CASATI, Gaetano
Esploratore africano, nato a Ponte Albiate (Milano) il 4 settembre 1838. Era studente di matematiche all'università di Pavia, quando, scoppiata la guerra d'indipendenza del 1859, si arruolò volontario. Dopo la pace frequentò l'Accademia militare d'Ivrea, dalla quale uscì ufficiale e in tale qualità prese parte alla campagna di guerra del 1866. Fu anche per qualche tempo istruttore di topografia nella Scuola normale dei bersaglieri di Livorno. Nel 1879, raggiunto il grado di capitano, lasciò il servizio militare e, per mezzo del cap. Camperio, si offrì a Romolo Gessi governatore della provincia sudanese del Baḥr el-Ghazāl, che al Camperio aveva appunto chiesto un ufficiale addestrato nelle operazioni di rilevamento topografico. Imbarcatosi a Genova sulla fine del 1879, per la via di Suakin e Berber pervenne a Kharṭūm; ma solo nell'agosto poté raggiungere il Gessi nella sua residenza.
Questi lo accolse amichevolmente e lo fornì dei mezzi necessarî, con cui egli iniziò una serie di esplorazioni nel bacino dell'Uelle scoperto già dallo Schweinfurt, per risolvere il problema della sua pertinenza idrografica. I suoi viaggi valsero a riconoscere una regione già percorsa, oltre che dallo Schweinfurt, dagl'italiani Piaggia e Miani (di cui raccolse i resti sepolti a Tangasi). Incontratosi poi col russo Yunker, che pure a scopo di studio percorreva la regione di spartiacque tra il bacino del Nilo e quello del Congo, si avviarono insieme per una via non prima da altri tenuta verso Lado per raggiungervi Emīn bey che teneva il governo della Provincia Equatoriale (marzo 1883). Quivi apprendono le prime notizie dell'insurrezione egiziana e della rivoluzione mahdista del Sudan. Volendo per altro riprendere le interrotte esplorazioni nel bacino dell'Uelle, il C. ripartì per il Mombuttu; ma alla fine di maggio del 1884 la gravità delle notizie che pervenivano dalla provincia del Baḥr el-Ghazāl, dove l'esercito del Mahdi si avanzava vittorioso, indussero Emīn a richiamarlo a Lado, ove il governatore coi pochi europei rimasti a lui vicini, fra i quali il dott. Yunker e il maltese dott. Vita Hassan, si preparavano a resistere. Da quel momento il C. sposò compiutamente la sua causa a quella di Emīn, al quale rimase costantemente fedele nonostante alcuni dissapori. Per sottrarsi ai pericoli della sollevazione sempre più minacciosa, la sede del governo della Equatoria viene da Emīn trasferita a Wadelai (luglio 1885), dove egli ha dal governo egiziano piena libertà o di mantenervisi con le proprie risorse o di raggiungere la costa per la via dell'Uganda. La guerra scoppiata tra quel re e Cabrega re dell'Unyoro gli vieta di attuare questo proposito; ma quando, conclusa la pace, il C. fu mandato in missione presso Cabrega per scandagliarne gl'intendimenti, considerato come una spia venne preso prigioniero, sottoposto a crudi tormenti e depredato di tutto. Condannato a morte (9 gennaio 1888), riuscì a salvarsi con la fuga raggiungendo le rive del Lago Alberto. Fu in questo viaggio che egli per primo intravide, e ne diede notizie in una lettera a Emīn, il colosso montano del Ruvenzori poi rivelato al mondo geografico dallo Stanley. Si appressava ormai alla meta, dopo tanti tentativi falliti, la grande spedizione di soccorso comandata dallo Stanley, il quale per la via del Congo pervenne al Lago Alberto e a ricongiungersi con Emīn (29 aprile 1888). Dopo un lungo periodo di resistenze e d'incertezze, durante il quale il consiglio del C., non sempre giustamente apprezzato, ebbe luogo di manifestarsi, il divampare anche nell'Equatoria della rivoluzione mahdista indusse Emīn a seguire lo Stanley e con lui il C. e gli altri che gli erano rimasti fedeli. Lasciata Wadelai il 5 aprile 1889, la grande carovana raggiungeva Bagamoio il 6 dicembre. Il C. non volle tuttavia separarsi da Emīn prima di averlo fraternamente assistito nel regolare i suoi interessi col governo egiziano, e solo nel luglio successivo rivedeva la patria. Ad Aden, in Egitto e poi in Italia fu fatto segno alle maggiori dimostrazioni di stima e di ammirazione per il modo altissimo in cui, durante il decennio fortunoso della sua vita africana, aveva saputo tener alto il nome italiano. La Società geografica, che lo proclamò suo socio d'onore, gli conferì, in occasione del primo congresso geografico italiano tenuto a Genova nel 1892, la grande medaglia d'oro. La sua relazione di viaggio, redatta col solo sussidio della memoria, giacché andarono dispersi nella prigionia nell'Unyoro gli appunti e le note cui erano affidati i suoi ricordi, venne pubblicata in 2 volumi a Milano nel 1891 col titolo Dieci anni in Equatoria e ritorno con Emin Pascià, e tradotta nelle principali lingue europee. Ritiratosi nella sua villetta di Cortenuova in Brianza (Monticello), si spense il 7 marzo 1902. Nei momenti più difficili delle nostre prime imprese coloniali più volte fece udire la sua voce ammonitrice con apprezzati articoli in cui ricordava come la prima cura nostra dovesse essere rivolta alla diffusione della civiltà e all'elevazione materiale e morale delle popolazioni indigene.
Bibl.: L. Dal Verme, G.C., in Boll. Soc. Geogr. ital., aprile 1902; Att. Mori, Il maggiore G. C., in Riv. geogr. ital., marzo 1902.