CARNAZZA, Gabriello
Nato a Catania il 26 apr. 1871, figlio del sen. Giuseppe Carnazza Amari, studiò legge nella università locale, coltivando gli studi romanistici in cui ebbe maestro Pietro Delogu e interessandosi particolarmente a quegli istituti del diritto romano che precorrono il moderno diritto commerciale. Subito dopo la laurea, che conseguì appena ventenne, entrò nel maggio 1891 nella direzione della rivista Antologia giuridica, fondata dal Delogu. Sul finire dello stesso anno partecipò al concorso per straordinario alla cattedra di diritto romano nella università di Cagliari, ma i titoli da lui presentati - la traduzione di un'opera del commercialista tedesco Levin Goldschmidt, due brevi saggi esegetici, una rapida ricostruzione de Il diritto commerciale dei Romani (Catania 1891) - furono giudicati di scarso valore scientifico dalla commissione esaminatrice ed egli stesso fu giudicato ineleggibile (Boll. uff. del Min. dell'Istr. Pubbl., 25 nov. 1891, pp. 861-63).
La traduzione del Goldschmidt venne stroncata da L. Franchi nella prestigiosa Rivista italiana per le scienze giuridiche (XI [1891], pp. 431-433) e il C. fu autorevolmente ammonito dal periodico diretto da T. Martello, molto influente nel mondo universitario del tempo, ad abbandonare "la velleità di saltare a pié pari dalla panca alla cattedra" (Le relazioni sui concorsi alle cattedre universitarie, in La riforma dell'insegnamento superiore, I [1891], pp. 393-95.
Dopo aver pubblicato il suo lavoro più ambizioso, Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nel diritto civile italiano (Catania 1893), il C. ottenne il 22 nov. 1893 l'abilitazione alla libera docenza per titoli in diritto romano presso l'università di Palermo e il 12 genn. 1894 fu autorizzato a trasferirla all'università di Catania.
Anche il raggiungimento di questo traguardo accademico fu accompagnato da polemiche. In un [Esposto all']illustre sig. presidente e sigg. componenti il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (Roma 1893) il C. fu costretto a difendersi dalle violente e documentate accuse di manchevole serietà scientifica, a proposito del suo studio sulle obbligazioni, che venivano formulate sotto lo pseudonimo di Vinci Guerra in un libello dal titolo Per un reato di lesa scienza! (Venezia 1893). E senza dubbio nella produzione romanistica del C. difetta la puntualità filologica e si intrecciano frettolosamente suggestioni di diversa provenienza - dalla scuola storica, dal positivismo giuridico, dalla pandettistica tedesca di fine Ottocento - che convergono sull'insistenza della natura evolutiva del diritto, all'interno, però, di una visione conservatrice dei rapporti sociali e politici nonché del costume.Comunque, ottenuta la libera docenza, il C. tralasciò il diritto romano e si occupò di diritto commerciale, senza peraltro riportare maggiori riconoscimenti accademici; dal 1896 abbandonò l'attività scientifica e si dette alla professione forense in cui conobbe brillanti successi. Si affermò in breve tra i più apprezzati avvocati commercialisti della Sicilia e curò gli affari di importanti complessi industriali regionali, nazionali e anche stranieri, soprattutto tedeschi e belgi.
L'attività politica del C. iniziò, insieme con quella del fratello Carlo, a Catania, al principio del Novecento, nel quadro spesso confusamente trasformistico delle lotte per il predominio nella città e nella provincia tra gruppi nascenti di borghesia capitalistica, partiti d'ispirazione popolare e consorterie reazionarie. Sconfitte definitivamente queste ultime nelle elezioni amministrative del 1902, grazie al decisivo intervento di Giolitti, i fratelli Carnazza cercarono un loro spazio politico muovendo all'attacco dell'egemonia di G. De Felice Giuffrida e dando così origine a un contrasto che caratterizzerà la vita politica di Catania per quasi venti anni e sarà punteggiato di episodi violenti e pittoreschi.
Nella elezione suppletiva del 15 luglio 1906, tenuta nel corso della XXII legislatura, il C. fu eletto deputato nel collegio di Catania I, prevalendo per pochi voti, dopo una durissima lotta, sul candidato defeliciano, G. Auteri Berretta, il quale aveva sconfitto il C. nella precedente elezione suppletiva del 25 giugno 1905, annullata per irregolarità.
