ASSI, Gaetano
Nato il 30 luglio 1805 da Carlo e da Maria Vago a Milano, di mestiere tintore, nel periodo 1848-53 fu infaticabile organizzatore del movimento popolare milanese, su cui ebbe un notevole ascendente.
Se incerta è la partecipazione dell'A. (noto col diminutivo di "Taneu") alle giornate del marzo '48, maggiori notizie si hanno invece sulla sua attività durante il conflitto austro-piemontese del 1849. Nel periodo della tregua si era dedicato alla fusione delle forze popolari; a capo di queste progettò un tentativo insurrezionale per il 24 marzo 1849. Ma giunta il 23 la notizia della sconfitta piemontese a Novara, il moto abortì, riducendosi a un semplice parapiglia nel popolare quartiere dei Carrobio.
Le forze popolari, disperse dalla reazione austriaca, si andarono poi riorganizzando sotto l'influenza del Comitato dell'Olona, di cui G. B. Carta rappresentava la mente politica e l'A. quella organizzatrice: come risultato, sorsero intorno al 1850, secondo la testimonianza di un altro capopopolo, il pizzicagnolo A. Giussani, le Fratellanze operaie. Queste inizialmente avevano finalità mutualistiche e si basavano sulle teorie proudhoniane importate in Italia da C. De Cristoforis, che influenzava direttamente l'A. e il Comitato dell'Olona. Ben presto le Fratellanze si orientarono anche verso un'intensa attività politica, sempre guidata dal Comitato dell'Olona, in contatto con molte personalità del cosiddetto gruppo degli "indipendenti", e spesso anche in concorrenza con il Comitato nazionale mazziniano.
Tra il I850 e il 1853 più volte l'A. e le Fratellanze organizzarono agitazioni e manifestazioni.
Nel '51, per es., promossero una processione commemorativa dei Bandiera, compiuta da circa cinquecento popolani nel duomo, ed una sfilata di altri mille cinquecento fuori Porta Comacina. Ma l'atto più importante fu l'uccisione, il 25 giugno dello stesso anno, del protomedico A. Vandoni, delatore del dottor G. Ciceri, sottoscrittore del prestito mazziniano. L'episodio mise ancora più in luce la differenza tra i mazziniani e le Fratellanze in fatto di tattica politìca, in quanto venne severamente stigmatizzato da Mazzini e dai suoi seguaci.
Sempre nell'ambìto del Comitato dell'Olona, intensa fu nell'estate la compilazione, ad opera dei Carta, e la distribuzione, tramite l'A., di proclami rivoluzionari, la cui affissione causò l'arresto (30 luglio) e la fucilazione (2 agosto) di A. Sciesa, scoperto dalla polizia austriaca in possesso di manifesti. Ne fu implicato anche l'A., ma la sua partecipazione, nel corso del processo che seguì, non poté essere dimostrata da parte austriaca. Ciononostante, prendendo a pretesto una precedente manifestazione - astensione dal fumo - venne condannato, con sentenza del 6 ott. 1851, a otto mesi di ferri "con un digiuno alla settimana".
Le Fratellanze operaie risentirono dell'allontanamento dell'A. e si disgregarono rapidamente; quando il 21 giugno del 1852 egli venne scarcerato, dovette procedere alla riorganizzazione del movimento. In questo periodo si era anche andato disgregando il movimento mazziniano in Lombardia. In conseguenza Mazzini, per realizzare il moto che andava organizzando, fu costretto a tentare approcci con il movimento popolare. Nell'autunno del 1852 E. Brizi, che con G. Piolti De Bianchi aveva avuto l'incarico di annodare le fila dell'insurrezione e di mantenerla sotto controllo mazziniano, prese contatti con l'A. ed i suoi collaboratori. L'intesa fra popolani e mazziniani venne anche favorita dall'assenza del De Cristoforis e del Carta, quest'ultimo arrestato nell'ottobre del 1852 su delazione del Corbellini, fatto poi uccidere dall'Assi. Privato così delle direttive dei due effettivi dirigenti dell'organizzazione, l'A. manifestò nelle trattative mancanza di chiarezza e d'autonomia ideologica, dìventando, insieme col Comitato dell'Olona, mazziniano convinto.
Parecchie incertezze, in ogni modo, restano sulle origini dell'intesa tra mazziniani e Comitato dell'Olona: quella riguardante l'offerta iniziale delle trattative, e i motivi che avrebbero eventualmente spinto Mazzini a ricercare l'alleanza di forze di cui non condivideva l'impostazione; sembra, però, che Mazzini rimanesse colpito dalle assicurazioni sulla consistenza delle forze popolari fatte dall'A., che aveva una spiccata tendenza alla esagerazione, come dimostra ' tra l'altro, una testimonianza durante il processo a suo carico del '54. Comunque sia, nel novembre dei 1852 l'integrazione dei due movimenti era ormai un fatto compiuto.
