PALEOTTI, Gabriele
PALEOTTI, Gabriele. – Nacque a Bologna il 4 ottobre 1522 da Alessandro e da Gentile Volta.
La famiglia Paleotti era da secoli appartenente alla media borghesia cittadina (non di provenienza aristocratica): ascese nella scala sociale con l’ingresso nel mondo giuridico legato all’università e alla politica. Il primo ad acquisire fama fu, nel secondo Quattrocento, il nonno di Paleotti, Vincenzo, che ricoprì la cattedra di diritto civile nell’Università e fu impegnato in diverse missioni politico diplomatiche al servizio dei Bentivoglio, signori di Bologna: ricordato per un trattato De dote, aveva intrecciato solidi legami, anche di parentela, con i più vivaci umanisti bolognesi, in particolare con colui che divenne il suo genero, il letterato Filippo Beroaldo il vecchio. Il destino della famiglia subì un duro colpo con la cacciata dei Bentivoglio e la conquista di Bologna da parte di papa Giulio II nel 1506: i partigiani della signoria furono perseguitati e i due figli di Vincenzo (Alessandro, docente di diritto canonico, e Camillo, letterato) furono imprigionati in Castel Sant’ Angelo. La disgrazia si trasformò però in un tornante positivo perché permise l’ingresso dei due fratelli – dopo la morte di Giulio II e l’elezione al pontificato di Giovanni de’ Medici, Leone X – nella grande centrale dell’umanesimo romano e curiale a fianco di Baldassar Castiglione, Pietro Bembo ecc. La morte dei due fratelli in giovane età negli anni Venti del Cinquecento non permise una carriera all’altezza dell’ambiente intellettuale che li aveva accolti ma certamente si trasferì come ideale di vita in Paleotti, che alla morte del padre Alessandro aveva 5 anni.
Educato insieme con i rampolli della dinastia Farnese nel collegio Ancarano di Bologna e membro di accademie umanistiche, Paleotti compì studi giuridici e conseguì il dottorato in diritto civile il 14 maggio 1546 e dopo pochi mesi, il 23 ottobre, quello in diritto canonico (Prodi, 1959, p. 57). Ottenne quindi, nel 1548, la cattedra di diritto civile nella sua stessa università. Nel 1550 tutti gli elementi dell’umanesimo giuridico assorbiti dalla scuola di Andrea Alciato confluirono in un’opera che sarebbe stata riedita più volte anche oltralpe e che gli conferì una fama europea: De nothis spuriisque filiis (Bologna, A. Giaccarelli, 1550). Sulla base di esempi storici di personaggi nati come figli illegittimi ma che avevano raggiunto il successo e la fama, Paleotti difese i diritti dei figli nati fuori dal matrimonio inserendo i principi di equità e di diritto naturale nel concreto assetto istituzionale, canonico e civile, del suo tempo.
In virtù della sua fama come giurista ottenne nel 1556 la nomina a uditore della Sacra Rota Romana, che allora esercitava le funzioni di supremo tribunale civile dello Stato pontificio; lasciò pertanto l’insegnamento e si trasferì a Roma.
La seconda fase della sua vita si aprì nel 1562, quando fu scelto dal cardinale Giovanni Morone, inviato dal papa Pio IV a presiedere l’ultima fase del concilio di Trento (1562-63), come suo consigliere giuridico. La sua funzione diventò quindi centrale sia per l’elaborazione dei decreti di riforma delle ultime sessioni sia per l’opera di mediazione che ne fece il principale protagonista nei compromessi tra conservatori e progressisti, tra il papato e le grandi potenze di Francia e Spagna.
Il suo Diarium conciliare (note quotidiane scritte a matita), custodito gelosamente segreto per secoli dalla famiglia, che resistette anche alle pressioni di Paolo V per la sua consegna all’Archivio Vaticano, fu pubblicato per la prima volta a Londra nel 1842 dall’anglicano Joseph Mendham (ora in Concilium Tridentinum.Diariorum, Actorum, Epistularum, tractatuum nova collectio, Diariorum, III,1, a cura di S. Merkle, Freiburg in B. 1931, pp. 231-762), divenendo una delle fonti fondamentali per la storia moderna del concilio tridentino stesso.
Tornato a Roma, fece parte della prima commissione per la pubblicazione e l’interpretazione dei decreti conciliari (la futura congregazione del concilio) e venne nominato cardinale per i grandi meriti acquisiti nel concistoro del 12 marzo 1565.
