TADINO, Gabriele
– Nacque a Martinengo (Bergamo), probabilmente nel 1478, da Clemente di Michele (medico, quest’ultimo, di Bartolomeo Colleoni); dalle fonti non si ricavano notizie sull’identità della madre.
Ben poco si sa della sua giovinezza, se non che aveva un fisico robusto e che mostrò inclinazione per le scienze esatte e le macchine da guerra. Pertanto, attorno al 1490, il padre lo inviò a Bergamo, a osservare i lavori della fortificazione di quel castello, onde apprendere dal vivo le tecniche dell’architettura militare. Venne la Lega di Cambrai e Tadino decise di arruolarsi sotto le insegne veneziane; con il grado di capitano e lo stipendio di ingegnere, nel settembre del 1509 partecipò alla difesa di Padova contro gli imperiali, sperimentando di fatto l’efficienza dei baluardi che ne rafforzavano le mura. Da allora seguì le complesse vicende che per anni interessarono le truppe veneziane; nel febbraio del 1512 si trovava a Brescia, che fu presa dai francesi di Gastone di Foix; ferito e fatto prigioniero, solo nel marzo del 1513 fu liberato, in seguito a un ribaltamento di fronte che vide la Repubblica allearsi ai francesi, e tre mesi dopo si trovava a Crema, con l’incarico di rafforzarne le difese.
Qui, al limite del fronte occidentale del lungo conflitto, rimase per più di un anno, partecipando peraltro a qualche estemporanea iniziativa, come il fortunato colpo di mano che il 4 luglio 1513 lo vide protagonista dell’assalto alla casa del governatore spagnolo di Bergamo, che gli fruttò 6000 ducati a titolo di riscatto. Il 15 maggio 1514 era ancora a Crema, dove fu ferito combattendo contro le truppe sforzesche; la guerra contro gli imperiali e i loro alleati continuò con alterne vicende alle quali Tadino prese parte, una volta ristabilitosi, distinguendosi per coraggio e capacità.
Nell’ottobre del 1516 era con il provveditore Andrea Gritti all’assedio di Verona, dove poté far valere le sue competenze nel settore dell’artiglieria. Alla fine del conflitto risultava avere ai suoi ordini 151 soldati, dopo di che, cessate le ostilità, nel 1518 andò a vivere in una sua casa a Brescia. Qui, nel mese di maggio, incorse in una brutta avventura, avendo preso parte al rapimento di una fanciulla nobile; incarcerato, venne liberato il 23 giugno, ma gli venne comminato il bando per tre anni. Tadino non fu quindi solo un coraggioso uomo d’armi, ma anche uomo impulsivo, talvolta temerario e incline alla collera, tutte caratteristiche facilmente ricomponibili in un militare.
Riparato a Ferrara, fu graziato e all’inizio del 1520 poté rientrare al servizio della Serenissima, che nel maggio lo destinò a comandare le truppe stanziate a Cipro, destinazione presto cambiata con quella di Candia.
Di lì a poco, l’ascesa al trono di Costantinopoli di un sultano giovane, energico e ambizioso come Solimano (settembre del 1520) pose in allarme il Senato, che promosse Tadino soprintendente generale delle fortificazioni e delle artiglierie presenti nell’isola, con il grado di colonnello e lo stipendio di 1200 ducati annui. Fu un provvedimento tempestivo, poiché l’iniziativa di Solimano non si fece attendere: nel 1522 i turchi assalirono Rodi e il 20 agosto giunse a Venezia un ambasciatore dei cavalieri, come riferisce Marino Sanudo: «era venuto de lì a rechieder da parte dil Gran Maestro domino Gabriel da Martinengo governator nostro sopra ditta ixola di Candia, qual venendo sarà la salvation di quella terra» (I diari, a cura della Reale Deputazione veneta di storia patria, XXXIII, 1887-1902, col. 417). Tadino godeva ormai di un prestigio internazionale, ma il Senato oppose un rifiuto con la scusa che i turchi avrebbero potuto volgersi a Creta, per cui la sua presenza era necessaria nell’isola. Allora avvenne l’imprevisto: Tadino lasciò Candia di sua iniziativa e si portò a Rodi, forse spinto da zelo religioso, amore del bel gesto, sete di gloria e di guadagno o spirito di avventura; né si può pensare che il Senato desiderasse aiutare i cavalieri senza scoprirsi con Solimano, perché Tadino non fu mai perdonato dalla Repubblica, benché due suoi fratelli, Fabrizio e Girolamo, avessero continuato a militare sotto le insegne della Serenissima.
