PEPE, Gabriele
PEPE, Gabriele. – Nacque a Civitacampomarano, nel Molise, il 7 dicembre 1779, da Carlo Marcello e da Angela Maria Cuoco, terzogenito di sei figli (con Raffaele, Maria Teresa, Maria Giuseppa, Francesco, Carlo). A Civitacampomarano, centro di borghesia agraria e di vivace vita culturale, ebbe la sua prima istruzione, oltre che dal padre, dallo zio Francesco Maria Pepe e da don Attanasio Tozzi, allievi entrambi di Antonio Genovesi. La madre morì nell’ottobre 1794, il padre fu arrestato nel 1795 per aver partecipato ai circoli patriottici molisani. Nel 1796 ebbe quella che sarebbe rimasta, a suo dire, la «prima passione e l’unica» della sua vita (Galimatias, c. 2r, in Dal Molise alla Catalogna, I, 2009, p. 250) per Luisa De Marinis, ostacolata dai genitori di lei i quali non vollero avere rapporti con una famiglia di rivoluzionari.
Scelta la carriera delle armi, nel 1798 divenne alfiere nel reggimento Abruzzo II. Alla fine dello stesso anno partecipò alla campagna borbonica contro la Repubblica romana, ma poi si arruolò al servizio della Repubblica napoletana (gennaio-giugno 1799). Il padre fu condannato all’esilio il 17 gennaio 1800 dalla giunta di Stato per essere stato amministratore del dipartimento del Sangro durante la Repubblica, e morì di peste durante il viaggio verso Marsiglia, dove fu sepolto.
Dopo quasi otto mesi di carcere, e condannato all’esilio il 28 febbraio per essere stato iscritto alla Sala patriottica, Pepe sbarcò a Marsiglia il 18 marzo. Arruolatosi nella legione Italica, il 10 maggio passò il Gran San Bernardo e raggiunse Milano, che era stata rioccupata dai francesi dopo la battaglia di Marengo (14 giugno 1800). Vi rimase due anni, in contatto con altri esuli, fra i quali il cugino Vincenzo Cuoco. Tornato a Civita nel dicembre 1802, dal 1803 al 1806 visse a Napoli, dedicandosi a studi pressoché enciclopedici. Frequentò le lezioni di medicina di Nicola Andria e fu in contatto con Giuseppe Maria Galanti, che esercitò una grande influenza sulla sua formazione.
Nacque così il suo primo lavoro, il più ampio e sistematico pubblicato in vita: il Ragguaglio istorico-fisico del tremuoto accaduto nel regno di Napoli la sera de’ 26 luglio 1805 (Napoli 1806), scritto subito dopo il tragico evento che colpì il Molise e parte della Campania provocando migliaia di morti. In quest’opera, imbevuta di letture illuministiche e di suggestioni vichiane, nel solco della tradizione di studi sollecitati dal terremoto calabro-siculo del 1783, Pepe riuscì a congiungere alle riflessioni scientifiche e storico-filosofiche sulla natura, sulle cause e sulle conseguenze materiali e morali dei disastri, e alle considerazioni sulla storia, l’economia e la società del territorio colpito, il racconto concreto degli eventi e l’indagine statistica sugli effetti del sisma nei diversi paesi del Molise.
I suoi progetti scientifici furono interrotti dalla ripresa delle armi, al ritorno dei francesi a Napoli, nel febbraio del 1806. Arruolato nel nuovo esercito formato dopo l’arrivo di Giuseppe Bonaparte, come primo tenente e poi capitano, nel giugno 1806 partecipò alla spedizione del generale Auguste Julien de Bigarré contro il brigantaggio in Molise. Nel luglio 1807 fu inviato con il suo reggimento in Spagna, in Catalogna, dove fece l’esperienza di una guerra particolarmente dura e feroce, combattuta non solo da eserciti regolari, ma anche da bande. Prese a redigere un giornale che tenne per più di due anni, fino all’ottobre 1809, intitolato Galimatias di viaggi avventure osservazioni e varietà che avrò occasione di fare durante il tempo che sarò fuori della mia Patria, incominciato a Bergamo l’anno 1807.
Il Galimatias – un guazzabuglio – è una testimonianza preziosa, oltre che sugli eventi militari, sulla sua vita di quegli anni, le sue letture, i suoi progetti di opere che spaziavano dalla matematica alla storia naturale, dalla geologia alla vulcanologia, per le quali andò raccogliendo numerose osservazioni dovunque si trovasse e delle quali sono rimaste numerose tracce manoscritte. Pepe trovò modo di annotarvi le sue curiosità per i luoghi attraversati, descritti a volte minuziosamente, esprimendo considerazioni di stampo eminentemente riformatore sul peso della Chiesa e del clero nella società spagnola, sui caratteri dell’economia e dell’agricoltura.
