Gabriele De Rosa
Nella stagione di profondo rinnovamento della storiografia italiana del secondo Novecento, Gabriele De Rosa si segnala per il rigore metodologico, l’originalità tematica e l’attitudine al confronto e al dialogo. Deve la sua notorietà soprattutto alla fondamentale ricostruzione della storia del movimento cattolico, ma anche al riuscito tentativo di far emergere dal basso una storia della società religiosa che consente finalmente di andare oltre la circoscritta prospettiva istituzionale prevalente nella storia della Chiesa di tipo tradizionale.
Gabriele De Rosa nacque a Castellammare di Stabia il 24 giugno 1917 e, compiuti i primi studi a Roma, conseguì la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Torino.
Chiamato alle armi nel luglio del 1941, nel settembre 1942 venne inviato come sottotenente dei granatieri in Africa settentrionale. Prese così parte alla tragica battaglia di El Alamein e, con «dolore e rabbia», alla ritirata verso la Libia. La lettura del saggio di Benedetto Croce, Perché non possiamo non dirci ‘cristiani’ (1942) – alla quale si dedicò dopo il rientro in patria, nel gennaio successivo, durante la degenza in ospedale a Roma – gli aprì «una finestra di speranza per il futuro dell’Italia».
Dopo l’8 settembre, coinvolto nelle iniziative della Resistenza romana e partecipe del grande fervore che caratterizzava la ripresa democratica, frequentò il gruppo della Sinistra cristiana raccoltosi intorno a Franco Rodano. Entrato quindi nel Partito comunista, dalla fine del 1945 al 1952 fu redattore del quotidiano «L’Unità»; presto iniziò a collaborare anche allo «Spettatore italiano», la prestigiosa rivista diretta da Elena Croce.
I contatti sempre più frequenti con don Giuseppe De Luca sfociarono, nel frattempo, nell’attiva e feconda collaborazione alle Edizioni di Storia e Letteratura, che rappresentarono per lui «una vera e propria Accademia», e, in seguito, alla Morcelliana di Brescia. Nel 1954 avvenne l’importante incontro con Luigi Sturzo di cui raccolse i ricordi attraverso una fitta e intensa serie di colloqui protrattisi per cinque anni.
Libero docente nel 1958, vincitore del primo concorso a ordinario di storia contemporanea nel 1961, insegnò nelle Università di Padova, Salerno (diventandone il primo rettore) e Roma. Nel Veneto e nel Mezzogiorno avviò la costituzione di gruppi di giovani studiosi, confluiti successivamente nelle strutture permanenti promosse a Salerno e Potenza (nel 1967 il Centro studi per la storia del Mezzogiorno e nel 1983 l’Associazione per la storia sociale del Mezzogiorno e dell’area mediterranea) così come a Padova (nel 1966 il Centro studi per le fonti della storia della Chiesa nel Veneto e nel 1972 il Centro per le ricerche di storia sociale e religiosa), Vicenza (nel 1974 l’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa) e Gorizia (nel 1998 il Centro studi per la storia dell’Adriatico). Con esse raccordò costantemente anche l’attività dell’Istituto Sturzo sin da quando, nel 1979, ne assunse la presidenza (mantenuta fino al 2007).
Già redattore della rivista «Rassegna di politica e storia» (1951-71), nel 1972 fondò «Ricerche di storia sociale e religiosa», affiancandole ben presto la «Rassegna storica lucana». Collaborò con riviste, quotidiani e programmi televisivi di approfondimento, convinto che fosse utile sensibilizzare un pubblico più vasto. Con lo stesso spirito partecipava alle iniziative per la formazione e l’aggiornamento dei docenti. Fu instancabile soprattutto nel promuovere convegni, seminari, giornate di studio e altri appuntamenti di riflessione, approfondimento e confronto, e nel raccoglierne gli atti in una ricca serie di volumi.
Fu senatore per la Democrazia cristiana (1987-94), presiedendone il gruppo parlamentare dall’aprile 1993. Nel gennaio 1994 fu, con Mino Martinazzoli, tra i promotori dell’Assemblea costituente del Partito popolare italiano, nelle cui liste venne poi eletto deputato nel 1994. Morì a Roma l’8 dicembre 2009.
