VALVASSORI, Gabriele
Nacque a Roma il 21 agosto 1683, quinto di nove figli, da Benedetto, falegname bergamasco, e da Adriana Francesca Bendatti (Rava, 1934, p. 389). La sua formazione di architetto presso l’Accademia di S. Luca è testimoniata da tre progetti – 1702, terzo premio della seconda classe, 1703, terzo premio della prima classe, e 1704, terzo premio della prima classe ripetuta – improntati a uno stringato ma gracile cinquecentismo. Le sue prime opere furono realizzate in Umbria (Gualdi Sabatini, 1982): la chiesa di S. Giuseppe alle Fornaci (1715-18), poco fuori Foligno, il cui interno ad aula è scandito da una compiuta ordinanza dorica; e il completamento dei Bagni di Nocera Umbra (1717-29, anche se la posa della prima pietra risale al 1713). Promosso dal prefetto della Congregazione del Buon Governo Giuseppe Renato Imperiali, il rinnovamento dei Bagni comprendeva, oltre a una chiesa non più esistente, il riassetto del Palazzo vecchio, del primo Seicento, dove le camere traversate da un corridoio divengono stanze private, e il Palazzo nuovo, con tre unità residenziali poste in linea e servite da propri bagni termali: si passò in tal modo da un impianto di concezione ancora assistenziale e caritatevole a una moderna struttura ricettiva per ceti più abbienti.
Dal 1717 risulta allievo di Carlo Francesco Bizzacheri (1656-1721), che dovette esercitare il ruolo di emanciparlo gradualmente dalla lezione accademica di Carlo Fontana verso più libere suggestioni tardobarocche. Valvassori ereditò anche i principali committenti del maestro come i Pamphilj, nella persona del principe Camillo junior. In quest’ambito realizzò una fontana (1723-29) per la villa Belvedere a Frascati, allora di proprietà Pamphilj (la recinzione del parco, spesso a lui riferita, è opera di Bizzaccheri), e vari lavori per la grande villa gianicolense di Bel Respiro (Benocci, 1992): in particolare le recinzioni e i portali della Cedreria e il portale del viale di raccordo all’annessa Vigna Bolis (1732) riecheggiano motivi cortoniani nelle decorazioni e nell’accostamento tra pilastri e colonne dall’innovativo effetto di dilatazione spaziale. L’altare maggiore nella chiesa dei Pamphilj, S. Agnese in Agone, spesso riferito a Valvassori, è invece opera documentata di Domenico Calcagni (Eimer, 1971, p. 572).
Ma l’occasione di lavoro più importante riguardò il completamento, tra il 1731 e il 1734, del frammentario palazzo di famiglia a Roma (Carandente, 1975, pp. 189-242). Il cortile del primo Cinquecento, confinante per un lato su via del Corso, venne riattato nel piano nobile, chiudendo il loggiato e ricavando quattro gallerie vivamente illuminate da slanciate finestre doppie che si innestano nella volta lunettata. Tali finestre, con un’incorniciatura prospettica di derivazione berniniana, improntano anche i lati esterni del cortile alla nuova spazialità barocca.
La collaborazione con il pittore Aureliano Milani e con maestranze di falegnami esperte nella decorazione rocaille rende le gallerie, soprattutto quella degli Specchi sul Corso, gli interni romani che più direttamente si possono confrontare, pur con forte autonomia propositiva, con quelli delle residenze francesi. Il palazzo, che prima aveva l’ingresso principale su piazza del Collegio Romano, ora si presenta con la nuova facciata sul Corso segnata da tre ingressi: due alle testate del cortile e un terzo che conclude il prolungamento del prospetto presso vicolo Doria. In questo impaginato che sussume e unifica varie strutture retrostanti Valvassori riversò un patrimonio di idee di sorprendente ricchezza (Portoghesi, 1967, pp. 353 s.). Tra queste, il livello terreno dalla superficie rigata che si estende oltre i limiti del palazzo, come uno stilobate, a connettersi con l’attigua S. Maria in Via Lata e, sul lato opposto, con le pertinenze del vicolo; le piatte mostre che, sempre in questo livello, pendono dalla cornice seguendo modelli cortoniani (recinzione del Teatro di palazzo Barberini); le alte finestre doppie del piano nobile, rispondenti, ma solo in parte, alla Galleria degli Specchi, che riecheggiano le consimili finestre borrominiane di Propaganda Fide; la balaustrata continua che si apre in ampi balconi centinati in rispondenza degli ingressi; l’elastico aggregarsi dei ravvicinati assi di finestre tra le pause delle bucature maggiori e delle fasce bugnate.
