DANDOLO, Gabriele
Patrizio veneziano, abitante a S. Luca, discendente del doge Enrico il conquistatore di Costantinopoli, nacque nella seconda metà del sec. XIII da Tomaso del fu Enrico.
Non sembra agevole la ricostruzione della biografia del D., a causa dell'omonimia di quest'ultimo con un altro Gabriele Dandolo, suo contemporaneo: costui, che era figlio di un Tomaso Dandolo da S. Fantin, fu testimone alla corte del Forestier nel gennaio del 1309 e fece testamento nel 1320, anno in cui morì. I dati forniti dalle fonti solo in qualche caso offrono elementi tali da essere riferiti con certezza al D.; in altri casi si possono attribuire a quest'ultimo solo in via ipotetica, basandosi sul fatto che egli sembra essere l'unico dei due ad aver avuto una attività politica di rilievo.
Dal testamento del padre rogato nel 1274 risulta che in quell'anno il D. era ancora minorenne e che aveva un fratello maggiore, Nicolò, e una sorella.Il D. iniziò la sua attività politica prima della serrata del Maggior Consiglio: è infatti probabilmente il D. quel Gabriele Dandolo, che vi fu eletto nel 1283 e nel 1295. Nel 1297-98 fu uno dei tre ufficiali della Giustizia Vecchia, responsabile della vigilanza sulle arti in un periodo di tensioni e di occasionali timori nei rapporti tra Stato e artigiani. Nell'ottobre 1298 appare come protagonista minore di una transazione fittizia mirante al passaggio in mani veneziane di proprietà site nel Trevigiano, operazione che per le normali vie d'acquisto era allora vietata dalle leggi veneziane. In alcuni documenti risulta infatti testimone, nel Trevigiano e a Venezia, alla creazione di un debito di Richelda da Zenson nei confronti della figlia Filippa che avrebbe poi sposato il patrizio Bertuccio Dolfin e preteso come dote terre attorno a Zenson e Castelfranco, di cui avrebbe però ottenuto il possesso solo nel 1314.
La successiva notizia sulla carriera del D. è un accenno al suo stato di servizio come capitano del Golfo, conservatoci dalle delibere del Senato del 1307, ma con riferimento all'anno precedente. Ai primi del 1308 ricevette la commissione come capitano della tansa del Po, quando i traffici fluviali, che dovevano essere oggetto della sua protezione, apparivano già disturbati dallo stato di ostilità esistente tra Cremona e Parma. Le cose si complicarono poi maggiormente quando le ambizioni territoriali veneziane in area padana s'intrecciarono con i problemi della successione all'interno della dinastia estense sino a provocare la guerra di Ferrara. Tra la primavera e l'autunno del 1309 il D. fu capitano delle galere di Romania in un momento in cui più del solito preoccupazioni diplomatico-militari si affiancavano alle responsabilità commerciali del comando. Nel 1309 una spedizione capeggiata da Thibaut de Cépoy fu la mossa finale compiuta da un'eterogenea alleanza, cui partecipava anche Venezia, mirante a ricreare l'Impero latino d'Oriente. Le istruzioni inviate dal governo della Serenissima al D. accennano tra l'altro a trattative condotte assieme al duca di Candia, "de accipiendo Rodum", l'isola che, passata nel 1308 sotto il controllo dei Cavalieri di S. Giovanni, serviva da base alle incursioni piratesche contro i commerci e i traffici marittimi veneziani. Lo sforzo navale compiuto dalla Serenissima tra il 1308 e il 1309, ebbe lo scopo precipuo di contrastare tale minaccia e le disposizioni inviate al D. in tale circostanza forse anticipano sospetti veneziani nei confronti dei Cavalieri come potenziali aggressori, sospetti che si fecero manifesti alla fine del 1309. L'attività svolta dal D. come capitano delle galere di Romania fu comunque assai varia, andando dalla vendita di un vascello catturato dagli uomini di Corone, alla organizzazione dei trasporti per il rimpatrio del duca di Candia uscente, all'obbligo di cercare e comperare, a Mikonos e in altre isole, marmi preziosi "in astis vel clapis astarum et mediis columnis albis virgatis viridis porfus et cuiuscumque condicionis", destinati a S. Marco, probabilmente per gli zoccoli e le finestre delle facciate. Nell'ordine del 13 agosto, che prorogò il comando del D. differendone il rimpatrio, allo scopo di prolungare l'attività di vigilanza da lui svolta nei mari orientali, è da vedere un riflesso del contemporaneo deterioramento delle relazioni diplomatiche veneziane con le altre potenze italiane ed europee, a causa anche della guerra di Ferrara.
Nell'estate 1310 il D. fu mandato, con Giacomo Querini, come ambasciatore presso l'imperatore bizantino. Scopo della missione era la riconciliazione con Andronico II, che venne consacrata dal trattato dell'11 novembre nel quale furono ripresi i termini di patti precedenti, furono definite questioni ancora pendenti di danni, e si riaprì ai Veneziani il commercio del grano. Il D. rimase a Costantinopoli dopo la stipula del trattato come bailo veneziano: mostrò tuttavia in varie occasioni impazienza per la durata dell'incarico che, infatti, lo tenne lontano da Venezia almeno sino al settembre 1312.