Partecipò alle battaglie della guerra di Spagna e l’8 luglio 1809 fu ferito a Girona. Al campo di Girona esplose il suo «estro poetico» che, come scrisse al fratello Raffaele il 12 marzo 1809, gli valse l’appellativo di «Poeta del Reggimento» (Epistolario, a cura di P.A. De Lisio, I, 1980, p. 23). Tornato a Napoli nei primi mesi del 1811, riprese i suoi studi di autodidatta, acquistando numerosi libri per la biblioteca di famiglia a Civita. Nell’aprile 1813 fu promosso alfiere capobattaglione, in maggio fu destinato come aiutante di campo del generale Francesco Pignatelli di Strongoli. Inviato in spedizione in Romagna, scrisse, fino a gennaio 1814, un secondo Galimatias de’ miei viaggi e delle mie campagne incominciato a Roma nel decembre dell’anno 1813. Tra gennaio e febbraio del 1814 fu in Germania al seguito di Francesco Pignatelli. Partecipò alla campagna di Gioacchino Murat, fin dopo il proclama di Rimini del 30 marzo 1815. Ferito nelle Marche il 15 aprile, tornò a Civita per la convalescenza e poi di nuovo a Napoli nel luglio 1815, promosso al grado di colonnello. Alla fine del secondo Galimatias scrisse la Canzone all’Italia, nella quale assegna a Murat il compito di unificare la penisola. Giudicò invece Napoleone Bonaparte, al quale fino alla guerra di Spagna aveva guardato con ammirazione, come dispotico e conquistatore. Alla vita militare, che lo portò tra il 1816 e il 1819 in Calabria e in Puglia, continuò ad affiancare lo studio, la scrittura, la poesia, diventando socio di varie accademie.
Nel 1817 stese un Memoriale di storia patria e una Proposta alla Regia Società Economica del Molise intorno ai migliori metodi da adottarsi per la coltura dei terreni. Nel 1819 pubblicò a Napoli l’ode A sua eccellenza la signora Laura Gaetana di Sangro dei principi di Sansevero in occasione delle sue nozze col signor duca della Salandra e l’ode Per la ristabilita salute di Sua Maestà Ferdinando I, in cui sottolineò l’importanza del consenso popolare per la legittimità del potere monarchico.
La rivoluzione del 1820 lo colse in Sicilia, al comando del 6° reggimento leggero. A Siracusa pubblicò l’ode I voti e il vaticinio, per celebrare la concessione della Costituzione del 6 luglio. Il periodo rivoluzionario e napoleonico, gli studi, le guerre alle quali aveva partecipato lo portarono a nutrire aspirazioni costituzionali e liberali, alle quali ispirò la sua vita e i suoi scritti. Eletto deputato del Molise nel Parlamento napoletano, rientrò a Napoli ai primi di ottobre del 1820. Numerosi furono i suoi interventi, intorno ad alcune idee forza: difesa delle autonomie provinciali (con particolare riferimento al Molise), ma anche dell’unitarietà delle Sicilie. Nella seduta del 14 ottobre condannò duramente il separatismo della Convenzione di Palermo del 5 ottobre firmata da Florestano Pepe, come lesiva della Costituzione e dell’unità della nazione. Il suo energico discorso spinse il Parlamento a dichiararne la nullità. Nel dicembre 1820 intervenne di nuovo a difesa della Costituzione e contro il viaggio a Lubiana di Ferdinando I, che chiedeva l’intervento austriaco. Il 14 febbraio 1821 fece appello alle armi in difesa della Costituzione.
Avvenuta la restaurazione, il 9 giugno fu arrestato, tenuto prigioniero nel carcere della Vicaria e di lì a poco condannato all’esilio in Moravia, a Brünn, dove giunse il 25 settembre 1821, insieme a Pietro Colletta. Dopo quasi un anno e mezzo poté tornare in Italia, ma non a Napoli. Dal 23 marzo 1823 si stabilì a Firenze, dove rimase più di tredici anni, e iniziò una densa collaborazione – durata fino al 1832 – con il circolo di Giovan Pietro Vieusseux e con il suo giornale, l’Antologia, mantenendosi con gli scarsi proventi dei suoi articoli, con traduzioni e con lezioni private, per le quali scrisse una serie di appunti di storia antica e moderna, di storia della letteratura e di «filosofia istorica», lasciati però inediti.