La vocazione di storico – come spesso ricordava – non nacque in lui sotto l’impulso di un libro di storia, né attraverso un riferimento a una scuola di pensiero o all’incontro con un maestro. Fu soprattutto l’intensa attività politica e giornalistica a indurlo all’approfondimento e alla lettura delle fonti della storia contemporanea, alla revisione della storia postrisorgimentale, dell’età giolittiana, della crisi dello Stato liberale. Il suo primo volume sulla Storia politica dell’Azione cattolica nacque quasi per caso: nell’agosto 1951 l’editore Laterza gli chiese di sviluppare le tematiche di un articolo, non firmato, scritto per lo «Spettatore italiano», nel quale, denunziando i limiti interpretativi che riducevano il movimento intransigente a mero dato ‘clericale’, controllato strettamente dalle gerarchie ecclesiastiche, manifestava l’esigenza – condivisa dallo stesso Croce – di ricorrere finalmente a un approccio storiografico nuovo, in grado di coglierne la specifica dimensione sociale e spirituale.
Nella formazione e nei percorsi di studio e di ricerca furono decisive soprattutto le intense frequentazioni con De Luca e Sturzo. Del primo, lo colpirono in particolare le Introduzioni al primo volume dell’Archivio italiano per la storia della pietà – la prestigiosa collana da lui promossa – e al volume Prosatori minori del Trecento. Scrittori di religione (1954). Tali testi gli offrirono una visione notevolmente più dialettica del rapporto Chiesa-popolo cristiano, Chiesa-società, Chiesa-pietà, e gli fecero scoprire la dimensione storica del vissuto religioso, senza tuttavia scindere la storia dei comportamenti del popolo devoto dalle strutture pastorali.
Don Sturzo, dal suo canto, lo aiutò a immergersi nel concreto divenire di un’intensa stagione di trasformazioni, rivolgimenti e conflitti, dalla fine dell’Ottocento al secondo dopoguerra, dall’enciclica Rerum novarum al Partito popolare e oltre, fino alla Democrazia cristiana. La sua fu «una lezione irripetibile» per la ricostruzione del percorso seguito dai cattolici italiani dall’emarginazione al governo dello Stato unitario e per la messa a punto soprattutto dei primi saggi. Gli appunti raccolti nelle conversazioni con il fondatore del Partito popolare italiano risultarono fondamentali, oltre che per la sua biografia e per i due volumi sulla Storia del movimento cattolico in Italia, anche per gli sviluppi successivi della sua produzione storiografica.
Il popolarismo sturziano ormai non gli appariva più «come una pura propaggine della storia del movimento cattolico» (Sturzo mi disse, 1982, p. 10), bensì come lo sbocco positivo e dialettico di un’esclusione di massa, prodotta dall’unificazione dei mercati preunitari, che coinvolgeva insieme il mondo delle parrocchie e gli strati di piccola e media borghesia, urbana e rurale, non beneficiari della scelta protezionista. La straordinaria attenzione del grande sacerdote di Caltagirone per la democrazia delle autonomie, la spiccata sensibilità per gli aspetti sociologici, ma anche l’interesse per le correnti di vita religiosa gli aprirono ulteriori vie di ricerca e ambiti di indagine.
Da entrambi recuperò la sollecitazione a ricostruire dal basso la storia della Chiesa e del movimento cattolico, a coglierne le intime connessioni tanto con la vita religiosa e di pietà quanto con le mutazioni sociali e le trasformazioni economiche, con la realtà civile e culturale.