Negli stessi anni Valvassori iniziò il rinnovamento di S. Maria della Luce a Trastevere (dal 1730, conclusione postuma attorno al 1768; Gallavotti Cavallero, 1976; Mocerino, 2006). Nel perimetro della chiesa medievale – già S. Salvatore della Corte – venne ricavato un impianto a croce greca con volta a vela centrale al quale si aggiungono una campata d’ingresso e un transetto presso l’abside, creando un’accentazione longitudinale di forte complessità ritmica (A-b-C-b-C). Soprattutto la pulsante dilatazione degli spazi maggiori, la trasparenza delle articolazioni che includono cellule passanti e ariosi coretti e la viva illuminazione assicurata da finestre lunettate inseriscono l’organismo in un innovativo ambito di ricerca che annovera il S. Francesco Saverio di Andrea Pozzo a Trento (1708-1711) e il S. Filippo Neri di Filippo Juvarra a Torino (1715-35). L’adiacente sagrestia si segnala per la mossa copertura a lunette e unghie e l’accentazione prospettica che deforma il cornicione nel passaggio alla scarsella.
Il crescente status di Valvassori è segnalato da vari ruoli: dal 1718, e per lunghi intervalli di tempo, fu confratello della Congregazione dei Virtuosi del Pantheon, dove propose un progetto per la sistemazione della cappella di S. Giovanni di Terrasanta (1728); fu architetto dei Muti-Bussi (lavori di falegnameria per il palazzo, 1717-19) e della famiglia Colonna, come testimoniato da quattro incisioni di Filippo Vasconi raffiguranti apparati per le Feste della Chinea del 1728 e del 1729; dal 1737 divenne accademico di S. Luca.
Come molti suoi colleghi, Valvassori lavorò da perito per istituzioni e soggetti privati, come documentato presso il Tribunale Acque e Strade (Da Gaj 1991, pp. 454-456): per il Tribunale stesso (1725 e 1736), per stimare case di privati (1723 e 1745), per il barone Carlo d’Aste (1727-47), per la rovina del muro alla salita di S. Sebastianello (1728), per i Ludovisi (1735-36), per il Collegio Germanico-Ungarico (1748) e per i Trinitari Spagnoli (1749).
La brusca conclusione dei rapporti con i Pamphilj nel 1739 – gli successe Paolo Ameli – è stata associata alle critiche rivolte al palazzo nel clima di crescente orientamento classicista della cultura architettonica romana: «Architettura stravagante e poco piaciuta» commenta Francesco Valesio nel suo Diario già il primo luglio 1734 allo scoprirsi del nuovo cornicione (Valesio, 1979, p. 707). Sta di fatto che da allora troviamo Valvassori occupato in incarichi di minore visibilità, soprattutto come architetto di istituzioni religiose, anche con compiti di manutenzione ordinaria; ruolo che fino a pochi decenni fa ha costituito motivo di sorpresa, ma che oggi sappiamo essere una modalità corrente anche per professionisti di primo piano nelle ristrettezze economiche del Settecento a Roma, e che non esclude la possibilità di creare episodi qualificati.
