AZZARITI, Gaetano
Nacque a Napoli il 26 marzo 1881 da Giuseppe e Luisa Fumagalli, ultimo di quattro figli di una famiglia di origine pugliese. Il padre e due dei fratelli percorsero la carriera giudiziaria (uno di questi, Francesco Saverio, divenne senatore nel 1933).
Laureatosi in giurisprudenza all'università di Napoli il 12 luglio 1901, dopo aver esercitato per qualche tempo la pratica forense presso la Corte d'appello di Napoli, l'A. vinse il concorso per uditore giudiziario (1904). Assegnato all'ufficio massimario presso la Corte di cassazione, nel 1906 fu nominato segretario della commissione istituita presso il ministero degli Esteri per l'esame dei codici per la colonia eritrea e nel 1908 segretario della Commissione per la riforma dei codici, costituita dal ministro guardasigilli V.E. Orlando (governo Giolitti). Nel 1909 divenne segretario particolare del ministro di Grazia e Giustizia V. Scialoja (governo Sonnino), che lo richiamò allo stesso ufficio nel 1916, quando divenne ministro senza portafoglio per la Propaganda Nazionale (governo Boselli). Sposatosi nel 1917 con Maria Pandolfelli, fu nominato nel 1918 segretario della Commissione per il dopoguerra. L'anno successivo l'A. fu inserito nell'ufficio speciale di legislazione presso il gabinetto del guardasigilli L. Facta (governo Orlando), per poi essere nominato segretario particolare del ministro di Grazia e Giustizia L. Mortara (governo Nitti) e, infine, assegnato dal successore di questo, L. Fera (governo Giolitti), a prestare servizio presso il neocostituito ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia, in cui prestò la sua opera fino a 1949, divenendone il responsabile nel 1927, con una sola interruzione tra il 25 luglio e il 4 giugno 1944. All'interno di questo ministero percorse tutti i gradi della carriera: nel 1923 divenne consigliere di Corte d'appello, nel 1924 giudice di primo grado per le cause penali della Repubblica di san Marino, nel 1928 divenne consigliere di Cassazione, nel 1931 primo consigliere di Corte d'appello, nel 1938 presidente del Tribunale della razza presso il dipartimento demografia e razza del ministero degli Interni.
L'azione dell'A., che copre più di cinquant'anni di storia giuridica e istituzionale italiana e che costituisce un esempio di longevità nelle situazioni più differenti, è stata definita in modo icastico come quella di un "tecnico di vocazione governativa" (N. Tranfaglia, Dallo Stato liberale al regime fascista. Problemi ericerche, Milano 1973, p. 211). In effetti egli rappresenta in modo esemplare una generazione di giuristi che contribuì alla costruzione dell'ordinamento giuridico italiano nel periodo tardo-liberale, durante il regime fascista e negli anni del secondo dopoguerra, su basi fortemente tecniche. Da una posizione privilegiata, come quella dell'ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia (che cooperò a istituire e sviluppare, divenendone un insostituibile pilastro), egli esercitò un'influenza e un controllo incisivi sulla macchina dello Stato, cooperando tra l'altro alla riforma dei codici. Allievo della scuola napoletana, fu fondamentale per lui l'incontro universitario con una personalità come Lodovico Mortara, allora ancora docente, con cui collaborò alla redazione del volume Dell'esercizio delle azioni commerciali edella loro durata, pubblicato a Torino nel 1904 nella collana della UTET sul Codice di commercio commentato. Già i primi passi della carriera avevano mostrato le sue inclinazioni per l'attività di studio e di organizzazione infraministeriale. Il contatto con Mortara e con Scialoja introdusse l'A. in quella particolare dimensione dove la politica si trasforma in diritto, con la necessità di pervenire a una strutturazione tecnica adeguata. La sua attività presso le varie commissioni per la riforma dei codici durante il periodo liberale ebbe un suo razionale coronamento durante gli anni Trenta nella fondamentale esperienza di redazione degli stessi. In modo analogo l'A. fu l'indispensabile costruttore dell'ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia, contribuendo ad elevare in modo sicuro il livello di redazione e coordinamento della legislazione in Italia. Egli fu, quindi, partecipe della costruzione legislativa del regime fascista, affiancando ministri come A. Rocco, P. De Francisci, A. Solmi e A. Grandi; da quel punto privilegiato egli contribuì, con altri, ad assicurare elementi di profonda continuità con alcune caratteristiche strutturali evidenziatesi nello stesso Stato liberale (G. Neppi Modona, La magistratura e il fascismo, in AA.VV., Fascismo e societàitaliana, Torino 1973, pp. 131 ss.). Durante gli anni Venti e Trenta, oltre ad una incessante attività istituzionale, l'A. si interessò soprattutto di temi giuslavoristici relativi alla disciplina giuridica dei rapporti collettivi di lavoro, della disciplina concordataria del matrimonio e di diritto agrario e commerciale, tutti argomenti particolarmente delicati, in cui si erano verificate profonde innovazioni normative.
Il 25 luglio 1943 - certamente per la natura tecnica di quel ministero, ma forse anche per l'amicizia che lo legava a Leopoldo Piccardi - l'A. fu nominato ministro di Grazia e Giustizia nel primo ministero Badoglio, mantenendo la carica fino al 15 febbr. 1944, quando la nomina fu revocata essendo egli nell'impossibilità di esercitare le sue funzioni in un governo che aveva trasferito la sua sede a Salerno. Dopo l'8 settembre, infatti, egli era rimasto a Roma, trovando rifugio - come altri esponenti badogliani - nei conventi della capitale. Con la liberazione di Roma, nel giugno 1944, l'A. riprese servizio presso l'ufficio legislativo del ministero di Grazia e Giustizia, senza che - ovviamente - avesse alcun effetto il suo collocamento a riposo deciso d'autorità dal governo della Repubblica sociale italiana il 22 dic. 1944.