Negli scritti sull’Antologia continuò a far riferimento ai riformatori meridionali, in particolare a Vincenzo Cuoco, che esaltò per aver diffuso nel suo esilio milanese l’opera di Vico (Necrologia, 1824), e a Giuseppe Maria Galanti, che celebrò come «inventore della statistica» (Galanti, «Napoli e contorni», 1830). Contrappose il moderato e assennato riformismo meridionale all’estremismo volterriano dell’illuminismo francese. Al tempo stesso polemizzò aspramente con il neoguelfismo dell’amico Carlo Troya, difensore del ruolo del papato nella storia d’Italia.
Il 19 febbraio del 1826 batté in duello Alphonse de Lamartine (segretario della legazione a Firenze), che aveva definito l’Italia «una terra dei morti». A questa accusa replicò veementemente, malgrado la censura, nel Cenno sulla vera intelligenza del verso di Dante «Poscia più che il dolor poté il digiuno», pubblicato a Firenze presso Giuseppe Molini nel 1826. Il duello fece scalpore in Italia, procurando a Pepe una fama e un’attenzione inattese. Nello stesso anno divenne membro dell’Accademia dei Georgofili e della Società toscana di geografia statistica e storia naturale.
Molto insisté nelle sue lettere di questi anni sulla necessità di far conoscere l’opera di Vico, progettando, in particolare, di tradurre il De universo iuris principio et fine uno. A Troya suggeriva appunto di leggere Vico per comprendere bene la storia della Chiesa medievale. Con Troya polemizzò anche a proposito della sua interpretazione del veltro, che Pepe riteneva evocasse non una persona del tempo di Dante, ma la figura di un futuro salvatore dell’Italia.
Sempre nell’esilio fiorentino, tra il 1827 e il 1830, scrisse le Considerazioni sulla rivoluzione napoletana del 1820 (rimaste inedite fino al 1978). In polemica con Guglielmo Pepe, che aveva attribuito la rivoluzione del luglio 1820 soprattutto al ruolo esercitato dalla carboneria, Gabriele Pepe ne collocò le origini in processi politici, sociali, economici e culturali di più lunga durata, dalla Repubblica del 1799 alle riforme del decennio francese.
Particolarmente denso e coerente il Corso di istoria moderna scritto e dettato da Gabriele Pepe nel suo esilio in Firenze (pubblicato poi a Napoli presso Gaetano Sautto nel 1861), che raccoglieva lezioni tenute fra il 1832 e il 1836 sulla storia moderna, a partire dal cristianesimo, considerato come momento originario del mondo moderno, agli inizi del XIX secolo. In queste lezioni manifestava la perdita di fiducia nell’istituto monarchico, vista la lunga serie di promesse non mantenute e di impegni traditi dai sovrani.
Dopo alcune tensioni, dovute a interventi censori subiti, oltre che all’esiguità dei proventi dei suoi articoli, nel 1834 ruppe i rapporti con Vieusseux. Tornato a Napoli il 25 agosto 1836, arrestato e poi rilasciato, visse gli anni seguenti tra Napoli e Civitacampomarano, sempre sorvegliato dalla polizia, pubblicando saggi e recensioni ne Il Progresso delle scienze delle lettere e delle arti di Napoli. Solo nel 1839 riuscì a riottenere il terzo del suo soldo militare, e continuò intanto a dare lezioni private e a studiare.
Nel 1848, dopo la promulgazione della Costituzione dell’11 febbraio, fu nominato ispettore della Guardia nazionale negli Abruzzi, ma rifiutò l’incarico. Accettò invece quello di capo di stato maggiore della Guardia nazionale presso il generale Francesco Pignatelli, ricevuto con decreto del 3 marzo. Tornò dunque a Napoli, e in aprile divenne di nuovo deputato. Cercò invano di sedare l’insurrezione del 15 maggio, che fu duramente repressa, e anch’egli fu arrestato per due giorni. Partecipò attivamente alle sedute del Parlamento, riprese nel mese di luglio. Il 14 febbraio 1849 intervenne di nuovo in difesa delle autonomie locali, per una più diffusa partecipazione dal basso. In marzo, sciolta la Camera, tornò a Civita, dove morì il 26 luglio, mentre arrivava l’ordine di arrestarlo per i fatti del 15 maggio.
