MALAGRIDA, Gabriele
Nacque a Menaggio, sulla sponda occidentale del lago di Como, il 18 sett. 1689 (altre date ipotizzate sono il dicembre del 1688 e il 6 dic. 1689) da Diogo, medico stimato dall'aristocrazia locale al quale Vittorio Amedeo II di Savoia offrì, senza successo, una cattedra di medicina all'Università di Torino, e da Angela Rusca.
Quarto di undici figli (tra i fratelli: Carlo Ambrogio, professore di teologia a Roma, morto nel 1734; Michele, diacono a Menaggio; Carlo, morto in Germania), dall'età di nove anni il M. studiò presso i somaschi a Como. Secondo il biografo più noto, il gesuita P. Mury, sin dal collegio manifestò attitudine nella recita di drammi religiosi e si esercitò con buoni risultati nell'oratoria. Studiò poi teologia nel collegio di Brera a Milano e a 22 anni (il 27 settembre o il 23 ott. 1711) entrò nel noviziato dei gesuiti a Genova. Nel 1713 pronunciò i voti e, insieme con un padre Mariani, fu in missione nella provincia di Como. Dal 1714 studiò retorica a Brera; tra il 1716 e il 1718 insegnò latino in Corsica nel collegio di Bastia dove il superiore lo giudicò di ingegno "fecundum, sed confusum" e di prudenza ancora "exigua" (Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Med., 8, c. 112v). Nel 1718-19 insegnò latino nel collegio di Vercelli. Tra il 1711 e il 1719 scrisse una tragedia, Amanus, che quarant'anni dopo sarà giudicata sovversiva nel processo sull'attentato a Giuseppe I di Portogallo.
Dal 1719 studiò teologia nel collegio di Genova, dove, nel luglio del 1721, fu ordinato sacerdote. Nello stesso anno, accolte le sue ripetute richieste di andare missionario in Brasile, partì per Lisbona, e di lì per São Luís, capitale del Maranhão, provincia situata in una posizione strategica e per questo posta sotto il governo diretto della Corona portoghese con la denominazione di Estado do Maranhão e do Grão Pará.
Il M. giunse a São Luis il 26 dic. 1721; da allora, per tutta la permanenza in Brasile (1721-49 e 1751-54), alternò l'insegnamento nei collegi gesuitici a missioni tra i coloni luso-brasiliani o tra i gruppi etnici autoctoni. Nel 1722 fu tra i coloni del Maranhão con L. Bucarelli, fratello minore del più famoso Francesco Maria, anch'egli missionario gesuita; nello stesso anno predicò e fu professore degli allievi più giovani nel collegio di Pará, senza rinunciare alle missioni itineranti, per le quali percorse a piedi l'esteso territorio tra le città di Pará e Caieté. Poco tempo dopo ottenne di andare in missione (1725-27) tra gli indios Tabajara e Barbados; nel 1727-28 insegnò di nuovo lettere ed eloquenza nel collegio di São Luis, continuando a predicare la domenica nei piccoli centri dell'interno. Tra il 1728 e il 1730 fu di nuovo tra gli indios (Barbados e Gamelas), insieme con il padre J. Pereira, per tornare a insegnare nel 1730-35 a São Luis.
In quel periodo si delineò con maggior precisione la personalità del M., che alle doti di predicatore ed educatore coniugava capacità organizzative (resse collegi a livello cittadino e provinciale e presiedette la Congregazione della S. Vergine, che riuniva gli alunni migliori). Nel 1735, ottenuto ancora da Roma il permesso di predicare nell'interno, partì con J. Rodríguez Cavete, amministratore della diocesi del Maranhão. Durante questo nuovo, lungo periodo di predicazione itinerante (1735-47), che non escluse incarichi e iniziative istituzionali importanti, la popolarità del M. crebbe sino a raggiungere fama di santità. Nel corso degli anni mise a punto un cerimoniale, che trascinava le folle sia nelle città che nei centri rurali, incentrato sull'immagine miracolosa della Madonna delle Missioni (Nossa Senhora das Missões), dalla quale il M. non si separò mai, nemmeno nei due viaggi in Portogallo. Il rituale si ripeteva costante a ogni tappa delle sue peregrinazioni missionarie (estese alle province di Bahia e di Pernambuco, 1741-45): processione con l'immagine della Madonna; festa popolare; omelia e raccolta di fondi per le missioni e per l'istituzione di seminari, collegi per fanciulle e asili per la redenzione delle prostitute. Nei confronti di queste ultime il M. ebbe, per tutta la sua permanenza in Brasile, una particolare attenzione: liberò molte donne dai loro sfruttatori anche con atti che parvero miracolosi.