Come architetto dei girolamini di S. Onofrio al Gianicolo (1723-42 circa; Cascasi, 2013-2014) realizzò l’altare mistilineo della cappella del beato Pietro Gambacorta; l’ala porticata sulla piazza venne unificata da un’elastica trama di fasciature e venne creata l’ariosa galleria superiore, dove le colonne preesistenti sono inserite in nicchie le cui incorniciature si raccordano ai pannelli parietali, in una discorsiva continuità lineare. Come architetto dell’Arciconfraternita dei Bergamaschi (dal 1727 alla morte; Capriotti – Frascarelli - Testa, 1989, pp. 58-70) diresse i lavori per la nuova sede, ristrutturando le proprietà già dell’ospedale dei Pazzarelli tra piazza Colonna e piazza di Pietra (1729-35). Il corpo di fabbrica, unitario ma elasticamente adattato alle strutture preesistenti e punteggiato da portali borrominiani, include case, botteghe e il Collegio Cerasoli per giovani nobili bergamaschi (Viggiani, 1998). Se la paternità di un gruppo di progetti per quest’area con sperimentazioni per una nuova chiesa a pianta ovale (Archivio di Stato di Roma, Collezione disegni e mappe, cart. 89, 611) è ancora controversa (Fasolo, 1958; Mallory, 1977, pp. 118-123), sono indubbiamente di Valvassori i lavori per la parte terminale dell’attigua chiesa cinquecentesca – fino al 1725 di proprietà dell’ospedale col nome di S. Maria della Pietà e ora dedicata ai Ss. Bartolomeo e Alessandro dei Bergamaschi – e per l’oratorio. Quest’ultimo, terminato nel 1733, presenta un’impostazione unitaria, con un impianto rettangolare che fluisce verso l’altare grazie a due raccordi concavi; l’altare è organicamente saldato all’articolazione, emergendo dalla trabeazione continua con un frontespizio che si sovrappone alla ribassata volta. Per l’Arciconfraternita di S. Maria dell’Orto, di cui fu architetto dal 1734 al 1758 (Barroero, 1975; Roca De Amicis, 2015), Valvassori realizzò la slanciata testata del vicino ospedale (1739), dove le paraste recano capitelli borrominiani risolti in incisiva indicazione grafica e, analogamente, il frontespizio ad arco siriaco, memore della cortoniana facciata di S. Maria in via Lata, viene a comprimersi sul piano parietale. Nella chiesa costruì la cappella di S. Giovanni Battista (1749-50), la cui impronta borrominiana, evidente nell’altare ripreso dai tabernacoli di S. Giovanni in Laterano, è risolta in un’originale scansione cromatica di specchiature marmoree; mentre il singolare pavimento (dal 1747, conclusione postuma 1763) traduce in una fitta trama calligrafica le tradizionali campiture pavimentali del barocco romano. Per i domenicani dei Ss. Quirico e Giulitta (Salvagni, 2006, pp. 344-351) realizzò (1750-54) un dormitorio sopra la chiesa, con innalzamento della facciata, e una sagrestia a pianta rettangolare con i lati minori arrotondati, sorvegliato spazio unitario la cui continuità è assecondata dalle flessuose modanature del cornicione che s’inarca sulle mediane dei quattro lati: parafrasi sintetica e lineare dell’interno di S. Maria dei Sette Dolori di Borromini. Accanto alla chiesa costruì inoltre, nelle proprietà dell’Ordine, uno stabile nelle stringate forme del ‘moderno’ palazzetto di case d’affitto a quattro livelli, con elegante soluzione d’angolo smussata (Vicarelli, 1995). Valvassori rivestì consimili ruoli, ma senza opere documentate, anche per il convento di S. Agostino (1723-47) e per la chiesa di S. Francesco in Campagna (1726-28 e 1731).