La vittoria del C. fu dovuta al blocco delle forze moderate intorno al suo nome, all'appoggio fornitogli da Giolitti tramite il prefetto Trinchieri e, soprattutto, come fu denunciato dal De Felice Giuffrida sull'Avanti! (18 luglio 1906), al clamoroso intervento nella competizione elettorale del cardinale Francica Nava, arcivescovo di Catania. Alla Camera il C. sedette tra i radicali, svolgendo nello scorcio della legislatura un'attività parlamentare piuttosto vivace, incentrata prevalentemente su problemi catanesi e siciliani. Il De Felice Giuffrida si prese la rivincita nelle elezioni politiche del 1909, nelle quali l'Auteri Berretta riconquistò al C. il collegio di Catania I, e in quelle del 1913, nelle quali il C. risultò battuto nel collegio di Paternò da G. Milana, luogotenente dello stesso De Felice Giuffrida.Mentre si profilava l'ingresso dell'Italia in guerra, nel marzo 1915, in concorrenza e in polemica col quotidiano defeliciano, Corriere di Catania, allora il più diffuso della città, il C. contribuì a fondare il Giornale dell'Isola, del quale il fratello Carlo fu nominato direttore. Egli, che fu azionista, componente e poi presidente del Consiglio di amministrazione della societa editrice, impresse al foglio una linea neutralista, vicina a quella giolittiana, di contro all'interventismo del Corriere di Catania, sicché fu tacciato di tedescofilia e furono sollevati sospetti sui rapporti d'affari e sui vincoli familiari - sua madre e sua moglie erano di origine germanica - che lo legavano agli Imperi Centrali. Entrata l'Italia in guerra, comunque, lasciò partire volontario il giovanissimo primogenito, Giuseppe, che morì poco dopo l'arrivo al fronte.
In occasione delle elezioni politiche del 1919 defeliciani e carnazziani posero fine sorprendentemente al loro tradizionale antagonismo, allo scopo di unire le forze contro il Partito socialista italiano e il Partito popolare italiano, presentando nel Catanese una lista comune, che consentì al C. di tornare alla Camera, dove prese posto ancora tra i radicali. Il riconoscimento della sua competenza economico-giuridica indusse la Camera a inserirlo nella Commissione di vigilanza sulla circolazione e sugli istituti di emissione (5 dic. 1919) e nella Commissione d'inchiesta sulle spese di guerra, di cui fu eletto vicepresidente (31 luglio 1920). Fu inoltre commissario per la formazione delle tabelle delle circoscrizioni dei collegi elettorali (4 marzo 1921).
Della sua intensa attività parlamentare va ricordata la presentazione dei disegni di legge relativi alla tassa sulle successioni e sulle donazioni, al trattato di pace di San Germano, di cui fu anche relatore (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislatura XXV, 1a sess., tornata del 9 ag. 1920, pp. 5301 ss.), ai contratti di locazione di fondi rustici. Sul finire della legislatura, il 10 apr. 1921, fu nominato sottosegretario al Tesoro nel quinto ministero Giolitti in sostituzione dell'onorevole Agnelli, defunto, e conservò tale carica per pochi mesi, fino al luglio seguente.
L'alleanza tra carnazziani e socialriformisti, non più guidati dal De Felice Giuffrida, morto nel luglio 1920, ma da L. Macchi e da V. Giuffrida, fu confermata nelle elezioni amministrative del 1920 e in quelle politiche del 1921, dalle quali il C. uscì eletto per la terza volta deputato. Restò iscritto al gruppo radicale fino a quando, nell'aprile 1922, i radicali insieme con i deputati del Rinnovamento costituirono il partito e il gruppo parlamentare della Democrazia sociale, ai quali egli aderì assumendovi un ruolo di primo piano.
Fu vicepresidente della Commissione permanente Finanze e Tesoro per l'anno 1922-23 e presidente della Commissione d'inchiesta sulle spese di guerra (28 luglio 1921-31 ott. 1922), che sotto la sua direzione svolse un buon lavoro, accertando alcune grosse mangerie sulle forniture belliche e sui residuati di guerra, mettendo in luce le responsabilità di grandi industriali, di esponenti di rilievo delle forze armate, di alti funzionari della burocrazia ministeriale, e ottenendo la restituzione all'Erario di lucri indebiti ed eccessivi.