Tra il 1735 e il 1749 il M. fu al centro d'un crescendo di visioni, prodigi e guarigioni con l'imposizione delle mani. Divenne esorcista; si disse che parlava agli animali e gli furono attribuiti miracoli simili a quelli di s. Francesco d'Assisi. Durante le processioni, il popolo tagliava pezzi della sua tonaca per farne reliquie. L'episodio più importante fu il recupero della voce da parte di un muto (1742), fatto che avrebbe potuto accelerare il processo di beatificazione di José de Anchieta (1534-97), il gesuita portoghese fondatore in Brasile del collegio di São Paulo de Piratininga. Nell'occasione il M. scrisse le Notícias da cura miraculosa de un [sic] mudo 31 de Agosto de 1742, no colégio do Recife (in Mury, 1992, pp. 133-136).
Dopo un'intensa attività come fondatore di seminari (1747-49), il 7 dic. 1749 il M. partì per il Portogallo. I problemi di salute addotti da alcuni biografi contrastano con l'intensa attività svolta a Lisbona; è più probabile che volesse perorare - o fosse stato incaricato di farlo - la causa delle missioni gesuitiche nel Maranhão. L'arrivo a Lisbona, il 31 genn. 1750, fu trionfale. Il re Giovanni V lo volle subito a palazzo, e il M. gli chiese di proteggere collegi, conventi e seminari in Brasile, nonché il permesso di fondarne degli altri. Ripeté il rito della processione e devozione all'immagine della Madonna delle Missioni, con un'enorme partecipazione popolare. Il M. divenne padre spirituale del sovrano, sino alla morte di Giovanni V, il 31 luglio 1750; nel 1751 il successore, Giuseppe I, lo nominò suo consigliere per i possedimenti d'Oltremare.
Il M. rientrò allora in Brasile. La protezione del re gli permise di viaggiare sulla nave di Stato destinata a F.X. de Mendonça Furtado, nuovo governatore del Maranhão e fratello di S.J. de Carvalho e Mello, futuro marchese di Pombal e riformatore illuminista del Portogallo e dei domini d'Oltremare.
È inevitabile richiamare la valenza simbolica dell'incontro tra il rigoroso alto funzionario reale e il fervente e visionario missionario, esponenti di mondi entrati ben presto in collisione. D'altronde le acute osservazioni del primo nella corrispondenza ufficiale o riservata col fratello non devono essere state estranee al compimento del tragico destino del M., per i riferimenti a sue azioni contrarie a disposizioni della Corona. L'ascesa di Giuseppe I al trono e di Pombal alla segretaria di Stato segnarono infatti l'inizio, in Portogallo e in Brasile, delle riforme illuministiche. Il M. incontrò difficoltà crescenti nei suoi progetti di evangelizzazione, da parte sia del nuovo governatore del Maranhão, sia dei confratelli e dell'autorità ecclesiastica locale. Forte della protezione del sovrano, aveva iniziato un'intensa campagna per la fondazione di seminari e collegi (in tutto fondò tre seminari, una casa per gli esercizi spirituali, quattro conventi per donne, molti asili per prostitute e si adoperò per il restauro di otto chiese). Incontrata la decisa opposizione del vescovo, cercò di aggirarla chiedendo il permesso direttamente al Mendonça Furtado. La situazione fu oggetto di relazioni puntuali del governatore al ministro, che misero in luce, oltre al contesto del processo riformatore che attraversava il Brasile, anche le strategie e la personalità del M., rappresentato come uomo anziano, poco rispettoso delle norme e dal linguaggio confuso e vago, ma nello stesso tempo molto determinato nei suoi propositi di espansione della Compagnia e di sviluppo dei seminari e dei collegi religiosi oltre il numero consentito dalla legge, e ciò mentre lo Stato si apprestava a incentivare l'istruzione laica. Così, in un contesto di forti tensioni con altri ordini religiosi e con la Corona, il M., pur emarginato anche dai confratelli, si configurò, per il suo prestigio di predicatore e taumaturgo, quale importante difensore degli interessi della Chiesa in Brasile.
