CONCOREGIO (Concorreggio, Concoreggio, Concorezzo), Gabriele
Nacque a Milano, da povera famiglia, agli inizi del sec. XV.
Poiché il primo documento che lo riguarda è quello relativo alla sua assunzione come pubblico precettore in Brescia il 27 maggio 1435, converrà fissarne la data di nascita avanti al 1415, forse intorno al 1410.Fu allievo, a Mantova, di Vittorino da Feltre, che ospitava nella "Casa zojosa" anche giovani poveri: più tardi, affermerà di aver abbandonato Milano per insofferenza della tirannia viscontea (lettera a Francesco Barbaro, Brescia, 17 marzo 1452). Compiuti gli studi, passò a Brescia, dove, succedendo a Tommaso Seneca di Camerino, fu assunto dal Comune come pubblico precettore per l'insegnamento della lingua e della letteratura ("gramatice professoris qui legit retoricam et poetas", recita la provvisione di incarico del 27 maggio 1435, Archivio comunale di Brescia, reg. 487, f. 12/50v).
Rimase questo l'impegno di tutta la sua vita, e la conoscenza che si ha di lui è particolarmente legata ai travagliati rapporti che egli ebbe, in relazione ai compensi per il suo impiego, con il Comune di Brescia. Già sul finire dell'anno, con provvisione del 16 dic.1435, gli veniva aumentato il salario e appositamente restaurata e assegnata una casa, già dei Gayfani e allora di proprietà comunale, perché vi eleggesse dimora e vi tenesse lezione. L'anno seguente domandò gli venisse raddoppiato il compenso; ma le sue richieste non vennero accolte che per metà, con provvisione del 22 dic. 1436. Dalla sua petizione apprendiamo che era allora sposato e con figli, forse tre.
Il 9 giugno 1437 giungeva a Brescia l'umanista Francesco Barbaro, inviato da Venezia come rettore della città; e dall'amicizia con questo, massima autorità locale, il C. trasse presto vantaggio, poiché col suo appoggio ottenne, con provvisione del 27 febbr. 1438, un nuovo aumento di stipendio.
Nel 1438, inaspritasi la contesa fra Venezia e Milano, Brescia conosceva tutti gli orrori della guerra: l'assedio, la carestia, l'epidemia, forse di peste. Il C. fu tra quelli che abbandonarono la città, dove lasciò la famiglia, che sperava di far uscire poco dopo, non appena trovata una nuova sistemazione. Si recò a Cremona, ma dopo otto giorni di soggiorno in quella città cadde malato per due mesi, mentre a Brescia, raggiunti dal contagio, gli morivano la moglie e due figli. Non appena si fu ripreso, riparò presso l'antico maestro Vittorino da Feltre, a Borgoforte, e, cessata la pestilenza, si trasferì a Mantova. Dopo alcuni mesi, si lasciò persuadere da Vittorino a sposare una veronese.
Frattanto la guerra si risolveva in favore dei Veneziani, e il C. si offrì di rientrare a Brescia, purché gli venisse garantito un congruo compenso per il suo insegnamento; fu quindi richiamato dal Consiglio degli anziani (provvisione del 19 ott. 1440) e gli fu attribuito uno stipendio di cento ducati annui, oltre alla casa (provvisione del 30 ott. 1440). Anche in questa circostanza, l'appoggio del Barbaro giocò un ruolo decisivo.
Scrisse pertanto un'orazione latina di ringraziamento, che fu letta al Consiglio (forse da lui stesso), il 2 novembre susseguente, in cui esaltava la virtù eroica di Brescia durante l'assedio e in cui chiedeva di essere, come per il passato, accolto "non in civem solum sed in filium" (A. Zanelli, p. 81).
Cade in quest'epoca uno dei suoi pochi scritti pervenutici: una lettera, datata da Brescia il 17 luglio 1441, all'amico Giovan Battista Pallavicino, a Roma, forse in precedenza interessato dal C., il quale, anche sospinto dalle difficoltà economiche che lo opprimevano in Brescia, avrà forse accarezzato l'ipotesi di percorrere pure lui l'itinerario consueto delle carriere umanistiche, sino ad uno degli approdi più ambiti: l'impiego presso la Curia pontificia. Ma in questa lettera, piena di scontentezza e di amarezza ("in casum hic vires et meam effundo iuventutem", A. Zanelli, p. 86), egli dichiara la propria rinuncia ad ambizioni di questo genere, poiché il suo stato civile non gli permetterebbe quell'inserimento a Roma che solo agli ecclesiastici, che qui non trascura di pungere acremente, è riservato. Inoltre, la moglie e il figlio natogli da poco non gli consentono di trasferirsi per tentare una sorte così incerta.