Nella nuova organizzazione, di cui l'A. insieme col Brizi fu in parte guida, la frazione popolare si dimostrò più ansiosa di quanto il Mazzini desiderasse di accendere la scintilla rivoluzionaria. Il motivo del dissenso sulla scelta dei tempi consisteva nella diversa importanza data alla situazione internazionale ed alla partecipazione al moto di Ungheresi e Francesi, condizioni considerate imprescindibili per la rivoluzione italiana da parte dei mazziniani, mentre da parte dell'A. e degli altri capipopolo erano totalmente ignorate. Questa diversità di valutazione fece sì che Mazzini, nel preparare il moto, si trovasse di fronte alla defezione del ceto medio - "le marsine" -, che non condividevano il frettoloso entusiasmo popolare, e fosse così costretto ad appoggiarsi ai soli popolani delle Fratellanze.
Decisa nel dicembre 1852 l'azione insurrezionale con centro Milano, nel corso del gennaio successivo fu messo a punto il piano di azione, attraverso colloqui fra Mazzini ed emissari dell'A. (Binda e Sandri). Il moto, scoppiato il 6 febbr. 1853, fu represso in poche ore, anche per la scarsa partecipazione dei popolani: solo, centocinquanta dei tremila su cui l'A. aveva contato scesero in piazza. Per quanto riguarda la sua diretta partecipazione, è incerto se l'A. scomparisse ancora prima del tentativo insurrezionale o dopo il suo fallimento. Prive di fondamento sono poi le affermazioni contenute in una delle sue memorie sul comportamento che egli avrebbe tenuto nel corso della giornata: tra l'altro esagerazione sembra, senz'altro, l'affermato ingresso solitario nel cortile del Castello.
Postosi in. salvo insieme con altri capi, rimase nascosto sino al 26 febbraio a Milano, donde poi riparò a Lugano. Processato in contumacia, il 20 luglio 1854 fu condannato a 20 anni di ferri pesanti.
A Lugano, stando alle sue dichiarazioni, sarebbe stato arrestato come spia su istigazione dei mazziniani; liberato, fu confinato a Zurigo, da dove passò a Londra. Rinnegata la causa mazziniana, si dichiarò fedele alla casa Savoia, forse credendo di poter così tornare in Italia.
Liberata la Lombardia nel 1859, rientrò nello stesso amo a Milano, ove morì il 28 nov. 1879.
Fonti e Bibl.: Oltre le carte nell'Arch. di Stato di Milano (Carte Mailänder Aufstand), si vedano le due memorie lasciate dall'A., ambedue riguardanti il moto del 6 febbraio: la prima è pubblicata, col nome erroneo Azzi, in V. Ottolini, La rivoluzione lombarda del 1848 e 1849, Milano 1887; pp. 355-61, 362 s.; l'altra è pubblicata nel volume di R. Sòriga, Le società segrete, l'emigrazione politica e i primi moti per l'indipendenza, I, Modena 1942, pp. 288-90. Notizie sull'A. in C. Cantù, Dell'Indipendenza ital., Torino 1872, III, pp. 38 s.; V. Ottolini, La rivoluzione...,cit., pp. 354 s.; G. De Castro, I processi di Mantova e il 6 febbr. 1853, Milano 1893, pp. 53, 67, 159, 169, 280-291, 296, 358 ss., 399, 596; L. Pollini, Mazzini e la sollevazione milanese del 6 febbraio 1853, Milano 1930, pp. 47, 49, 51, 71, 80, 83 s., 127-136, 196, 327, 328; Id., Amatore Sciesa eroe popolano,Milano 1932, pp. 99-104, 157-160, 180 s., 192-200; Id., La rivolta di Milano del 6 febbr.1853, Milano 1953, pp. 15, 26, 28, 5153, 60-62, 81, 155 s., 257 s., 271-281; F. Catalano, I barabba,Milano 1953, pp. 29, 32, 37-40, 48; G. Visconti Venosta, Memorie,Milano 1959, pp. 149, 151; F. Della Peruta, I democrattct e la rivoluzione italiana,Milano 1960, pp. 311, 376, 378 s., 387, 396, 398; L. Marchetti, Il decennio di resistenza, in Storia di Milano, XIV,Milano 1960, pp. 506-509, 520-524, 535-546; Encicl. Ital., V, p. 1; Dizionario del Risorgimento nazionale, II, pp. 124 s.