Convinto che compito precipuo dello storico fosse quello di vedere da vicino il teatro nel quale scorreva quella vita quotidiana e di pietà, diede particolare impulso all’individuazione e allo spoglio sistematico delle fonti che la raccontavano, spesso con sorprendente ricchezza di particolari, come le visite pastorali, le relationes ad limina, i sinodi, gli stati d’anime, i registri parrocchiali, i libri dei conti e così via. Diventava possibile finalmente conoscere a fondo l’ordinamento e l’organizzazione delle diocesi e delle parrocchie, raccogliere informazioni precise sulla consistenza numerica, la formazione e la preparazione culturale dei sacerdoti, sui riti, sulle mentalità collettive, sui comportamenti rispetto a eventi quali la nascita e la morte. Le strutture ecclesiastiche venivano considerate così in senso evolutivo e misurate in rapporto alle trasformazioni istituzionali, economiche e sociali succedutesi nell’Italia pre e postunitaria.
De Rosa concentrò la sua indagine nel Veneto e nel Mezzogiorno, attraverso scambi e confronti continui tra le due realtà. Nel Veneto incontrò una Chiesa costruita sul modello tridentino, con parrocchie mononucleari e diocesi affidate alla cura di vescovi residenti, impegnati nella realizzazione di un programma pastorale. La sua storia, influenzata dalla peculiare natura delle strutture amministrative asburgiche e napoleoniche, era condizionata dalle dinamiche economico-sociali delle aree di trasformazione e dalla povertà di quelle condannate alla marginalità. Era proprio questo ‘altro’ rispetto alla sua terra d’origine a spingerlo all’approfondimento delle ragioni storiche della distanza tra le due realtà, ma anche dei tratti comuni.
A intrigarlo particolarmente del Mezzogiorno era la peculiarità delle sue condizioni: la struttura sui generis della Chiesa ricettizia, la polverizzazione delle diocesi, la vita di pietà che faceva fatica a liberarsi da riti folklorici e pratiche magiche, il peso soffocante della feudalità, la debolezza del tessuto urbano.
La stagione avviata qualche anno prima con le ricerche raccolte nel fondamentale Vescovi, popolo e magia nel Sud (1971) consentiva finalmente di disporre di uno spaccato della vita della Chiesa meridionale costretta a fare i conti con epidemie e carestie, incursioni barbaresche e collere inconsulte di contadini e di pastori, con signorotti usurai e paternalisti; ma anche con il pletorico clero ricettizio, con le superstizioni e le magie, con la fede autentica, ma primitiva del suo popolo. Ma anche della realtà settentrionale si sapeva ormai molto di più, dopo le prime ricerche su Giuseppe Sacchetti e la pietà veneta (1968), grazie alla regestazione sistematica delle visite pastorali, favorevolmente salutata da Gabriel Le Bras, e agli studi sulle parrocchie.
Il convegno di Capaccio-Paestum (maggio 1972), il primo in Italia dedicato alla storia della società religiosa nel suo concreto rapporto con il civile, l’economico e il politico, assunse il rilievo di una vera e propria svolta storiografica. Era il frutto della convergenza fra l’attenzione più locale e intima alle realtà parrocchiali, di evidente derivazione postconciliare, e i nuovi percorsi metodologici della storiografia francese delle «Annales» di Marc Bloch e Lucien Febvre.
Tra organizzazione urbana e rurale, natura e funzione del fattore religioso e vita sacrale e magica, emergeva una relazione molto stretta. Il tema della religiosità popolare, nelle diverse modalità con le quali si presentava al Nord e al Sud, diveniva oggetto di uno stimolante confronto con la scuola francese e non solo. La dialettica tra il vissuto e il prescritto, un terreno particolarmente insidioso, richiedeva rigorose messe a punto. De Rosa considerava «equivoca» la definizione della religione popolare come «religione delle classi subalterne». Era convinto che, anche quando assumeva «aspetti e contenuti diversi rispetto al modello prescritto», fino a sconfinare nel superstizioso e nel paramagico, la religione popolare non fosse «fuori dal cristianesimo e dal cattolicesimo praticato dal clero riformatore e conciliare» (Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, 1978, p. 8); comportamento precettistico e pratica magica in molti casi risultano associati, non alternativi. Occorreva però anche andare oltre la stessa definizione di pietà a suo tempo prospettata da De Luca. Essa restava la più adatta a comprendere le vie della santità e le esperienze diffuse di fede, soprattutto nel Mezzogiorno, ma andava «collocata nella storia sociale»: ‘l’uomo che prega’ andava conosciuto «non in un assurdo isolamento da ciò che in tanta parte lo condiziona nella vita di tutti i giorni», bensì in «rapporto con la società, con la vita economica, con i generi di vita» (Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, cit., pp. 13, 17).