La terza e centrale fase della sua vita iniziò con la promozione a vescovo di Bologna annunciata dal nuovo pontefice Pio V nel concistoro del 30 gennaio 1566.
Ordinato sacerdote e consacrato vescovo nel febbraio 1566, già il 24 dello stesso mese fece il solenne ingresso a Bologna. Il suo impegno nel governo pastorale della diocesi bolognese – che può considerarsi concluso solo nel 1591 – costituì il fulcro della sua importanza storica come uno dei massimi interpreti della riforma tridentina, in parallelo con l’attività che Carlo Borromeo intraprese a Milano, lasciando nello stesso arco di tempo la curia romana. Non sappiamo quanto queste partenze da Roma dei due prelati fossero un allontanamento (data l’impostazione rigidamente centralistica del nuovo pontefice Pio V) o una scelta personale: certo è che si tradussero nel tentativo di sperimentare un’attuazione della riforma in senso nettamente episcopale, ponendo alla base della rispettiva azione pastorale le direttive del Tridentino sulla residenza di diritto divino dei vescovi, sui concili provinciali ogni tre anni, sul sinodo diocesano annuale, visto non tanto come sede di emanazione di ordini quanto come riunione di tutto il clero della diocesi intorno al vescovo. Lo ‘spirito episcopale’ è ciò che sembra caratterizzare la riforma tridentina particolarmente nell’Italia settentrionale e Paleotti la espose in due opere a stampa: la prima, Episcopale Bononiensis civitatis et dioecesis (Bologna, A. Benacci, 1580), come semplice raccolta degli interventi di governo pastorale compiuti nei primi 15 anni di governo; e la seconda, Archiepiscopale Bononiense sive de Bononiensis Ecclesiae administratione (Roma, G. Burchioni e G.A. Ruffinelli, 1594), nella quale l’impostazione della riforma episcopale viene teorizzata ed esemplata anche con la stampa di discorsi tenuti nella cattedrale e nelle visite pastorali ai diversi ceti di persone, intellettuali, artigiani, commercianti, contadini ecc.
Il nucleo comune dell’opera di riforma di Paleotti e Borromeo, rispetto alla situazione ereditata dal Medioevo, è dato – oltre che dall’applicazione della salus animarum come supremo obiettivo della riforma decretata a Trento – dall’ingresso della razionalità, di una moderna arte di governo. Il vescovo, sostiene Paleotti, oltre che uomo di spirito preoccupato soprattutto della cura delle anime, deve essere massimamente esperto nell’arte di reggere gli uomini e saper organizzare risorse umane e finanziarie in vista degli obiettivi di governo (Paleotti fa anche il parallelo con la tecnica che deve possedere il commerciante moderno). La curia episcopale è riformata nei suoi uffici con la formazione di apposite commissioni per ogni settore pastorale; la diocesi è di nuovo suddivisa, mutando l’antico sistema delle pievi in circoscrizioni rette da vicari foranei di nomina vescovile, con riunioni mensili del clero in ogni vicariato per la discussione dei casi di coscienza e il controllo della vita liturgica e morale di ogni parrocchia; i sinodi diocesani sono convocati annualmente secondo la prescrizione tridentina (che invece cade ben presto in desuetudine in gran parte delle diocesi della cattolicità) non soltanto per l’emanazione di editti o leggi ma anche per un confronto collettivo e per l’elezione di giudici sinodali responsabili della disciplina del clero; sono riformati (con l’erezione del seminario, ma non solo) il sistema di formazione del clero e la stessa struttura degli esami per la promozione agli ordini sacri e dei concorsi per assegnazione dei benefici parrocchiali; l’antico sistema delle confraternite laicali è solidamente inserito nelle compagini parrocchiali con la diffusione delle compagnie del Santissimo sacramento e con le scuole della dottrina cristiana.