All'insoddisfazione manifestata al Pallavicino, si aggiungono, in questo torno di tempo, sempre maggiori difficoltà economiche, del resto accennate in quella stessa lettera, in cui egli ricorda di essere stato costretto dal bisogno addirittura a vendere "nonnullos libellos", togliendoli evidentemente dalla propria biblioteca. Tali difficoltà sono causate dalla insolvenza del Comune, impossibilitato a corrispondergli il compenso pattuito, in anni di vicende così tormentate per la città, che si trovava ad essere terra di confine, e quindi costantemente investita dagli eventi bellici del momento.
Ne ritroviamo memoria nelle provvisioni del 2 sett. 1441, con cui il Consiglio degli anziani delegava Niccolò de' Pedrocchi e Gandolfo de' Pederzoli a controllare che il massaro comunale pagasse regolarmente il maestro; del 15 febbr. 1442, con cui si stabiliva che per il suo pagamento si facesse ricorso al credito maturato con la Camera ducale; del 21 giugno 1442, con la quale, perdurando l'inconveniente e minacciando il C. di abbandonare Brescia, si indicava nella rendita ricavata dai banchi e dagli uffici dei notai il cespite da utilizzare per corrispondergli il dovuto; del 16 maggio 1444, con cui si inizia, per le economie di guerra, addirittura a ridurgli lo stipendio: la deliberazione non divenne immediatamente esecutiva, in quanto il Consiglio generale preferì sospenderla, ma l'aumento delle spese costrinse rapidamente gli Anziani ad applicare una ulteriore riduzione al compenso del Concoregio.
Nonostante questo, egli continuava a non essere pagato, come testimoniano una sua supplica, succinta nella conseguente provvisione, del 27 settembre 1444, d'intervento in suo favore sul massaro Faustino Longhena; e così pure altre provvisioni, del 15 luglio e del 29 nov. 1446, sempre del medesimo tenore. Ma la situazione finanziaria del Comune andava sempre peggiorando, tanto che il 22 dic. 1446 il Consiglio generale deliberava per una nuova riduzione delle mercedi ai maestri (col C. professava allora in Brescia anche Cristoforo degli Orzi), offrendo in contropartita l'impegno di erogare puntualmente il dovuto: furono delegati a trattare il concordato con gli insegnanti i consiglieri Niccolò Pedrocchi e Giovanni Artegnati, mentre non mancò chi suggeriva di sospendere completamente gli stipendi, proponendo che i professori si contentassero della quota che veniva loro corrisposta da ciascun allievo. In questa situazione fu giocoforza per i due insegnanti accettare le nuove peggiori condizioni, e l'accordo fu subito ratificato il 30 dic. 1446.
È presumibile che il C. facesse ricorso allora alle sue amicizie, per tentare di trovare una sistemazione più conveniente. È ancora il Barbaro ad intervenire in suo favore, segnalandone alla città di Treviso, con una lettera dell'8 febbraio 1449, la disponibilità, e raccomandandone il merito. Ma a Treviso verrà chiamato Filippo da Regio. Al di là delle lamentele, che sfociano talora in vera e propria invettiva contro Brescia, quanto veramente egli volesse lasciare la città, non è chiaro. Infatti di lì a poco, in una provvisione del 7 ag. 1449. troviamo il C. intento ad apportare migliorie all'edificio assegnatogli per abitazione e scuola; e, dopo non molti mesi, il 27 nov. 1450, gli viene addirittura conferita la cittadinanza bresciana con formula di ampio riconoscimento, per il lavoro da lui svolto.
Nondimeno il C. permaneva nel suo stato di precarietà e insoddisfazione; tanto che, avendo appreso dal comune amico Evangelista Manelmo, che il Barbaro era stato chiamato alla porpora procuratoria di S. Marco, altissima carica del governo veneziano, e avendone appunto allora affettuosamente incontrato in Brescia il figlio Zaccaria. non esita a scrivergli sollecitando un impiego come segretario "presso una qualche magistratura della Serenissima, molto paventando, per la moglie e i sei figli, la ventilata decisione di soppressione del salario, e ciò con fondati motivi. Infatti la lettera al Barbaro è datata da Brescia il 17 marzo 1452, e poco dopo, con provvisione del 31 marzo 1452, gli viene soppresso lo stipendio.
Non solo, ma permangono le consuete difficoltà per la corresponsione degli emolumenti arretrati, così che il C. si vede costretto, anche dietro suggerimento del cancelliere Francesco Malvezzi, a rinnovare richieste d'aiuto al Barbaro (lettera del 15 febbr. 1453), che interviene prontamente: il 22 febbraio scrive all'amico Ludovico Foscarini, nuovo rettore di Brescia, per raccomandargli affettuosamente il maestro, che con altra lettera in pari data tranquillizza certificandolo di questo suo intervento. Risponde il Foscarini al Barbaro, assicurando il proprio appoggio al C., per il quale ha parole di elogio.