Per i marchesi Rondinini lavorò al palazzo di famiglia sul Corso (1745-59) ristrutturando l’ala affacciata sull’attuale via Angelo Brunetti (Mancinelli, 1998). In quest’ultima opera, proseguita da Alessandro Dori, le finestre del piano nobile, nel riecheggiare modelli michelangeloleschi, sembrano indicare un più sorvegliato orientamento neocinquecentesco.
Morì il 7 aprile 1761 e venne sepolto nella chiesa di S. Maria Immacolata dei Cappuccini; nel dettagliato inventario dei suoi beni è elencato un ampio numero di disegni, conti e scritture ora dispersi (Rava, 1934, pp. 394 s.).
A. Rava, Gabrielle Valvassori architetto romano (1683-1761), in Capitolium, X (1934), pp. 385-398; F. Fasolo, Disegni inediti di un architetto romano del Settecento, in Palladio, n.s., I, (1951), 4, pp. 186-189; P. Portoghesi, Roma barocca. Storia di una civiltà architettonica, Roma 1967, pp. 352-355; G. Eimer, La fabbrica di Sant’Agnese in Navona. 2, Stockholm 1971, p. 572; L. Barroero, Per G. V., in Bollettino d’arte, s. 5, LX (1975), pp. 235-238; G. Carandente, Il palazzo Doria Pamphilj, Milano 1975, pp. 189-242; D. Gallavotti Cavallero, Santa Maria della Luce, Roma 1976; N.A. Mallory, Roman Rococo Architecture from Clement XI to Benedict XIV, New York 1977, pp. 102-129; F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano, V, Milano 1979, p. 707; F. Gualdi Sabatini, Opere giovanili di G. V., in Storia Architettura, V (1982), pp. 39-52; A. Capriotti - D. Frascarelli - L. Testa, L’Arciconfraternita dei Bergamaschi, 450 anni di vita: aspetti storico-artistici di una sodalitas romana, Bergamo 1989, pp. 58-70; E. Da Gaj, V. G., in In Urbe Architectus: modelli, disegni, misure; la professione dell’architetto, Roma 1680-1750, a cura di B. Contardi - G. Curcio, Roma 1991, pp. 453-455; C. Benocci, G. V. architetto di giardini: gli interventi nella Villa Doria Pamphilj a Roma e nella Villa Aldobrandini a Frascati, in Architettura, città, territorio, a cura di E. Debenedetti, Roma 1992, pp. 51-82; F. Vicarelli, Casa per affitto e convento dei padri domenicani della chiesa dei Ss. Quirico e Giulitta, in Roma borghese: case e palazzetti d’affitto, II, a cura di E. Debenedetti, Roma 1995, pp. 135-148; M.V. Mancinelli, Il palazzo Rondinini da G. V. ad Alessandro Dori, in Roma, le case, la città, a cura di E. Debenedetti, Roma 1998, pp. 231-258; C. Viggiani, La nuova fabbrica della Arciconfraternita dei Bergamaschi, ivi, pp. 289-294; S. Jelmini, G. V. (1683-1761), in Borrominismi, a cura di E. Debenedetti, Roma 1999, pp. 95-98; C. Mocerino, S. Maria della Luce in Trastevere di G. V., in Palladio, XIX (2006), 37, pp. 105-118; I. Salvagni, La chiesa dei Santi Quirico e Giulitta: testimonianza sommessa di un palinsesto millenario, in La città assente. La via Alessandrina ai Fori Imperiali, a cura di B. Toscano, Roma 2006, pp. 287-355; M. Cascasi, G. V. “architetto del convento” di Sant’Onofrio al Gianicolo, in Quaderni dell’Istituto di Storia dell’Architettura, 60-62 (2013-2014), pp. 183-194; A. Roca De Amicis, Ornamento e risparmio: l’opera di Valvassori in Santa Maria dell’Orto, in Santa Maria dell’Orto, a cura di M. Funghi - W. Troiano, Roma 2015, pp. 171-182.