra di Lavriano. Una volta intrapreso l'insegnamento universitario collaborò anche alle terze pagine di vari quotidiani (Il Messaggero, Corriere della sera) ed a periodici (Il Mondo, Belfagor e altri).
Del B. la Ginzburg disegnò un felice ritratto letterario in Le piccole virtù. Indole gentile, generosa, estroversa, dotata d'un gioioso e giocoso istinto mimetico, istrionico nella accezione migliore del termine, intrecciò durevoli e fecondi legami di collaborazione con molti compagni di studi inglesi all'università di Roma e con colleghi docenti di altre università. Verso i più anziani maestri di letteratura e filologia, dal padre a Cecchi a R. Bacchelli a S. Rosati e Praz, professò devozione e gratitudine, pur serbandosi il privilegio del giudizio indipendente e dell'arguta, affettuosa canzonatura talvolta, del "baldinage" di tradizione paterna.
Le sue passioni più profonde, accanto all'anglistica, furono la musica (al cui linguaggio e ai cui ritmi fu sensibile e si educò fin da giovanetto e che considerò "una funzione determinante" della sua vita), il cinema e il teatro. Al teatro inglese dedicò le sue energie migliori di studioso e interprete e al teatro è dedicato il suo ultimo saggio teorico.
La sua produzione anglistica abbraccia, oltre a monografie e saggi, edizioni annotate e commentate di testi: al centro, un ventennio di studi e ricerche (1947-1969) sul teatro elisabettiano e giacomiano, sull'opera shakespeariana e sul dramma della Restaurazione e del Settecento. Il B. esordì con una versione del poema drammatico di Byron Manfred (Torino 1939), seguita da quella del Gordon Pym (ibid. 1943) di Poe, uno dei suoi autori preferiti in gioventù sul quale ritornò con la monografia E. A. Poe. Studi (Brescia 1947). Il suo interesse più maturo per la letteratura americana dette vita alla antologia Poeti americani dal Seicento al 1945 (Torino 1949) e all'esame critico dell'opera melvilliana, senza dubbio stimolato, nella sua sottile penetrazione psicologica, dall'incontro salisburghese con Matthiessen (Melville o le ambiguità, Milano 1952).
Negli anni Cinquanta, iniziati con lo studio sulla poesia, gli influssi e la fortuna di Webster (J. Webster e il linguaggio della tragedia, Roma 1953), il B. approfondì le basi filologiche della sua ulteriore indagine sulla storia del teatro inglese dal Rinascimento al Settecento.
Le tappe della sua carriera di studioso ed esegeta del dramma elisabettiano, che culminerà nella amorosa fatica della edizione delle Opere complete di Shakespeare, da lui "nuovamente tradotte e annotate" (I-III, Milano 1963), furono segnate dalle sue versioni di singoli drammi e dei poemi narrativi di Shakespeare e di altri drammaturghi inglesi, dall'ignoto autore dell'Arden of Feversham (Firenze 1947) al Marlowe lirico dell'Ero e Leandro (Parma 1952) e tragico dell'Edoardo II (Milano 1947; ried., con ampia introduzione, Firenze 1954), al Webster della Duchessad'Amalfi (in Teatro elisabettiano, a cura di M. Praz, Firenze 1948). Videro la luce in quegli anni altri suoi studi sulla poesia e la poetica del Rinascimento e il primo volume, che doveva rimanere senza seguito, della sua Storia della letteratura inglese (I, La tradizione letteraria dell'Inghilterra medievale), Torino 1958. Gli anni Sessanta furono tutti impegnati nella filologia shakespeariana e nella ricognizione critica del teatro elisabettiano e della fortuna di Shakespeare attraverso i secoli.
La sua inirabile traduzione integrale di Shakespeare, nella sua prosa neoclassica, "un po' sostenuta" e che si muove "nel seminato di Manzoni e Leopardi", è suscettibile di critica per una certa sovrabbondanza esplicativa che la distanzia dal pregnante splendore barocco del linguaggio shakespeariano. Giova tuttavia rammentare che, giudicando diverse traduzioni complete di Shakespeare, Praz ritenne quella del B. superiore (Caleidoscopio shakespeariano, p. 176).
Muovendo da una concezione essenzialmente crociana della natura dell'arte e ad essa restando in sostanza sempre fedele, il B. venne col tempo affinando in un elegante eclettismo i suoi strumenti esegetici e valutativi. Il crescente impegno filologico si congiunse in lui con una più discriminante percezione dell'universo fantastico e degli affetti dei drammaturghi e dei poeti studiati. La sua acuta sensibilità estetica e psicologica lo portava a individuare e definire, attraverso il linguaggio, il tessuto e la qualità delle immagini, la struttura formale-musicale delle opere prese in esame, i loro valori e significati salienti. I suoi saggi più originali, come il Webster e il Melville e gli studi sulle tragedie di Shakespeare, sviluppano una serie di motivi ed interessi mentali ed attingono il coraggio della sintesi mediante intuizioni ed analisi stilistiche ispirate dalla vasta conoscenza dei testi discussi e dalla fertile immaginazione di quel "vagheggino letterario ch'era in lui", come scrisse di sé nel Congedo del traduttore di Shakespeare. Con tutti gli scrupoli e le cautele della disciplina filologica, il B. rimase sempre un appassionato amatore dell'arte, cultore della fantasia vivificante nella letteratura e critico dei "commentatori in fregola di erudizione" (Webster, p. 71).