L'ultima provvisione riguardante il C. è quella del 29 ott. 1456, con la quale la casa da lui usufruita viene destinata a fondaco, da affittarsi, sempre per le esigenze finanziarie del Comune, mentre a lui viene assegnato un corrispettivo annuo in denaro per provvedere ad altra sistemazione; ignoriamo la data della sua morte.
Trascorrono infatti oltre quarant'anni prima che del C. occorra nuova memoria: ciò avviene con l'edizione di Plutarco del Pilade (Gianfrancesco Boccardi), stampata dal Britannico nel 1499 a Brescia, in cui il filologo bresciano dichiara, nella dedica a Giovanni Paolo Averoaldo, di avere fatto ricorso per i propri emendamenti anche alla biblioteca del Concoregio. Peraltro non è chiaro nel contesto se il C. abbia o meno collaborato al lavoro del Pilade, né se egli risultasse ancor vivo alla data di stampa dell'opera.
Complessivamente la figura del C. appare assai difficile a tratteggiarsi con esattezza. Nessuna opera di un qualche rilievo egli risulta avere scritto: anche un'epistola latina De libertate (un tema questo a lui caro e ricorrente nel suo carteggio), da lui indirizzata al Barbaro, già risulta perduta poco tempo dopo la stesura. Nell'occasione egli rivela un atteggiamento di totale distacco di ogni attività di produzione letteraria, per lui concepibile solo in quanto legata a occorrenze del momento. Eppure tutti i contemporanei manifestano grandissima stima ed affetto per lui, che fu in contatto con una serie di protagonisti anche di primissimo piano dell'umanesimo (e tra i suoi estimatori andrà aggiunto ai nomi sopra ricordati quello di Francesco Prendilacqua). Con ogni evidenza egli, forse anche per ritrosia di carattere, mai volle essere altro che un validissimo didatta, uno stimato professore. Così, tra i suoi allievi si ricorderanno almeno Ubertino Pusculo e Bartolomeo da Gandino: e di quest'ultimo occorrerà menzionare in proposito una nota di possesso ad un manoscritto di un Bellum Troianum carmen, riportata da B. Vacrini (I, p. 148): "iste liber est mei Bartolomei de Gandino, qui vado ad scholam, magistri Cabrielis de Concoretio, qui est valde sapiens". E mentre l'erudizione settecentesca appare fortemente limitativa nei suoi confronti (valga per tutti il lapidario giudizio del Tiraboschi: "si rendette solo famoso per le continue sue doglianze presso i Bresciani, perché non pagavangli il pattuito stipendio", Storia..., pp. 371 s.), la critica contemporanea è stata indirizzata dal Pasero a scorgere in lui il mediatore della cultura umanistica, che per suo tramite viene diffusa tra i giovani dei ceti medi. In questi termini, essenziale appare il suo ruolo nella storia della cultura bresciana del Quattrocento, per la particolare continuità del suo insegnamento nell'epoca del trapasso dalla scuola medievale a quella classica. Tanto che, pur non dimenticando che anche al Seneca era stata assegnata una casa, e che successivamente il C. sarà trasferito ad altra dimora, il restauro e l'assegnazione di casa Gayfani, sopra ricordati, assumono valore emblematico, quasi atto di fondazione del liceo a Brescia. Dietro a quella deliberazione non è difficile scorgere una precisa richiesta del C., che avrà presumibilmente suggerito anche le motivazioni del provvedimento: collocare la scuola pubblica al centro della città, nella piazza principale, sottolineatura politico-urbanistica dell'importanza del ruolo che ormai si assegnava alla scuola umanistica.
Altrettanto significativo diviene, in questo contesto, l'affidamento al professore umanista del compito di attendere alla più nobile confezione del volume in cui rimaneva consegnato il fondamento giudirico della società civile cittadina. Nel verso del foglio iniziale degli Statuti si legge infatti questo tetrastico: Ihesus. / Hic leges sancta tui consulta senatus / Brixia conscriptis stant hic tua iura tabellis. / Me corio tamen et pictis ex arte figuris involuit filoque trahens innexuit albo / gramaticus Gabriel miro tibi vinctus amore.