Nel periodo postbellico partecipò attivamente alla fase di transizione e di preparazione del nuovo assetto istituzionale. Collaboratore del ministro di Grazia e Giustizia, P. Togliatti, durante il ministero Parri (21 giugno-10 dic. 1945) e il primo ministero De Gasperi (10 dic. 1945-13 luglio 1946), l'A. fu membro della Commissione per gli studi attinenti alla riorganizzazione dello Stato e della Commissione per la riforma dell'amministrazione, entrambe presiedute da Ugo Forti nell'ambito del ministero per la Costituente.
Particolarmente importanti furono i suoi interventi sui temi della giustizia costituzionale in seno alla prima delle due commissioni. In essi l'A. tese a privilegiare "l'elemento tecnico-giuridico", intendendo "limitare il sindacato di costituzionalità alle sezioni unite della Cassazione", per cui il controllo sarebbe dovuto rientrare nelle normali attività dei giudici ordinari. Gli scritti raccolti nel volume Problemi attuali di diritto costituzionale (Milano 1951) individuano, inoltre, un'importante azione per giustificare la legittimità degli atti normativi emanati dai governi succedutisi dal 1943 in poi sulla base della continuità dello Stato e della reperibilità degli strumenti adottati nel periodo precedente. L'A. criticò, infatti, le tesi che sostenevano l'incostituzionalità dell'uso sia dei decreti-legge sia dei decreti legislativi da parte del potere esecutivo, perorando la causa della trasformazione interna all'ordinamento giuridico-costituzionale sulla base delle forme precise dell'ordinamento preesistente (Sulla pretesa illegittimità dei decreti legge emanati dopo il luglio 1943, in Problemiattuali…, pp. 441 ss.). Una simile posizione si collegava d'altronde con l'affermazione dell'asetticità del metodo giuridico e con l'affermazione dell'esistenza di norme direttive e precettive nel testo costituzionale, in un periodo in cui l'interpretazione della Costituzione del 1948rimaneva congelata dai contrasti politici. L'esigenza di riallacciarsi ai canoni del metodo orlandiano era favorita nell'A. non solo dalla necessità di un'omogeneità metodologica nell'interpretazione, ma si connetteva con il fine che gli organi costituzionali assicurassero un controllo tecnico adeguato alla strategia di continuità. Nel commento alla notissima sentenza della Cassazione a sezioni unite penali del 7 febbr. 1948 (in cui si stabiliva che "le norme consacrate dalla Costituzione della Repubblica hanno, prevalentemente, carattere precettivo, ma alcune sono di immediata applicazione, altre non"), egli assunse una posizione articolata. Pur distinguendo anch'egli tra norme direttive e precettive e pur negando alle prime il carattere di vere e proprie norme giuridiche, l'A. attribuiva loro - in una Costituzione rigida - "un certo carattere di giuridicità" (Lanuova Costituzione e le leggi anteriori, in Problemi attuali…, pp. 98 s., 103). Si trattava quindi di una posizione che lasciava aperta la possibilità di successivi sviluppi e denotava l'acuta sensibilità politica dell'Azzariti.
Divenuto presidente del Tribunale superiore delle acque pubbliche nel 1949, l'A. fu collocato a riposo per limiti di età nel 1951. Il 3 dic. 1955 egli venne nominato dal presidente della Repubblica, G. Gronchi, giudice costituzionale e fu designato da E. De Nicola, presidente della stessa Corte, a sostituirlo in caso di impedimento.
In questo incarico l'A. si applicò con grande impegno proprio nel periodo formativo della Corte costituzionale, esplicando un'azione tesa sia al rafforzamento dell'organo sia al mantenimento entro limiti precisi del conflitto con gli altri partners istituzionali. Relatore della prima storica sentenza che affermava la competenza della Corte a giudicare la legittimità costituzionale delle norme entrate in vigore prima della Costituzione repubblicana, l'A., divenuto presidente il 6 apr. 1957, dopo le polemiche dimissioni del De Nicola, fu particolarmente attento ai pericoli del vuoto legislativo, giustificando l'uso da parte del supremo consesso delle cosiddette sentenze interpretative. L'utilizzazione di criteri di opportunità politica nei rapporti con Parlamento e governo non fu però scevro da asprezze e da conflitti (ad esempio, quello, solo apparentemente formale, delle precedenze).
Nel febbraio 1960 - in una situazione politica ambigua (governo Tambroni) - una sua intervista al settimanale Vita, in cui individuava un ruolo istituzionale parallelo di presidenza della Repubblica e Corte costituzionale, suscitò un'accesa risposta da parte del presidente del Senato, C. Merzagora, in favore del ruolo del Parlamento.
L'A. morì a Roma il 5 genn. 1961.
In collaborazione con G. Scarpello scrisse il volume Prescrizione e decadenza (Bologna 1953), facente parte del Commentario al Codice civile, a cura di V. Scialoja e G. Branca, edito da Zanichelli.
Fonti e Bibl.: A. M. Sandulli, G. A. (in memoriam), in Rivista trimestrale di diritto pubblico, XI (1961), pp. 441-446; G. Ambrosini, G. A. Discorso commemorativo pronunciato dal presidente della Corte costituzionale…il 6 marzo 1965 alla presenza del presidente della Repubblica G. Saragat, Roma 1965.