Alcune caratteristiche di fondo distinguono, tuttavia, le tesi di Paleotti da quelle contenute negli Acta Ecclesiae Mediolanensis di Carlo Borromeo: anche la corrispondenza frequente tra i due contiene dibattiti molto accesi che fanno intravedere diverse linee pastorali. La peculiarità di Paleotti, derivante dalla sua formazione umanistica e dalla situazione di Bologna come città universitaria, è una minor rigidità disciplinare e grande attenzione e rispetto per il mondo intellettuale e artistico. Questa attenzione lo portò a stabilire un rapporto di grande sintonia e amicizia con alcuni esponenti della cultura bolognese, come lo storico Carlo Sigonio e il naturalista Ulisse Aldrovandi, nonché con la scuola pittorica dei Carracci: gli appunti e materiali che Paleotti raccolse fanno pensare a un vero e proprio gruppo di consulenti per l’elaborazione di una riflessione sulla natura (il primo orto botanico a Bologna nacque nell’arcivescovado), sulla storia sacra e sulle arti figurative diretta all’elaborazione di una nuova spiritualità del clero e dei laici.
L’opera più nota in cui confluiscono le preoccupazioni intellettuali di Paleotti è il Discorso intorno alle imagini sacre et profane diviso in cinque libri…, stampato a Bologna in volgare in edizione provvisoria nel 1582 dal tipografo vescovile Alessandro Benacci e poi in latino a Ingolstadt nel 1594 (De imaginibus sacris et profanis ... libri quinque, ex officina typ. Davidis Sartorii), sempre incompleto degli ultimi libri programmati (edizioni moderne: a cura di P. Barocchi, in Trattati d’arte del Cinquecento, II, Roma-Bari 1961, e rist. anast. con introduz. di P. Prodi, Sala Bolognese 1990). Il Discorso costituisce il tentativo di oltrepassare la normativa tridentina puramente diretta alla condanna degli abusi e delle tendenze profane, che si erano introdotte nella pittura sacra, per suggerire una pittura ispirata a un realismo storico-scritturistico aderente alla vita quotidiana che non sarebbe stato accettato dal barocco trionfante nella Roma di fine secolo.
Un’altra caratteristica del governo episcopale di Paleotti deriva dalla posizione particolare di Bologna all’interno dello Stato pontificio. Il rapporto con le congregazioni romane e con i rappresentanti del governo pontificio a Bologna appare difficile sin dai primi anni: Paleotti lamenta di essere un «vescovo con la mitra senza il pastorale» ( Prodi, 1967 p. 380), di essere ostacolato cioè dal potere politico e di non godere, con il suo clero, di alcuna delle autonomie e dei privilegi previsti dall’ordinamento canonico tradizionale. Denuncia – non ascoltato – gli impedimenta residentiae, le limitazione alla sua azione riformatrice che rendono la posizione dei vescovi negli Stati della Chiesa peggiore di quella dei vescovi sottoposti ai principi secolari, poiché i rappresentanti del pontefice possono usare anche le armi spirituali.
L’erezione di Bologna in archidiocesi, in sede metropolitica, con la formazione di una nuova provincia ecclesiastica indipendente da Ravenna (con bolla papale datata 10 dicembre 1582), non cambiò la situazione. I rapporti furono difficili anche con la congregazione del S. Uffizio che, durante il pontificato di Pio V, raggiunse il massimo di violenza nella persecuzione di ogni sospetto di eresia protestante: Paleotti cercò di limitare l’invadenza dell’Inquisizione, di ottenere un’apertura nei confronti delle necessità del mondo intellettuale di consultare libri scientifici e giuridici di personalità ritenute eretiche. Giocò in prima persona la sua autorità per ottenere il riconoscimento della necessità della critica storica, difendendo Carlo Sigonio dagli attacchi del S. Uffizio e dalle censure della congregazione dell’Indice dei libri proibiti. Lo stesso fratello di Paleotti, il senatore Camillo, fu accusato per la sua difesa della comunità ebraica di Bologna dai processi di espulsione e corse il rischio concreto di una condanna al carcere.
I diversi ostacoli sembrano aver avuto un grande peso, accanto alla nomina per anzianità a cardinale vescovo di Albano dal 1589 (e poi di Sabina dal 1591) nella decisione di Paleotti di trasferirsi a Roma, dove visse gli ultimi anni dopo il 1591. Per giustificare l’abbandono di Bologna, che fu affidata in amministrazione al cugino Alfonso Paleotti come coadiutore con diritto di successione, espresse la convinzione, radicata nella sua esperienza, che non fosse possibile la riforma in una singola diocesi senza un coinvolgimento e una riforma (ancora da attuare dopo decenni dalla conclusione del concilio tridentino) della Chiesa universale. Sentiva il bisogno, secondo le sue stesse parole di «affaticarsi per la salute universale de’ christiani» (Prodi, 1967, p. 443), secondo i suoi doveri di cardinale. Risultò anche tra i papabili nei conclavi che seguirono la morte di Sisto V ma era ritenuto ormai dalla corte e dalla curia un radicale non affidabile.