Alla fine del 1753, preso commiato dal governatore, ripartì per Lisbona. La partenza non era definitiva, perché lo scopo del viaggio era di far concedere ai gesuiti, con l'aiuto della vedova di Giovanni V, Maria Anna d'Austria, l'esclusiva dello sfruttamento e del commercio sul rio Tapajós e un risarcimento per gli schiavi indios affrancati dalle nuove leggi del Regno. La regina madre, gravemente ammalata, lo volle come padre spirituale, ma il clima a corte era notevolmente cambiato rispetto al 1750. Le porte del palazzo reale restarono chiuse per il M., che fu allontanato a Setúbal, dove organizzò esercizi spirituali per le dame di corte e scrisse due drammi religiosi (Santo Adriano e Fidelidade de Leontina), in polemica con le opere messe in scena nel nuovo teatro di Lisbona.
Poco tempo dopo, nel gennaio 1756, stampò a Lisbona il suo scritto più noto, per i tipi di Manoel Soares: Juízo da verdadeira causa do terremoto que padeceu a corte de Lisboa no primeiro novembro de 1755.
Il devastante terremoto di Lisbona divenne lo scenario dello scontro finale tra il M. e lo Stato illuminista. La tragedia manifestò la cesura insanabile tra il pensiero e la politica illuminista, incarnati da Pombal, che sottolineava il carattere naturale del fenomeno e si adoperò in prima persona nel soccorso dei feriti e nel rimuovere le macerie, e il pensiero religioso che vedeva nella sciagura un segno inequivocabile di castigo divino e l'incitamento alla penitenza e alla preghiera. Il M. rappresentò quest'ultima posizione in forma estrema, organizzando immediatamente una processione nella città devastata, incitando, per maggior penitenza, a non rimuovere le macerie e a non soccorrere i feriti e pronunciando l'omelia poi pubblicata. Il Juízo da verdadeira causa, prova delle sue grandi capacità oratorie, è anche l'ultimo suo scritto certo e la causa del suo esilio definitivo a Setúbal (1756-58), dove riprese, con maggiore successo di prima, gli esercizi spirituali.
I tre anni successivi, in una Lisbona ricostruita lentamente con l'oro del Brasile, videro la crisi definitiva dei rapporti tra lo Stato e la Compagnia di Gesù, e in questo processo maturò il tragico epilogo della vita del Malagrida. La notte del 19 sett. 1757 i gesuiti residenti a corte (J. Moreira, T. de Oliveira, J. Costa, J. Araújo, M. de Matos) ricevettero l'ordine di lasciare immediatamente il palazzo. L'anno seguente il patriarca di Lisbona proibì ai gesuiti di predicare e confessare. Infine il fallito attentato contro Giuseppe I (3 sett. 1758) svelò la congiura della famiglia dei marchesi di Távora e il possibile coinvolgimento del M. e di altri confratelli. Il sequestro della corrispondenza verso il Brasile mise in luce, tra l'altro, lettere del M. e di M. de Matos sull'attentato; la posizione del M. fu poi aggravata dal fatto di essere spesso visitato nell'esilio di Setúbal dall'anziana marchesa di Távora, dona Leonor.
L'istituzione di un tribunale speciale, la Junta da Inconfidência, portò all'immediato arresto dei congiurati e del M. (11 genn. 1759). Due giorni dopo tutti i Távora furono giustiziati pubblicamente; i gesuiti furono assolti dall'accusa di lesa maestà, ma il M. fu trattenuto come fautore di eresia. Così, quando Giuseppe I firmò l'atto di espulsione dei gesuiti dai suoi Stati (3 sett. 1759) e i membri portoghesi della Compagnia si imbarcarono alla volta di Civitavecchia, il M. fu trattenuto nelle prigioni del S. Uffizio, che lo processò tra il 1759 e il 1761. Egli fu giudicato in base a due opere scritte in prigione, sulla paternità delle quali esistono molti dubbi: Heróica e admirável vida da gloriosa s. Anna, e un Tractatus de vita et imperio Antichristi.