Gli stessi santi meridionali o veneti – che «il popolo ha venerato e amato prima ancora che fossero istruiti i processi di canonizzazione» – andavano studiati e colti «nel tessuto della storia» alla quale appartenevano, con le sensibili differenze che la caratterizzavano, «largamente tributarie delle ascendenze storiche e delle specifiche tradizioni consolidatesi attraverso il vissuto religioso» (Storie di santi, 1990, p. XIII).
Le nuove prospettive di indagine spalmavano i loro effetti anche sugli studi e sulle ricerche di storia del movimento cattolico, che potevano ora giovarsi di supporti archivistici diocesani e parrocchiali, in precedenza scarsamente utilizzati, per scandagliare più a fondo nei rapporti tra comportamenti politici, vita materiale e pratica religiosa. In particolare, bisognava fare attenzione a non sradicare i cattolici intransigenti dal loro tempo e dalle circostanze in cui avevano vissuto, per tenere nel massimo conto, invece, abitudini e forme tradizionali entrate a far parte del loro comportamento, mentalità, utopie e il senso della loro opposizione nei confronti dello Stato unitario. Tutti elementi che non potevano essere disgiunti da una religiosità popolare intimamente connessa con una società rurale messa in crisi dalla penetrazione capitalistica. Tale chiave di lettura e di ricerca, regione per regione, consentiva di interpretare anche la consistenza politica del popolarismo come forza di aggregazione della società civile nell’ambito più largo del processo di unificazione del Paese e di capire meglio la natura della confluenza dei ceti piccoli e medi borghesi.
Emergeva sempre più come decisivo il ruolo di una struttura portante come la parrocchia. L’organizzazione ecclesiastica delle diocesi meridionali risultava pesantemente condizionata dalla prevalenza della chiesa ricettizia, che aveva resistito al Concilio di Trento e che, ancora dopo il decennio francese, era di ostacolo all’affermarsi di una parrocchia di tipo mononucleare largamente diffusa al Nord. Gli ulteriori approfondimenti confermavano inoltre con evidenza che anche la distanza relativa ai tempi e alle modalità di applicazione del Concilio di Trento nelle due realtà fosse da imputare piuttosto alla diversità dei contesti storici, economico-sociali e istituzionali, dove le diffuse resistenze mentali e culturali, comuni a borghesi e contadini, contavano «da protagoniste». Indagate con i più raffinati strumenti metodologici propri della nuova storiografia della mentalità e della socialità, esse aiutavano a scoprire e riconoscere, nel suo spessore culturale e senza indulgenze folkloriche, l’identità di una storia locale «con i suoi eventi non solo politici, ma spirituali, di vita civile e di vita religiosa insieme». Una storia «che appare poco attraverso il solo evolversi delle istituzioni e il grande gioco della politica e che non si misura con le date» (Per una storia sociale della Basilicata, «Rassegna storica lucana», 1979, 1, p. 1), ma che non può essere considerata immobile, o senza avvenimenti, fino ad assecondare la deriva della non storia. Pur con una diversa scansione del ‘tempo religioso’ e del ‘tempo storico’, è innegabile infatti l’influenza propria dei grandi eventi politico-istituzionali, delle guerre, delle rivoluzioni che non sono assorbibili entro il sociale.