L'epigrafe ha tratto in inganno Guerrini, che ha creduto di scorgere nel C. il copista, miniatore e legatore degli Statuti, datando questa sua presunta attività tra il 1435 e il 1447. Se il miniatore è invece, nel 1432, Cristoforo Scrosato, come suggerisce, su base documentale, il Panazza, occorre ammettere che prima dell'arrivo a Brescia del C., e perciò per almeno tre anni, gli Statuti sarebbero dovuti rimanere sfascicolati. D'altronde i termini in cui si esprime il C. a proposito dei libri, nella lettera al Pallavicino, in cui si duole di averne dovuti vendere alcuni, e nella supplica riportata nella deliberazione del Consiglio speciale del 22 dic. 1436, in cui rammenta di doverne acquistare per esigenze professionali, nonché il ricordo, che ci lascia il Pilade, della sua come biblioteca non sfornita, e anzi assai qualificata e frequentata da uomini colti, indurrebbero ad escludere il collegamento del C. con un'attività scrittoria mercantile, e ad ipotizzare piuttosto una sua sovrintendenza al lavoro di legatoria nel caso, piuttosto eccezionale, degli Statuti.
Fonti e Bibl.: Le provvis. relative al C. si conservano a Brescia, Arch. com., Regg. nn. 487. ff. 12/50v, 84/121v, 112; 488, f. 21/17v; 491, ff. 87v, 93v-94; 492, ff. 92v, 100; 493, ff. 37: 112; 494, ff. 82, 142; 495, ff. 80v, 226; 496, f 44; 497, f. 159v; sono state in parte pubblicate da A. Zanelli, G. da Concoreggio ed il Comune di Brescia, in Arch. stor. lomb., s. 3, XI (1899), pp. 60-86, insieme con la lettera al Pallavicino, che E. Verzino trasse per lo Zanelli dal cod. E. 124. Sup., fa. 59, della Bibl. Ambros. di Milano. Il codice degli Statuti, pure all'Arch. di Brescia, è segnato E. VII. 1047. Il carteggio col Barbaro, visitabile attraverso il riordino di R. Sabbadini, Centotrenta lettere ined. di Francesco Barbaro…, Salerno 1884, pp. 48, 56, 59, 64, è stato pubbl. da A. M. Querini, Fr. Barbari et aliorum ad ipsum Epistolae..., Brixiae 1743, pp. 151 s., 214 s., 330-333; la testimonianza del Pilade si legge in Plutarchus, Vitae parallelae, Brixiae, Jacopo de' Britannici, 9 ag. 1499, cc. n. n. [XVI] v; quella di F. Prendilaqua, [De vita Victorini Feltrensis] Dialogus, ora in Il pensiero pedagogico dello umanesimo, a c. di E. Garin, con trad. it. a fronte (qui però lacunosa), Firenze 1958, pp. 624 s. Del C. parlano inoltre: A. M. Querini, Diatriba praeliminaris in duas partes divisa ad Francisci Barbari et aliorumad ipsum epistolas..., Brixiae 1741, pp. XCVII-C; Id., Epistola de Brixiana liter., Brixiae 1745, p. 75; F. Argelati, Bibl. scriptorum Mediolanensium, II, 2, Appendix, p. XIV, coll. 1753 ss., 2043; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita e le opere degli scritt. viniziani..., II, Venezia 1754, p. 50; A. Brognoli, Mem. anedote spettanti all'assedio di Brescia dell'anno 1438..., Brescia 1780, pp. 374-379; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, 2, Roma 1784, pp. 371 s.; B. Vaerini, Gli scrittori di Bergamo, I, Bergamo 1788, p. 148; C. Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino da Feltre, Bassano 1801, pp. 430-37; F. Odorici, Storie bresciane…, VIII, Brescia 1858, pp. 211, 270; A. Valentini, Gli Statuti di Brescia dal sec. XII al XV illustrati, Venezia 1898, p. 89; A. Serena, La cultura umanistica a Treviso nel secolo decimoquinto, Venezia 1912, pp. 73 s.; P. Guerrini, Bibliografia intorno ai Santi Martiri Faustino e Giovita, in Brixia Sacra, XIV (1923), pp. 124 ss.; M. E. Cosenza, Biograph. and Bibliographical Dict. of the Italian Humanists…, Boston 1960-62, II, p. 1073; V, p. 140; E. Faccioli, Mantova. Le lettere, II, Verona 1962, p. 28; C. Pasero, Il dominio veneto fino allo incendio della Loggia (1426-1575), in Storia di Brescia, II, Brescia 1963, pp. 38, 51, 85, 97, 108, 146, 150, 181, 200; E. Caccia, Cultura e letteratura nei secoli XV e XVI, ibid., pp. 497, 501; V. Cremona, L'umanesimo bresciano, ibid., pp. 565, 568; G. Panazza, Le arti applicate connesse alla pittura del Rinascimento, ibid., III, ibid. 1964, pp. 680 s.; A. Pertusi, L'umanesimo greco dalla fine del sec. XIV agli inizi del secolo XVI, in Storia della cultura veneta, III, Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, I, Vicenza 1980, p. 244.