Giudicato colpevole di eresia e atti di libidine, il M. negò, e rifiutò di chiedere perdono; condannato a morte, fu garrotato e bruciato insieme con altre trentadue persone a Lisbona, in piazza del Rocío, il 21 sett. 1761.
La solenne e meticolosa messa in scena della condanna (l'auto da fé durò quasi ventiquattro ore e il M. fu giustiziato per ultimo, al culmine dell'attenzione della numerosissima folla degli spettatori) rivelò l'intento di dare il massimo rilievo al castigo.
La notizia dell'esecuzione si sparse per l'Europa e fu utilizzata come esemplare sia dai detrattori dei gesuiti sia dai loro sostenitori. Clemente XIII ordinò immediatamente di far eseguire e stampare un ritratto del M., "soli invisus Daemoni"; la sua immagine di martire si diffuse tra i devoti in Europa e in Brasile, ma anche nei paesi protestanti. Contemporaneamente, per gli avversari della Compagnia di Gesù il M. divenne simbolo di male e perversione e subito circolarono pubblicazioni a sostegno di questa tesi, come la Relazione della condanna, ed esecuzione del gesuita Gabriele Malagrida dall'abbate Platel scritta ad un vescovo di Francia tradotta dal francese in italiano, pubblicata a Lisbona nel 1761 per opera di un "frate cappuccino Norbert", o la tragedia in tre atti Malagrida, scritta dall'abate P. de Longchamps nel 1763 e subito tradotta in italiano, che lo dipinse come un ciarlatano e amante della vecchia marchesa di Távora. Sul versante opposto, alcuni confratelli (G.M. Doria, nel 1761; M. Rodrigues, nel 1762) scrissero memorie agiografiche, riprese un secolo dopo da un altro gesuita, P. Mury. Il M. giunse a fama universale grazie a Voltaire, che nel 1775 dedicò al suo processo parte del cap. XXXVIII del Précis du siècle de Louis XV, ammettendo la cospirazione dei gesuiti contro Giuseppe I, ma condannando il processo nel S. Uffizio, nel quale "[(] l'eccesso del ridicolo e dell'assurdo si unì all'eccesso di orrore" (Oeuvres complètes, XV, pp. 395-400).
L'interesse per la vicenda è perdurato nel tempo, pur spostandosi progressivamente dal dibattito ideologico e teologico alla figura di un religioso che incarna tensioni e contraddizioni d'un periodo cruciale per la storia europea.
Fonti e Bibl.: L'usato giuocolino di sue riverenze. O sia Lettere sparse per l'Italia da' gesuiti nel tempo dell'attentato contro la vita del re di Portogallo con la risposta alle medesime, Napoli 1768; Prove, e confessioni autentiche estratte dal processo che dimostrano la reità de' gesuiti nell'attentato regicidio di s.m. fedelissima D. Giuseppe I, re di Portogallo, Venezia 1768; P. Cordusa, Il buon raziocinio dimostrato in due scritti, ossia Saggi apologetici sul famoso processo e tragico fine del fu p. G. M., Venezia 1782 e 1784; Mémoires de S.-J. de Carvalho e Mello, comte d'Oeyras, marquis de Pombal, Lisboa-Bruxelles 1784, IV, pp. 639-643; Camilo [Castelo Branco], História de G. M., Lisboa 1875; F.-M. Voltaire, Précis du siècle de Louis XIV, in Id., Oeuvres complètes, Paris 1877-85, XV, pp. 395-400; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, V, Bruxelles-Paris 1894, s.v.; A Amazônia na era pombalina, a cura di M. Carneiro de Mendonça, São Paulo 1963, I, pp. 63-78, 143-148, 174-177, 224 s., 247-251, 422-426; II, p. 453; III, pp. 922 s.; La figura storica e l'opera sociale e religiosa di p. G. M. nel Brasile e nel Portogallo del Settecento. Atti del Convegno internazionale, Como-Menaggio-Campione, 1990, Como 1996; P. Mury, História de G. M., São Paulo 1992; Nouvelle biographie générale, Paris 1860, XXXII, pp. 1003-1006; Diccionario histórico de la Compañía de Jesus, a cura di Ch.E. O'Neill - J.M. Domínguez, Roma-Madrid 2001, III, sub voce.