Nella storia della parrocchia dell’età contemporanea entrava così anche una storia della società civile, con tutti i problemi sollevati dalla Rivoluzione francese, dalle idee liberali, dalle rivoluzioni socialiste, dalle concezioni materialistiche, dall’irrompere della democrazia, dalla reazione cattolica allo Stato liberale, dalla liquidazione dei beni ecclesiastici e delle decime, dall’emigrazione e dalle trasformazioni economico-sociali tipiche della società di massa, colte nel collegamento stretto con le culture e le tradizioni dentro le quali si realizzavano. Le ricerche sul Veneto si arricchivano così sempre più frequentemente di approfondimenti relativi all’avvio dell’industrializzazione, all’alternativa tra liberismo e protezionismo, all’impatto dei processi di modernizzazione sulle permanenze socioculturali proprie della società rurale, ai traffici e alle relazioni strette con le contigue aree dell’Alto Adriatico. Le pagine di storia del Mezzogiorno, dal canto loro, contenevano riferimenti sempre più precisi a quei fattori geografico-ambientali che Fernand Braudel segnalava come essenziali per comprendere le civiltà del Mediterraneo.
Il criterio della lunga durata, evidenziando la continuità del processo storico, appariva come la chiave interpretativa in grado di non trascurare i diversi contesti, storici e geografici, e di dare un orizzonte più ampio anche alla storia locale. Come le ricerche sul Mezzogiorno provavano a intercettare ascendenze e relazioni con il Mediterraneo, allo stesso modo quelle sul Veneto si spingevano progressivamente verso l’Europa centro-orientale e l’altra sponda dell’Adriatico. All’interesse, evidente sin dall’inizio degli anni Ottanta, a esplorare ciò che si muoveva intorno al territorio veneto, si aggiunse, subito dopo il 1989, la spinta a recuperare le radici e la memoria storica della fede sommersa nei Paesi dell’Est, dalle terre dell’Alto Adriatico alla Polonia, fino a Kiev, nel cuore dell’Ucraina. Era possibile così riscoprire alla base il linguaggio della fede connesso con le vicende della vita e «un mondo ecclesiastico mobilissimo», circondato da confini diocesani cambiati o «annullati dallo Stato», che appariva come «una girandola vorticosa di etnie e di paure antiche e nuove» (Diario, 20.9.1991, in Gabriele De Rosa tra Vicenza, Veneto ed Europa orientale, 2012, p. 116).
Era ancora una volta il presente a richiedere un intenso esercizio di approfondimento sul passato, a suggerire di ricorrere alla ‘forza’ della storia, come a ‘una risorsa’ proprio perché
la storia non è un esercizio gratuito, la storia non è memoria mummificata, non è informazione passiva di quel che è accaduto, non è raccolta di quel che è morto, è conoscenza nel senso più puro del termine, conoscenza di vita, intreccio di esperienze che si prolungano sino a noi (Tempo religioso e Tempo storico, 3° vol., 1998, p. 303).
Ma la storia non può «pretendere l’esaustività, l’autosufficienza e nemmeno la globalità pur con il supporto delle sociologie più raffinate», perché «la storia – avvertiva – è processualità di eventi di problemi e di domande insieme; non è né può essere scienza esatta» (premessa a Storia medievale, 1989, p. 13).
Tra le sue innumerevoli pubblicazioni, oltre ai manuali di storia per le scuole, sui quali hanno studiato generazioni di italiani, ricordiamo in particolare:
Storia politica dell’Azione cattolica in Italia, 2 voll., Bari 1953-1954.
La crisi dello stato liberale in Italia, Roma 1955.
Giolitti e il fascismo in alcune sue lettere inedite, Roma 1957.
Storia del Partito popolare, Bari 1958.
Filippo Meda e l’età liberale, Firenze 1959.
I conservatori nazionali: biografia di Carlo Santucci, Brescia 1962.
Storia del movimento cattolico in Italia, 2 voll., Bari 1966.
Giuseppe Sacchetti e la pietà veneta, Roma 1968.
Vescovi, popolo e magia nel Sud. Rcerche di storia socio-religiosa dal XVII al XIX secolo, Napoli 1971.
L’utopia politica di Luigi Sturzo, Brescia 1972.
Luigi Sturzo, Torino 1977.
Chiesa e religione popolare nel Mezzogiorno, Roma-Bari 1978.
Sturzo mi disse, Brescia 1982.
Storia del Banco di Roma, 3° vol., Roma 1984.
