GABRIELE da Perugia
Nacque a Perugia nella seconda metà del sec. XV, figlio di un non meglio definito Sante.
Francescano osservante, G. non è però citato in alcun repertorio del suo Ordine e le notizie biografiche su di lui sono state tratte unicamente dallo studio del Liber memorialis del monastero delle clarisse di Monteluce, a Perugia, dalla Cronaca del convento di S. Lucia, in Foligno, redatta da suor Caterina da Osimo, e dalle opere manoscritte di G. stesso, custodite nella Biblioteca comunale di Perugia.
G. cominciò la sua vita religiosa nel convento di S. Francesco del Monte, detto anche di Monteripido, a Perugia, allora sede di uno studio e di un piccolo ma importante scriptorium di francescani osservanti. In questo luogo egli pronunciò i voti, fu ordinato sacerdote e approfondì la sua formazione teologica; tutto entro il 1496, anno in cui iniziò a scrivere.
Si presume che intorno a quello stesso anno abbia intrapreso anche il proprio ministero di confessore, che svolse poi, all'inizio del sec. XVI, nel monastero di S. Lucia a Foligno, dove portò anche a termine, nel 1503, i suoi scritti.
Il 10 maggio 1511 il capitolo provinciale degli osservanti, riunito a S. Maria degli Angeli in Assisi, nominò G. confessore delle clarisse di Monteluce. Lì, il 16 genn. 1512, è attestata la presenza di G. che, un anno dopo, il 15 apr. 1513, venne nuovamente inviato come confessore a Foligno, nel monastero di S. Lucia. Tuttavia già quattro mesi dopo al suo posto risulta un Gabriele da Montone; il che fa supporre una morte improvvisa di G. durante l'estate del 1513, non esistendo prove documentali di un suo ipotizzato trasferimento a Città di Castello, o in altri luoghi della provincia.
Opere. La Biblioteca comunale di Perugia conserva due manoscritti di G., i codici 1074 e 993, rispettivamente di 349 e 329 cc., contenenti l'uno la prima parte del Libro devoto, dicto Libro de vita sopra li principali misteri de Christo benedicto et de la Matre sua, l'altro la seconda e terza parte di questo testo, più la Declaratione devota et utile de tucte quelle cose che se fanno et dicono nella messa parata et solemne…; i due libri furono copiati dall'originale nel 1512, a opera delle clarisse di Monteluce, secondo le direttive di G. che ordinò loro di non rilegare insieme con i codici "el quinterno che tracta della Immacolatissima Conceptione della Madonna… a bona cautela per le varie openione che sonno in tale opera" (Perugia, Archivio di Monteluce, Liber memorialis, c. 57r).
G. desiderava che il lettore, utilizzando ambedue i testi, conformasse la propria vita al modello di quella del Cristo, che egli illustrava ripartendola in incarnazione, passione e resurrezione, con particolare riguardo, nel Libro de vita, agli avvenimenti storici di "Cristo arbore de Vita" e nella Declaratione agli stessi presentati nella sintesi mistica della messa, sacrificio del "Cristo pane de Vita".
Filosoficamente e teologicamente, G. si richiamava a due fonti principali che cita più volte, le Meditationes vitae Christi, un'opera spuria di s. Bonaventura, e l'Arbor vitae di Ubertino da Casale. Dallo Pseudo-Bonaventura trasse numerosi passi dei quali accentuò, trascrivendoli ampliati, l'affettività e la tenerezza, mentre dal pensiero di Ubertino derivò, in maniera pressoché integrale, la propria riflessione morale. Proprio per questa aderenza la parte dottrinale del Libro de vita appare di lettura difficile e non originale, mentre quella descrittiva è ricca di qualità e di forza espressiva.
L'opera di G. costituisce un importante saggio dell'evoluzione della cultura devota in Italia nel passaggio dal XV al XVI secolo, espressione di nuove istanze per una religiosità affettiva, imperniata sull'amore e sulla misericordia del Cristo nel solco, da un lato, della tradizione francescana e dall'altro, come è stato messo in luce dalla Perini, della metodologia meditatoria della "devotio moderna". Gli ideali del francescanesimo e gli autori francescani restano comunque gli ispiratori del lavoro di G. e anche la struttura della Declaratione deve molto a una Expositio missae attribuita a s. Bonaventura.
G. inserì nei suoi libri anche 14 laudi, o forse brani di laudi, di genere sia drammatico sia lirico, la cui paternità è tuttora discussa dalla critica. L'autore si sarebbe limitato a volgarizzare componimenti di altri poeti, ovvero avrebbe utilizzato precedenti volgarizzamenti per renderli comprensibili a un pubblico più vasto.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Perugia, Corporazioni religiose soppresse, Monteluce, Miscellanea, 4, c. 6v; Perugia, Arch. del Monastero di Monteluce in S. Erminio, Liber memorialis, cc. 55r-57r; G.B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini, II, Perugia 1829, p. 198; M. Faloci-Pulignani, F. G. da P. minore osservante, scrittore francescano del 1500, in Miscellanea francescana, I (1886), pp. 41-43, 45; M.G. Rossi, Il simbolismo liturgico in alcuni autori francescani del Quattrocento (tesi dattiloscritta presentata all'Università di Perugia nel 1970: in appendice il testo del Tractato de la messa di G.); G. Perini, Un libro di vita di G. da P. composto tra il 1496/1503, in Collectanea franciscana, XLI (1971), pp. 60-86; U. Nicolini, I minori osservanti di Monteripido e lo "scriptorium" delle clarisse di Monteluce in Perugia nei secoli XV e XVI, in Picenum seraphicum, VIII (1971), pp. 113 s., 128; M.G. Bistoni, La biblioteca del convento francescano di Monteripido in Perugia, in Archivum franciscanum historicum, LXVI (1973), p. 384; C. Schmitt, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XIX, Paris 1981, col. 562.