Nel settembre 1313 fu a Zara, ove compare come testimone ai patti stipulati tra la Repubblica e la città dalmata dopo la repressione della rivolta di quest'ultima: ciò indica che probabilmente egli svolse un ruolo ben preciso nelle operazioni militari che portarono alla riconquista di Zara, come vuole anche la cronaca cosiddetta P. Giustinian. Questa lo elenca tra i conti di Spalato di quegli anni, rappresentante quindi di una egemonia veneziana, informale ma effettiva, sulla città. Nel gennaio 1314 venne eletto bailo di Negroponte, incarico che conservò sino a non più tardi dell'aprile del 1316. Fu un ufficio difficile, che svolse tra notevoli tensioni, per i rapporti non facili tra la Repubblica e i signori dell'isola. Il compito del D. venne reso più arduo dai limitati poteri effettivi; dai riflessi di una questione che contrapponeva la famiglia signorile dei Corner ai Cavalieri di Rodi e, soprattutto, dalla minaccia che la Compagnia catalana rappresentava per l'assetto politico dei territori latini in Grecia e per i traffici marittimi veneziani, di cui Negroponte costituiva una base indispensabile. Le parti del Senato rivelano, nella primavera del 1315, preoccupazioni militari nei confronti di Negroponte, e registrano sia incrementi di spesa in favore di quest'ultima, sia l'invio di un capitano con competenze anche diplomatiche come supporto al regime.
Nella primavera del 1317 il D. salpò come capitano delle galere delle Fiandre autorizzato pure a condurre attività diplomatica nei luoghi di destinazione. Questo duplice incarico si situa in una fase ancora precoce della politica di intervento governativo nella disciplina e nel potenziamento dei traffici col Nordovest europeo. Quello del D. sarebbe infatti solo il secondo viaggio di galere sotto il controllo statale (il Lane assegna al 1315 il primo). La penetrazione nei mercati del Nordovest europeo, massicciamente sovvenzionata dal governo al fine di vendere merci orientali non sempre smaltibili per altre vie (le tre galere del 1317 portavano vini cretesi, spezie e seta), richiedeva la creazione di rapporti diplomatici di fiducia e termini commerciali di favore. La spedizione capeggiata dal D. non poggiava su tali basi. Nonostante il successo finanziario, vi furono incidenti a Maiorca, e questioni diplomatiche trattennero al Nord il D., che dovette venir sostituito nel comando, per il viaggio di ritorno, da Dardi Bembo. Poiché quest'ultimo era l'armatore e il mercante più in vista nei commerci delle Fiandre, e poiché il D. gli fu accanto, appare provata la sovrapposizione, nell'operazione della muda, d'interessi privati e di interessi pubblici. A loro, del resto, insieme con altri, venne assegnato il compito della costruzione, e poi dell'operazione delle galere ordinate per il 1318. La vocazione mercantile del D., rivelata comunque dagli uffici pubblici da lui ricoperti, è inoltre suggerita dai dati patrimoniali desumibili dal testamento paterno, da un'amnistia, concessagli nel 1301 per infrazioni daziarie nel commercio dei cerchi, e dal privilegio - concesso proprio quando era stata introdotta (1324) la legislazione restrittiva de navigantibus - che consentiva al D. ed agli appartenenti alla sua domus di commerciare per somme maggiori del loro imponibile fiscale (segno magari di patrimonio limitato, ma anche di prestigio politico e probabilmente dell'intento governativo di potenziare, pur regolando le importazioni da Oriente, i traffici atlantici).
Sembra che tra il 1318 ed il 1319 il D. sia stato al comando di vascelli veneziani nelle acque del Mediterraneo orientale, poiché ne fa cenno una delibera del Senato nel 1321. Nel giugno 1319 venne nominato conte di Zara: rimase nella città adriatica dal settembre del 1319 al luglio del 1321. In questo periodo si documentano ripetute pressioni zaratine a Venezia in ordine al numero e al sistema di nomina dei giudici cittadini.
Di nuovo bailo di Negroponte dal 1321 sino, forse, alla primavera del 1323, rinnovò nel 1322 la tregua istituita nel 1319 tra il governo veneziano e i signori dell'isola, da una parte, e la Compagnia catalana dall'altra. La fragile pace interna dell'isola era allora minacciata anche da una controversia territoriale tra due suoi signori. In un primo tempo il Senato decise di inviare con il D. due provveditori patrizi e rinforzi di cavalleria, ma in un secondo tempo revocò il provvedimento. I negoziati della tregua con i Catalani, che fu ratificata nel maggio 1322, ebbero la precedenza sulla composizione dei dissidi locali. Durante il suo incarico il D. fu anche impegnato in trattative per il possesso di Karistos, località allora al centro di una questione di eredità che opponeva gli interessi veneziani a quelli catalani, e nel 1322, fu responsabile del passaggio sotto dominio veneziano del castello di Fetelia. Nel 1324 il D. fu membro del Consiglio dei dieci, prestando servizio come capo; probabilmente fu anche capitano delle galere mandate a Trebisonda, perché le delibere del Senato del 1325 accennano al suo stato di servizio. Non ci sono giunte notizie a lui relative posteriori al 1324. Secondo il Barbaro, lasciò un figlio, Antonio.
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