Tempo religioso e Tempo storico. Saggi e note di storia sociale e religiosa dal Medioevo all’età contemporanea, 3 voll., Roma 1987-1998.
Da Luigi Sturzo ad Aldo Moro, Brescia 1988.
Storie di santi, Roma-Bari 1990.
Una banca cattolica fra cooperazione e capitalismo. La Banca Cattolica del Veneto, Roma-Bari 1991.
La transizione infinita. Diario politico 1990-1996, Roma-Bari 1997.
La storia che non passa. Diario politico 1968-1989, a cura di S. Demofonti, Soveria Mannelli 1999.
La passione di El Alamein. Taccuino di guerra 6 settembre 1942-1 gennaio 1943, Roma 2002.
L’appagamento morale dell’animo. Raccolta di scritti, a cura di C. Argiolas, Roma-Soveria Mannelli 2007.
Tra le numerose curatele e i volumi che raccolgono gli atti dei convegni e seminari che documentano le ricerche collettive da De Rosa personalmente coordinate si segnalano:
La società religiosa nell’età moderna, Napoli 1973.
Luigi Sturzo nella storia d’Italia, Roma 1973.
Il movimento cattolico e la società italiana in cento anni di storia, Roma-Vicenza 1976.
Società e religione in Basilicata nell’età moderna, 2 voll., Roma 1977-1978.
La parrocchia nel Mezzogiorno dal Medioevo all’età moderna, Napoli 1980.
La parrocchia in Italia nell’età contemporanea, Napoli 1982.
Trasformazioni economiche e sociali nel Veneto tra XIX e XX secolo, a cura di A. Lazzarini, Vicenza 1984.
Sturzo, i cattolici democratici e la società civile del Mezzogiorno. A 25 anni dalla scomparsa di don Luigi Sturzo, «Sociologia», 1987, 1-2-3.
Il Concilio di Trento nella vita spirituale e culturale del Mezzogiorno tra XVI e XVII secolo, 2 voll., Venosa 1988.
Luigi Sturzo e la democrazia europea, Roma-Bari 1990.
Il Mezzogiorno e la Basilicata fra l’età giacobina e il decennio francese, a cura di A. Cestaro, A. Lerra, 2 voll., Venosa 1992.
Veneto e Lombardia tra rivoluzione giacobina ed età napoleonica. Economia, territorio, istituzioni, a cura di G.L. Fontana, A. Lazzarini, Roma-Bari 1992.
Storia dell’Italia religiosa (con T. Gregory e A. Vauchez), 3 voll., Roma 1993-1995.
L’età rivoluzionaria e napoleonica in Lombardia, nel Veneto e nel Mezzogiorno. Un’analisi comparata, a cura di A. Cestaro, Venosa 1999.
Le vie dell’industrializzazione europea. Sistemi a confronto, a cura di G.L. Fontana, Bologna 1997.
L’area alto-adriatica dal riformismo veneziano all’età napoleonica, a cura di F. Agostini, Venezia 1998.
Storia della Basilicata (con A. Cestaro), 4 voll., Roma-Bari 1999-2006.
G. De Rosa, F. Lomastro, L’età di Kiev e la sua eredità nell’incontro con l’Occidente, Roma 2003.
G. De Rosa, F. Lomastro, La morte della terra. La grande carestia in Ucraina nel 1932-33, Roma 2004.
Contributi alla storia socio-religiosa. Omaggio di dieci studiosi europei a Gabriele De Rosa, a cura di A.L. Coccato, Vicenza-Roma 1997.
«Sociologia», 2007, 3.
«Ricerche di storia sociale e religiosa», 2010, 78.
Gabriele De Rosa tra Vicenza, Veneto ed Europa orientale. Ricordando alcuni itinerari di ricerca, a cura di F. Agostini, Padova 2012.
