FILIPPUCCI, Gabriele
Nacque a Macerata l'11 marzo 1631, figlio di Domenico e di Elisabetta Pellicani, entrambi nobili maceratesi.
La sua prima educazione venne affidata ai padri della Compagnia di Gesù (Ordine nel quale anni prima era entrato il cugino Alessandro, partito poi missionario nelle Indie e morto a Macao nel 1692). Dopo essersi specializzato negli studi teologici e legali, conseguì il dottorato in legge nel 1655. Nello stesso anno raggiunse Roma per istruirsi nella pratica della Curia, sotto alcuni celebri procuratori del tempo, quali F. Mastrilli e A. Saracinelli. Una epidemia di peste, iniziatasi in Sardegna e giunta a Roma l'anno seguente, lo spinse a ritornare a Macerata, dove trascorse un periodo di quarantena presso la famiglia dei Conventati. Dopo poco tempo fece ritorno a Roma e riprese la pratica legale, prims presso lo studio di E. Eusebi, famoso avvocato dei poveri (all'interno della Camera apostolica si occupava del patrocinio civile per i non abbienti e le vedove e delle condizioni di vita delle carceri), quindi in quello di G. B. De Luca, futuro cardinale.
Questo periodo di praticantato (interrotto solo da un secondo ritorno a Macerata, per la morte del fratello Nicola, e dal tentativo del padre di convincerlo al matrimonio, al cui rifiuto seguì una seconda e definitiva fuga per Roma) durò fino al 1666, quando il F. cominciò la professione di avvocato. Ben presto acquistò una discreta fama, tanto che su pressione del cardinale Felice Rospigliosi, nipote di papa Clemente IX, venne chiamato a ricoprire la carica di auditore per la città di Roma, dopo aver rifiutato la stessa carica offertagli per la nunziatura di Polonia.
A Roma il F. rimase per più di quarant'anni, allontanandosene soltanto altre due volte, sempre per far ritorno a Macerata: nel 1672 per la morte del padre e nel 1685 per la malattia e morte dell'altro suo fratello Giuseppe.
La sua prudenza e abilità legale fu sempre più manifesta, sicché Innocenzo XII, nell'ambito del suo programma di riforma dei tribunali prelatizi, resasi vacante la Segnatura della giustizia (alla quale per consuetudine si accedeva non per meriti ma per anzianità), nel 1694 la offrì al F. insieme con un canonicato nella basilica vaticana. Il F. rifiutò; ma l'anno seguente, quando si rese disponibile la carica di sottodatario, dovette accettare la nomina che il papa gli offrì nuovamente, insieme col titolo di canonico lateranense.
Il F. lavorò come sottodatario per quattro anni, distinguendosi per l'impegno, l'integrità e la perizia, tant'è che spesso il papa lo chiamava per ricevere da lui consigli durante le congregazioni particolari. Questa fiducia fu resa completamente manifesta il 28maggio 1699, quando, essendosi resa vacante la carica di auditor papae (per il passaggio del titolare, monsignor G. Giacometti, al tribunale della S. Rota), il F. fu chiamato a tale incarico; ricevette altresì la mantelletta, insieme col titolo di referendario di entrambe le Segnature.
Il F. si impegnò a fondo senza risparmio di tempo, studiando processi e cause, principalmente criminali, ottenendo molte volte la revisione dei processi e anche la revoca di condanne capitali.
Il successore di Innocenzo XII, Clemente XI, poco dopo essere salito al soglio pontificio, nel 1701 conferì al F. il titolo di dottore nei decreti e quello di segretario dei memoriali, con la possibilità, abbastanza eccezionale, di preparare a suo piacimento i rescritti dei memoriali, dato che l'età avanzata gli rendeva pesante assistere a tutte le relazioni. Per ultimo il papa lo nominò votante della Segnatura di giustizia, con l'idea (già del resto del suo predecessore) di promuoverlo al più presto cardinale.
Nel 1706 Clemente XI decise infatti tale promozione, nonostante che il F., avendone avuto sentore, avesse fatto sapere al pontefice di non desiderarla: la nomina avvenne nel concistoro segreto del 17 maggio. Il F. presentò formale rinunzia, e il 7 giugno il papa, su conforme parere di una speciale congregazione, ratificò la decisione del Filippucci. Avendo questi altresì rinunziato alla votanza della Segnatura di giustizia (che venne conferita nello stesso giorno ad un nipote del F., Francesco De Vico, insieme con un canonicato allora vacante presso la basilica lateranense), il papa gli assegnò un vitalizio di 1.000 scudi annui, per conto della Camera apostolica.
Ma già dal 20 maggio il F. era stato assalito da una violenta febbre, procurata da un attacco di idropisia. Morì a Roma, dopo dieci giorni di agonia, il 21 luglio 1706.
Nonostante il suo divieto, i funerali vennero organizzati in pompa magna a spese del papa. Per il gran concorso di popolo, dopo una orazione funebre tenuta da un famoso letterato del tempo, il gesuita Stanislao Monti, si dovette trasportare il corpo dalla chiesa di S. Ignazio alla basilica di S. Giovanni in Laterano, ed eseguire un secondo funerale. Il corpo, in un primo tempo sepolto in S. Ignazio, nel 1715 venne traslato di nuovo al Laterano, nel sepolcro fatto costruire dal nipote Francesco.
Bibl.: G. M. Crescimbeni, Vita di monsignor G. F., Roma 1735; A. Ricci, Degli uomini illustri di Macerata, in Giornale arcadico, CXII (1847), pp. 316 s.