Dei moderni autori inglesi e americani tradusse, tra gli altri, S. Anderson (L'uomo che diventò donna, Milano 1949), T. Dreiser (Nostra sorella Carrie, Torino 1951), G. Orwell (1984, Milano 1959), G. Green (Ilterzo uomo, ibid. 1971).
"Segmenti iniziali d'una autobiografia" egli definì, riduttivamente, le prime confessioni autobiografiche in cui manifestò il suo dono creativo, Le rondini dell'Orfeo (Torino 1965), cui seguirono Il dottor Faustus. Dialogo tra un professore e uno studente, in Terzo programma, 1970, n. 1, pp. 304-323, e Le acque rosse del Potomac (Milano 1967). In questo volume raccolse gli scritti "dissacranti" dello spettatore televisivo attento, più che alla novità del piccolo schermo, alla natura del meccanismo e al valore dello spettacolo che lo affascinava sia nel teatro drammatico, sia nell'opera lirica o nel cinema. Uscirono postume altre pagine di delicata e coraggiosa introspezione: Selva e torrente (Torino 1970, con una nota di G. Manganelli), Memorietta sul colore del vento e altri scritti del capitano B. N. Cizico (Milano 1973) e l'atto unico in chiave comica Le muse (Roma 1971), come anche la sua maggiore opera di impegno musicologico interpretativo dell'opera verdiana, Abitare la battaglia (Milano 1970), a cura di F. D'Amico. In essa sono sviluppati e arricchiti i precedenti saggi apparsi nel 1962-1963 sulla rivista parmense Palatina: I verdi anni di Verdi e Rossodi Verdi (una traduzione inglese del volume apparve nel 1980 per i tipi della Cambridge University Press).
Il B. morì a Roma il 18 giugno 1969.
Scritti: Oltre ai saggi ricordati e ad altre traduzioni - delle quali non si dà notizia per brevità - il B. pubblicò i seguenti scritti: Introduzione a C. Dickens, Opere scelte, Milano 1946; Introduzione a E. A. Poe, Les Poèmes, testo a fronte e versione di Mallarmé, Firenze 1947; Un apocrifo shakespeariano: Arden of Feversham, Pisa 1952; Mellifluous Shakespeare, in English Miscellany, IV (1953), pp. 67-94; England's Helicon. Antologia della letteratura in lingua inglese … con un breve disegno di storia letteraria, Torino 1953; Caratteri e personaggi e altri studi sulla poesia e la poetica del Rinascimento inglese, Napoli 1954; Note per una interpretazione dello Shakespeare elisabettiano, Firenze 1954; Le tragedie di Shakespeare, Torino 1957; Le più belle pagine della letteratura inglese, I, Dalle origini all'età di Shakespeare, Milano 1960; Introduzione a C. Goldoni, Three Comedies, London 1961; Il vento e la pioggia, in English Miscellany, XII (1961), pp. 33-401 Il dramma elisabettiano. Con due capitoli sul teatro della Restaurazione e del Settecento, Milano 1962; Le fonti per la biografia di Shakespeare, Firenze 1963; Manualetto shakespeariano, Torino 1964; La fortuna di Shakespeare (1593-1964), I-II, Milano 1965; Progetto di teatro ideale, in I problemi di Ulisse, XXII (1969), n. 65, pp. 192-207. Videro la luce in Teatro della Restaurazione e del Settecento, Firenze 1955, le sue versioni di Dryden (Tutto peramore) e di Goldsmith (Ella s'umilia per vincere). Curò altresì la riedizione di alcuni scritti paterni.
Fonti e Bibl.: N. Ginzburg, Le piccole virtù, Torino 1962, pp. 52-64; M. Praz, "Il dramma elisabettiano", in Belfagor, XVIII (1963), pp. 206-211; Id., Shakespeare in spiccioli, in Il Tempo, 23 apr. 1964 (poi in Caleidoscopio shakespeariano, Milano 1969); necr. in Il Giornale di Sicilia, 20 giugno 1969 (G. Servello); Neue Zürcher Zeitung, 24 giugno 1969 (A. Vollenweider); Paese sera, 27 giugno 1969 (A. Lombardo e G. Corsini); L'Espresso, 29 giugno 1969 (P. Milano); G. Pampaloni, Memoria dell'anima, in Il Mondo, 19 febbr. 1970; Corriere della sera, 26 febbr. 1970 (C. Laurenzi); vedi inoltre: V. Gabrieli, Ricordo di G. B., in Scritti in ricordo di G. Baldini, Roma 1972, pp. 9-24; G. Perosa, Un letterato a tempo pieno, in Corriere della sera, 5 genn. 1973.