A Rodi, il 1° agosto 1522 il gran maestro lo creò cavaliere, affidandogli l’organizzazione delle strutture difensive dell’isola; qualche settimana dopo (27 agosto) tale Bonaldi scriveva a un concittadino veneziano: «Intendemo il Martinengo esser bandito et messo rebello. Certo non merita reprensione, che essendo a defension di questa terra, el difende el Stado di la illustrissima Signoria [...]. Qui l’è Zeneral con croze con expetativa di priorado o baylado primo vacherà in Italia [...]. Molto se afaticha et era necessario a questa terra. Idio el guardi» (ibid., col. 490). Il 14 ottobre Tadino venne ferito a un occhio da uno schioppo, ma continuò a operare, lodato anche – privatamente – dai veneziani, come testimonia più volte Sanudo. Tuttavia la resa fu inevitabile; Rodi cadde il 20 dicembre e quattro giorni dopo Tadino era a Candia, poi si recò a Roma, dove fu ricevuto da Adriano VI, poco prima che questi morisse.
Abbandonata Rodi, i cavalieri iniziarono una lunga trattativa con Carlo V per ottenere una nuova sede a Malta; l’8 ottobre 1523 Tadino partì da Roma con una loro delegazione e giunse a Pamplona, dove si trovava l’imperatore, il 4 dicembre. Da questo momento Tadino entrò al suo servizio; nel luglio del 1524, pertanto, prese parte all’invasione della Provenza, fermatasi sotto le mura di Marsiglia, quindi tornò in Spagna per studiare nuovi modelli di armi; riuscì inoltre a produrre una polvere da sparo di miglior resa. Trascorse così anche tutto il 1525; mentre Antonio de Leyva e Ferdinando Francesco d’Avalos marchese di Pescara trionfavano a Pavia, Tadino pose mano alla riorganizzazione e dislocazione delle fortezze presenti in Spagna e a Melilla, nella costa africana, dove si recò nel corso della primavera. Trascorse la seconda metà dell’anno e la prima del susseguente 1526 a migliorare le strutture difensive a ridosso dei Pirenei, a San Sebastián, Fuenterrabia, Pamplona e Perpignano. Il 22 maggio 1526 la Lega di Cognac vedeva riaccendersi il conflitto in Italia, dove Francesco I e Venezia miravano a ridimensionare il predominio spagnolo; la portata dell’evento fu probabilmente sottovaluta da Tadino, che si recò a Barletta per prendere possesso del priorato di cui era stato insignito. Richiamato da Carlo V a fine agosto, il 15 settembre si trovava a Genova, minacciata dalla flotta veneziana; nel corso del conflitto morirono entrambi i suoi fratelli, che combattevano con la Serenissima. Poi, mentre avveniva il sacco di Roma, nel più marginale fronte ligure Tadino operò fra Portofino, Savona e Genova; qui, quando i francesi di Odet de Foix, visconte di Lautrec, presero la città, si rifugiò nella Lanterna donde tentò di fuggire in barca. Catturato da Cesare Fregoso, il 2 settembre 1527 venne condotto nel castello di Cremona; trasferito a Brescia l’8 maggio 1528, venne finalmente liberato il 30 ottobre, nonostante l’opposizione del Consiglio dei dieci, che non aveva scordato la disobbedienza commessa cinque anni prima. Su ordine di Carlo V si recò a Napoli, ma la morte di Lautrec segnò praticamente la fine delle operazioni miltari, per cui Tadino ritornò in Spagna.