Particolarmente significative sono da questo punto di vista le sue due ultime opere. La prima di queste, il De sacri Consistorii consultationibus (Roma, Stamperia apostolica Vaticana, a spese dell’autore, nel 1592 e Venezia, Compagnia minima, 1594), rappresenta il più importante attacco al centralismo burocratico papale della fine del Cinquecento, nel momento storico in cui tra l’altro si discuteva l’assoluzione di Enrico di Navarra, il futuro Enrico IV di Francia, in favore della quale Paleotti si era pubblicamente pronunciato: il collegio dei cardinali è stato svuotato delle sue funzioni di Senato della Chiesa romana; nei concistori – le riunioni del collegio dei cardinali che diventano sempre più rare e formali – non si discutono e non si decidono più – come sarebbe stato giuridicamente e storicamente necessario – le problematiche più importanti della vita della Chiesa; la libertà di parola è pressoché scomparsa mentre tutto il potere è concentrato nel sistema delle congregazioni (definitivamente stabilito da Sisto V con la bolla Immensa aeterni Dei del 1588), organi totalmente dipendenti dal papa e dal cardinal nipote, e dalla segreteria di Stato allora in gestazione.
L’ultima opera pubblicata poco prima della sua morte, il De bono senectutis (Roma, L. Zanetti, 1595) rappresenta in qualche modo un ritorno ai grandi temi della sua formazione umanistica: non un ripiegamento nostalgico dopo le delusioni e la coscienza del fallimento della riforma della società cristiana, ma l’esaltazione dell’uomo e della vecchiaia come possibilità massima di espressione della ragione e della libertà: si sente non solo il richiamo evidente al testo ciceroniano ma un ben più esplicito riferimento al neo-stoicismo, a quel Giusto Lipsio che Paleotti avrebbe voluto come professore a Bologna. Il modello è Filippo Neri (il cui ritratto è inciso all’inizio del volume), morto in quei giorni ma non ancora canonizzato, il quale è presentato non come santo da venerare ma come uomo-cristiano da prendere a modello, integrato nella Chiesa ma libero e capace di concludere con gioia e libertà una vita ispirata agli ideali evangelici.
Morì a Roma il 22 luglio 1597.
Fonti e Bibl.: La documentazione sulla famiglia, la vita e le opere in Bologna, Archivio Cavazza Isolani, Fondo Paleotti, su cui v. Elenco di consistenza, a cura di di E. Angiolini - V. Raffaelli, Bologna 2007 (ms). La documentazione relativa al governo pastorale della diocesi è presso l’Archivio arcivescovile di Bologna. Altri documenti sono presso l’Archivio segreto Vaticano e la Biblioteca apostolica Vaticana; P. Prodi, Il cardinale G. P. (1522-1597), Roma 1959 e 1967; Id., Lineamenti dell’organizazione diocesana in Bologna durante l’episopato del card. G. P., in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova 1960, pp. 323-394; Id., Ricerche sulla teorica delle arti figurative nella riforma cattolica, in Archivio italiano per la storia della pietà, IV (1965), pp. 121-212 (rist. in volume con nuova postfazione, Bologna 1984); Id., Il matrimonio tridentino e il problema dei figli illegittimi, in Per Giuseppe Šebesta. Scritti e nota bio-bibliografica per il settantesimo compleanno, Trento 1989, pp. 405-414; J.W. O’Malley, Trento e dintorni: per una nuova definizione del cattolicesimo nell’età moderna, Roma 2004, ad ind.; P. Prodi. Vecchi appunti e nuove riflessioni su Carlo Sigonio, in Nunc alia tempora, alii mores. Storici e storia in età postridentina, a cura di M. Firpo, Firenze 2005, pp. 291-310; I. Bianchi, La politica delle immagini nell’età della Controriforma. G. P. teorico e committente, Bologna 2008; G. Dall’Olio, s.v., in Dizionario storico dell’Inquisizione, III, Pisa 2010, p.1161; U. Mazzone, Governare lo stato e curare le anime, La Chiesa a Bologna dal Quattrocento alla Rivoluzione francese, Padova 2012, ad ind.; P. Prodi, Introduction a G. Paleotti, Discourse on sacred and profane images, trad. di W. McCuaig, Los Angeles 2012, pp.1-42.