Opere. La maggior parte delle opere e delle lettere di Pepe (dal 1807 al 1849) si trova nella Biblioteca provinciale Pasquale Albino di Campobasso, Mss., Pepe, dove sono conservati i manoscritti donati dal nipote biografo, Marcello, nel settembre 1892, e le Carte Pepe, cedute dagli eredi nel 1976. Sue lettere sono inoltre nell’Archivio Trotta di Toro, nella Biblioteca nazionale di Firenze e in quella di Napoli, presso la Società napoletana di storia patria e in archivi vari: per queste e altre collocazioni vedi la Nota al testo, in G. Pepe, Epistolario, I, (1807-1829), a cura di P.A. De Lisio, Napoli 1980, pp. CVII-CX. Contributi editi (per es., nell’Antologia) e inediti sono in G. Pepe, Scritti letterari, a cura di P.A. De Lisio, Napoli 1976. G. Pepe, Considerazioni istoriche e politiche sulla rivoluzione napoletana, I-II, a cura di R. Lalli, Isernia 1978-1980. I suoi discorsi parlamentari sono in Atti del Parlamento delle Due Sicilie 1820-1821, I, Bologna 1926, passim. Il discorso del 14 ottobre 1820 è anche in C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, III, Napoli 1906, pp. 209-215. I due Galimatias sono stati editi in Dal Molise alla Catalogna. G.P. e le sue esperienze nella ‘Guerra del Francès’. Testi inediti e lettere, I-II, a cura di V. Scotti Douglas, Campobasso 2009 (anche in traduzione spagnola De Molise a Cataluña. G.P. y sus experiencias en la ‘Guerra del Francès’. Textos inéditos y cartas).
Fonti e Bibl.: Parigi, Archives du Ministère des Affaires étrangères, Mémoires et documents, Italie, 13, n. 56-57: État des Patriotes Napolitains debarqués à Marseille le 28 ventôse an huitième, cc. 90-91; Napoli, Società napoletana di storia patria, Fondo Ruggiero, XXVI.A.8: Nota de’ Patrioti Napoletani gionti in Marseglia il dì 28 ventoso anno 8, cc. 199-202; Campobasso, Biblioteca provinciale Pasquale Albino, cart. 1879, bb. 1, 2: G. Jannone, G.P: studio storico (manoscritto inedito).
M. Pepe, Elementi biografici relativi al generale G.P. raccolti dal nipote, Campobasso 1897; A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799 nelle Due Sicilie. Nuovi documenti, Palermo 1901; G. Olivieri, Notizie su la vita di G.P., con la giunta di alcune lettere inedite, Campobasso 1904; G. Jannone, G.P. nei suoi diari militari inediti, Campobasso 1916; A. De Rubertis, Per la raccolta degli scritti di G.P., in Rassegna storica del Risorgimento, XXIV (1937), pp. 1441-1452; N. Cortese, La condanna e l’esilio di Pietro Colletta, Roma 1938; Id., Le note di G.P. alla “Storia” del Colletta, in Rassegna storica del Risorgimento, XXVI (1939), pp. 675-682; M. Romano, Un grande del Risorgimento: G.P., Modena 1940; N. Cortese, La prima rivoluzione separatista siciliana 1820-1821, Napoli 1951, pp. 188-190; P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, introduzione e note di N. Cortese, I-III, Napoli 1951-1953, 1969; P. Giannantonio, Gli studi danteschi editi ed inediti di G.P., in Annali della facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Napoli, 1970-1971, vol. 13, pp. 142-170; G.A. Arena, G.P. tra politica e storia. Con scritti e lettere inediti, Napoli 1977, rist. anast. 1987; P.A. De Lisio, G.P., in P.A. De Lisio - S. Martelli, Lingua e cultura nell’Ottocento meridionale. Un’area regionale: il Molise, Salerno 1978, pp. 13-74; Id., Nota biografica e Introduzione, in G. Pepe, Epistolario, I, cit., pp. V-XIII, XV-XCVII; S. Martelli, G.P. e la cultura del Settecento meridionale, in Letteratura fra centro e periferia. Studi in memoria di Pasquale Alberto De Lisio, a cura di G. Paparelli - S. Martelli, Napoli 1987, pp. 713-749, poi in Id., La floridezza di un reame. Circolazione e persistenza della cultura illuministica meridionale, Salerno 1996, pp. 197-237; V. Scotti Douglas, G.P. ‘rivoluzionario’ moderato e coerente, in Dal Molise alla Catalogna, cit., I, pp. 75-120; A.M. Rao, D’un Royaume à l’autre: le voyage en Catalogne du capitaine napolitain G.P. (1807-1808), in La République en voyage 1770-1830, a cura di G. Bertrand - P. Serna, Rennes 2013, pp. 351-360.