Su Pietro Scoppola:
A. Giovagnoli, Chiesa e democrazia. La lezione di Pietro Scoppola, Bologna 2011.
Tra i primi a proporre in sede storiografica il tema delicatissimo del rapporto tra partiti e istituzioni e le questioni derivanti dal processo di secolarizzazione e dalla separazione tra valori e politica vi fu Pietro Scoppola (Roma 1926-ivi 2007). Già funzionario del Senato, insegnò storia contemporanea presso l’Università di Roma. Direttore della rivista «Il Mulino», collaborò assiduamente a riviste e quotidiani, tra cui «la Repubblica». Schierato con i ‘cattolici del no’ al referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio (1974), fu eletto senatore come indipendente per la Democrazia cristiana (1983-87). Fu tra i promotori de L’Ulivo e del Partito democratico. Si segnalò, sul finire degli anni Cinquanta, per alcuni contributi sulla Democrazia cristiana di Romolo Murri fino alla crisi modernista e sui rapporti tra Stato e Chiesa dall’Unità al fascismo. In seguito, si dedicò allo studio di Alcide De Gasperi, rovesciando, rispetto a quella che definì la storiografia ‘dei vinti’, la prospettiva di lettura della sua azione politica nonché dei metodi e dei contenuti della sua iniziativa di governo. Tra le sue opere si segnalano in particolare: Dal neoguelfismo alla Democrazia cristiana, 1957; Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, 1961; Chiesa e Stato nella storia d’Italia, 1967; La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, 1971; La democrazia nel pensiero cattolico del Novecento, 1972; La proposta politica di De Gasperi, 1977; Gli anni della Costituente fra politica e storia, 1980; La ‘nuova cristianità’ perduta, 1985; La Repubblica dei partiti. Evoluzione e crisi di un sistema politico, 1945-1996, 1991, nuova ed. 1997; La democrazia dei cristiani. Il cattolicesimo politico nell’Italia unita, intervista a cura di G. Tognon, 2005; La coscienza e il potere, 2007; Un cattolico a modo suo, 2008; Lezioni sul Novecento, a cura di U. Gentiloni Silveri, Roma-Bari 2010.
Convinto in particolare del valore dell’esperienza del cattolicesimo lombardo e ambrosiano fu Giorgio Rumi (Como 1938-Milano 2006) che, allievo di Ettore Passerin d’Entrèves, insegnò storia contemporanea presso l’Università di Bari e la Statale di Milano. Condirettore della rivista «Liberal», editorialista de «L’Osservatore romano», collaborò al «Corriere della Sera», «Il Sole 24 Ore» e «Avvenire». Fu consigliere di amministrazione della RAI dal 2003 al 2005. Corposa la sua produzione bibliografica, concentrata prevalentemente sulle questioni relative al Risorgimento nazionale, ai complessi rapporti tra Stato e Chiesa dopo l’Unità, all’esperienza del cattolicesimo liberale e al fascismo, nell’ambito della quale si segnalano in particolare: Alle origini della politica estera fascista:1918-1923, 1968; Padre Gemelli e l’Università cattolica, 1972; L’imperialismo fascista, 1974; De Gasperi tra storia e storiografia, 1981; Lombardia guelfa 1780-1980, 1988; Santità sociale in Italia tra Otto e Novecento, 1995; Gioberti, 1999; Tempi di guerra, attese di pace: letture storiche da «L’Osservatore Romano», a cura di P. Gheda, 1999; Perché la storia, a cura di E. Bressan, D. Sarasella, 2009.
Michele Ranchetti (Milano 1925-Firenze 2008), studioso di storia della Chiesa e delle religioni, fu assistente di Delio Cantimori e insegnò presso l’Università di Firenze dal 1973 al 1998. Consulente editoriale di importanti case editrici, curò l’edizione italiana di opere di pensatori stranieri tra cui Sigmund Freud e Ludwig Wittgenstein, Blaise Pascal e Walter Benjamin. In particolare, per la casa editrice Quodlibet ideò e diresse la collana Verbarium e collaborò con numerose riviste e giornali tra cui «il manifesto». Tra i numerosi saggi pubblicati si segnalano in particolare: Cultura e riforma religiosa nella storia del moderrnismo, 1963; Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo, 1997; Scritti diversi, 4 voll., a cura di F. Milana, 1999-2010; Non c’è più religione. Istituzione e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento, 2003.