Il 12 febbraio 1529 era a Toledo e il 12 agosto a Genova; otto giorni dopo Sanudo riportava una lettera da Genova, secondo la quale l’ingegnere «è in summa gratia de l’imperator et è capitanio principal de tutta l’artiglieria et ogni giorno sta in palazo da Sua Maestà et se diceva che ’l doveva partirse fra 5 o 6 dì, né mai si ha potuto intender a che volta [...] sia per aviarse» (ibid., LI, col. 401). Certo non fu a Bologna per l’incoronazione dell’imperatore, ma tornò in Spagna a occuparsi di quelle fortezze; qui tacciono le fonti per gli ultimi mesi del 1529 e tutto il 1530, per cui è solo ipotizzabile una sua presenza a Vienna, minacciata dai turchi nell’autunno del 1529.
Tadino era in Italia con le truppe di Alfonso d’Avalos marchese del Vasto allorché (15 giugno 1531) ricevette l’ordine di Carlo V di raggiungerlo a Ratisbona; da qui avrebbe dovuto portarsi a Vienna, ma il ripiegamento dei turchi gli consentì di far rientro in Italia con i reparti spagnoli.
Il 7 novembre era a Mantova, un mese dopo a Mirandola; il 26 giugno 1532 era nuovamente con l’imperatore a Ratisbona, poi a Norimberga e nell’autunno in Italia; dopo aver attraversato il Friuli, il 20 novembre giunse a Verona. Nel marzo del 1533 era a Milano, e da qui condusse le artiglierie a Genova; la loro destinazione era la Spagna, ma Tadino non seguì Carlo V – come pure avrebbe voluto – e rimase in Italia; qualche settimana dopo, l’8 aprile, l’imperatore lo congedò dal servizio, accordandogli una cospicua pensione. Tadino era certamente stanco, provato da tanti disagi e ferite, ma non era vecchio e avrebbe continuato volentieri a operare; invece dovette ritirarsi a Martinengo, dov’era nato, accontentandosi di amministrare i suoi beni e di badare all’amato nipote Camillo, figlio del suo defunto fratello Girolamo.
Non è provato un suo viaggio a Barcellona nel 1534, dove si sarebbe recato su invito di Carlo V per organizzare l’artiglieria in vista dell’impresa di Tunisi, e solo dopo qualche anno le fonti ripresero ad occuparsi di lui. Nel 1537, infatti, venne chiamato a Venezia, non già dal governo, ma da alcuni senatori, privatamente, per consigli sulle fortificazioni del Levante minacciate da Solimano, con cui la Repubblica era in guerra. E a Venezia avrebbe trascorso i suoi ultimi anni, confortato dall’amicizia di Nicolò Tartaglia, che lo volle tra gli interlocutori del suo Euclide Megarense, pubblicato poco prima della sua morte, avvenuta il 4 giugno 1543.
Nel testamento, steso qualche giorno prima, nominò erede il fratello Gian Francesco; fu sepolto nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, ma l’arca venne successivamente demolita.
Fonti e Bibl.: Fondamentale la biografia realizzata da un suo discendente: G. Tadini, Vita di G. T. da Martinengo priore di Barletta, Bergamo 1973; si vedano inoltre Archivio di Stato di Venezia, Notarile testamenti, b. 194/466, e l’ampia documentazione presente in M. Sanudo, I diari, a cura della Reale Deputazione veneta di storia patria, XVIII, XX, XXII-XXIII, XXX-XXXI, XXXIII-XXXIV, XXXVI, XXXVIII-XL, XLII-XLIX, LI, LV-LVI, LVII, Venezia 1887-1902, ad indices.
G.B. Gallizioli, Memorie per servire alla storia della vita di G. T. priore di Barletta, Bergamo 1783; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, III, Bergamo 1959, pp. 227, 540, 562; N. Tartaglia, Quesiti et inventioni diverse, a cura di A. Masotti, Brescia 1959, p. 69.