Dopo la marcia su Roma la Democrazia sociale fu, insieme con quello popolare, il partito maggiormente rappresentato nel ministero fascista, con due ministri (C. e Colonna di Cesarò) e due sottosegretari (Bonardi e Lissia). Il C., cui fu affidato il dicastero dei Lavori Pubblici, era uno dei membri del nuovo gabinetto più legati a Giolitti e questi, congratulandosi col neoministro, in una lettera dell'11 nov. 1922 pubblicata con grande evidenza su Il Popolo d'Italia (15 nov. 1922), colse l'occasione per fornire il suo esplicito avallo al governo Mussolini.
L'azione di ministro del C. mirò a ristrutturare e a semplificare l'amministrazione e si propose di attuare una politica dei lavori pubblici intesa non come strumento esclusivo di spesa o d'impiego di manodopera fine a se stesso ma come mezzo di valorizzazione del territorio.
Egli unificò nel proprio ministero attribuzioni già dissociate in altri dicasteri: acquedotti, edifici scolastici e postali, irrigazioni, opere di rinsaldamento montano; riformò l'organizzazione degli uffici, sostituendo al criterio della competenza tecnica per categorie di lavori quello della giurisdizione territoriale, riducendo pertanto a tre le direzioni generali e ripartendone la competenza secondo le tre grandi parti del Paese (Nord, Centro, Sud e Isole), allo scopo di ottenere nell'ambito di ciascuna circoscrizione unità d'indirizzo tecnico e di bilancio; modificò la composizione del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici inserendovi esperti estranei all'amministrazione statale; snellì le procedure di esecuzione delle opere mediante il ricorso al sistema delle concessioni e delle trattative private, che però dette origine a sospetti di affarismi e di corruzione intorno ad alcuni grossi appalti. Le scelte di priorità sulle quali si orientò il ministero furono le bonifiche, gli impianti idroelettrici, le strade ordinarie e le autostrade, il completamento e l'arredamento dei porti principali del paese.
Intanto, mentre si acuiva il dissidio della Democrazia sociale con Mussolini, culminando nelle dimissioni del Colonna di Cesarò da ministro delle Poste (febbraio 1924), il C. si avvicinava progressivamente al fascismo finché veniva iscritto al Partito nazionale fascista con una lettera del duce del 17 dic. 1923 (B. Mussolini, Opera omnia, Firenze 1951-63, XX, p. 340). Un significativo contributo alla costruzione autoritaria del regime il C. aveva fornito preparando insieme con i ministri Oviglio e Federzoni lo schema di decreto legge che limitava gravemente la libertà di stampa e che fu approvato dal Consiglio dei ministri nella seduta del 14 luglio 1923. Su di lui il fascismo puntò per consolidarsi in Sicilia: nell'aprile 1924 egli appariva "elevato al rango di viceré fascista" dell'isola (L. Sturzo, Il partito popolare, III, Bologna 1957, p. 29). Fu lui a formare il listone nella circoscrizione Sicilia per le elezioni politiche del 1924, nelle quali ebbe un clamoroso successo personale, raccogliendo quasi centomila voti di preferenza più del capolista V. E. Orlando, secondo eletto.
L'adesione al fascismo, però, non evitò al C. l'esclusione dal governo in seguito al rimpasto operato da Mussolini alla fine di giugno 1924. Giocarono contro di lui in quella circostanza le accuse di irregolarità nell'appalto della direttissima Bologna-Firenze e, soprattutto, il coinvolgimento della sua persona nella scomparsa di Matteotti determinato dai rapporti di amicizia con F. Filippelli, del quale avrebbe finanziato il Corriere italiano.
Il suo potere personale in Sicilia cominciò a incrinarsi dopo l'uscita dal governo e fu colpito decisivamente in seguito all'inchiesta sul fascismo catanese disposta nel dicembre 1926 dalla direzione del partito. L'inchiesta, svolta dall'onorevole Galeazzi, si concluse con lo scioglimento del Fascio di Catania, con la ricostituzione di esso, nell'agosto 1927, epurato di gran parte degli elementi carnazziani, e con la nomina a federale di G. Zingali, ostilissimo al Carnazza. Una prova dell'indebolimento del suo potere è nella costatazione che egli non riuscì, all'inizio del 1927, a far nominare podestà di Catania il fratello Carlo, nonostante avesse tentato un passo presso lo stesso Mussolini. Allontanatisi dal fascismo nel corso del 1927, i due fratelli furono dichiarati fuori del partito nell'aprile 1928; nel giugno successivo essi rinunciarono alla proprietà e alla direzione del Giornale dell'Isola.
Il C. trascorse gli ultimi anni appartato dalle vicende politiche, dedicandosi alla sua azienda agricola della "Rotondella", creata con una moderna e intelligente attività di imprenditore agricolo per la quale era stato insignito con regio decreto del 31 dic. 1925 dell'onorificenza di cavaliere del lavoro.
Il C. morì a Catania il 17 apr. 1931.
Fra gli scritti del C. si ricordano: Conciliazione della legge 36D. de adq. rer. dom. (41,1) con la leg. 18D. de reb. cred. (12,1), Catania 1891; Conciliazione delle ll. I §24,2 e 3D. de exerc. act. (14,1)colle ll. 4D. (eod. tit.) e 7 § 5D. nautae (4,9), ibid. 1891; Il diritto commerciale dei Romani, ibid. 1891; La "servitus luminum" e la "servitus ne luminibus officiatur". Caratteri differenziali. Modo di esercizio, in Antologia giuridica, V (1891-92), pp. 241-265; Le obbligazioni alternative nel diritto romano e nel diritto civile italiano, Catania 1893; I decreti di proroga delle scadenze delle cambiali nelle provincie siciliane, in Antologia giuridica, VII (1893-94), pp. 487-494; La estinzione delle servitù "interitu rei", ibid., VIII (1894-95), pp. 55-74; Sulla obbligatorietà del concordato con perdite consentito dalla maggioranza dei creditori quando l'attivo superi il passivo della fallita, Roma 1894; Il diritto dei creditori ipotecari e privilegiati dopo consentito il concordato, Pisa 1894; Se possa promuoversi il fallimento di una società commerciale dopo un anno da che sia posta in liquidazione per effetto di moratoria, Roma 1894; Da quanto tempo dopo che sia stata messa in liquidazione possa dichiararsi il fallimento di una società commerciale, Pisa 1894; L'assegno bancario (check), Catania 1896; Questioni di diritto commerciale, ibid. 1896; In morte di Ruggero Bonghi. Commemorazione ibid. 1896; Il discorso del ministro G. C. (Noto, Teatro comunale, 24 marzo 1924), in I grandi discorsi elettorali del 1924, Milano 1924. Sono da ricordare anche le traduzioni di L. Goldschmidt, La Lex Rhodia - Il Germinamento - Il Consiglio di Bordo, in Antologia giuridica, IV (1890-91), pp. 87-127, 175-204, 507-580, e in volume, Catania 1890; e di M. Voigt, I banchieri, la tenuta dei libri e l'obbligaz. letterale dei Romani, Catania 1891.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. d. Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri, Verbali, 1º nov. 1922 - 24 giugno 1924; Segreteria particolare del Duce, Sezione Carteggio riservato, busta 4, fasc. 59R, Carnazza Carlo (ivi anche carte pertinenti il C.); Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legislature XXII, XXV, XXVI e XXVII, ad Indicem; Giornale dell'Isola, 1914-28, passim; S. Salomone, La Sicilia intellettuale contemporanea, Catania 1913, sub voce; G. Jannelli, La crisi del fascismo in Sicilia, Messina 1924, pp. 38-42; G. Policastro, Figure del fascismo siciliano. G. C., Catania 1927; P. Delogu, G. C., in Arch. stor. per la Sicilia Orient., XXVII (1931), pp. 170-71; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, sub voce; L. Sturzo, IlPartito popolare italiano, III, Bologna 1957, ad Indicem; R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere, Torino 1966, ad Indicem; G. Micciché, Dopoguerra e fascismo in Sicilia, Roma 1976, ad Indicem; G. C. Marino, Partiti e lotte di classe in Sicilia da Orlando a Mussolini, Bari 1976, ad Ind.; A. A. Mola, St. della massoneria ital. …, Milano 1976, ad Indicem.