DE LAI, Gaetano
Nato a Malo (Vicenza) il 30 luglio 1853 da Antonio e da Maria Silvagni, iniziò gli studi ecclesiastici nel seminario di Vicenza e, grazie alla rendita del legato Dal Pozzolo (G. Mantese, La cultura religiosa e gli studi teologici a Vicenza negli anni dell'unificazione italiana, in Chiesa e Stato nell'Ottocento. Miscell. in onore di P. Pirri, II, Padova 1962, p. 400), passò poi a completarli a Roma presso il Pontificio Seminario romano, conseguendo le lauree in filosofia, teologia, diritto canonico e civile. Fu consacrato sacerdote il 16 apr. 1876. Nello stesso anno mons. I. Verga, segretario della Congregazione del Concilio, al fine di nominare il sostituto al posto di uditore reso vacante da mons. Budini, costituì una commissione composta da cinque giovani sacerdoti e della quale entrò a far parte anche il De Lai. Ma la nomina a cardinale del Verga determinò l'immediato scioglimento della commissione stessa e il D. ritornò così in diocesi assumendo la cattedra di teologia in seminario (G. Mantese, Il Seminario e la vita religiosa vicentina, Vicenza 1954, p. 76). L'anno dopo mons. Santoni, segretario della Congregazione del Concilio, lo richiamò a Roma, ove il D. iniziò la sua lunga carriera di curiale. Entrò come uditore in questa congregazione, conservando tale incarico fino al 1891 quando, il 25 marzo, ne fu nominato sottosegretario; il 23 luglio 1886 venne nominato cameriere segreto e il 7 marzo 1897 prelato di S. Santità. Nel 1887, frattanto, era stato incaricato della visita di alcune diocesi e, in tale circostanza, a Mantova, conobbe il vescovo Giuseppe Sarto, iniziando con lui una lunga e significativa amicizia. Il 25 giugno 1903 fu promosso prosegretario della Congregazione del Concilio (dall'11 novembre segretario) e divenne inoltre vicario del capitolo di S. Maria ad martyres e di S. Maria in Trastevere, poi deputato per la disciplina nel Pontificio Seminario romano ed infine membro dell'Accademia teologica e liturgica. Il 25 marzo 1904 fu nominato membro della commissione per la formazione del codice di diritto canonico.
In questi anni alternò al lavoro curiale l'impegno pastorale. Esercitò infatti il ministero sacerdotale al Circolo di S. Pietro e al Circolo superiore della gioventù cattolica. Aiutò l'opera degli esercizi spirituali presso il Ponterotto in via dei Vercellari in Trastevere (C. Mancini, La Pia Casa di esercizi di Ponterotto, in La vita religiosa a Roma intorno al 1870, a cura di P. Broulers-G. Martina-P. Tufari, Roma 1971, pp. 137-74). Fu inoltre assistente spirituale presso il Circolo popolare del S. Cuore di S. Maria in Via e prestò la propria opera anche presso le scuole notturne.
Creato cardinale da Pio X nel concistoro del 16 dic. 1907, venne nominato segretario della Congregazione concistoriale il 20 ott. 1908. Nel successivo concistoro del 27 nov. 1911, dimessa la diaconia di S. Nicola in carcere, optò per la diocesi suburbicaria di Sabina: fu di conseguenza consacrato vescovo da Pio X il 17 dic. 1911, insediandosi successivamente il 31 dicembre. Sempre nel 1911 divenne presidente dell'economato dei dicasteri ecclesiastici ed allargò la propria influenza in Curia entrando nelle congregazioni del S. Ufficio, del Concilio, dei Religiosi, degli Affari ecclesiastici straordinari, dei Seminari e delle Università degli studi e del Cerimoniale: una partecipazione capillare negli organi decisionali della Curia romana che permise il consolidarsi della sua presenza ai vertici della Chiesa cattolica e testimonia il ruolo primario che il D. ebbe nel disegnare e guidare l'azione culturale e pastorale di quegli anni. Egli fu l'uomo forte, il personaggio chiave del pontificato di Pio X, superando forse per influenza e determinazione lo stesso segretario di Stato, R. Merry del Val. Risulta forzata l'interpretazione che lo vuole solo fedele esecutore delle decisioni di Pio X al cui rigore si sarebbe forzatamente allineato, anche se "con poca avvedutezza" (G. Mantese, 1983). Per gli anni che corrono dal 1907, quando egli ottenne da Pio X la porpora, all'agosto 1914 quando questi morì, egli fu a Roma, come ricorda Crispolti, "un dignitario potente e temuto". Freddo, gentile, di pochissime parole, fu un lavoratore instancabile, pronto ad assumere tutte le responsabilità, ad affrontare tutte le difficoltà, ad organizzare concretamente e senza perdere un minuto ogni cosa che fosse coerente al suo modo di concepire la disciplina ecclesiastica. Centralizzazione e controllo gerarchico furono criteri base della sua ecclesiologia (L. Bedeschi, 1968, p. 64 n. 69).
Nel 1911 (secondo notizie riportate da Coenobium, V [1911], 8, p. 88, e Battaglie d'oggi, VII [1911], 5, p. 306), egli intraprese un viaggio nelle diocesi meridionali per rendersi conto personalmente della situazione del clero, preoccupandosi soprattutto di allontanare dai seminari, senza nessun discernimento, quanti avessero in qualsiasi modo dimostrato interesse, o anche solo attenzione, per il movimento rinnovatore. La sua azione fu particolarmente esaltata dal ruolo che svolse come responsabile della Congregazione concistoriale. Era lui, di fatto, che sceglieva nel clero i candidati per la nomina vescovile, ne controllava l'adempimento degli obblighi pastorali, esaminava le relazioni sullo stato delle diocesi e indicava in esse le modalità delle visite apostoliche. Avendo ottenuto la piena confidenza del papa su tutto ciò che riguardava l'andamento delle varie istituzioni ecclesiastiche, estese la sua azione a tutta la vita della Chiesa italiana. Secondo C. Corsanego, il D. "riuscì a conglobare nella S. C. concistoriale una infinità di competenze altissime, prima fra tutte la nomina dei vescovi con inevitabili riflessi in tutta la vita della Chiesa. E perchè l'autorità di quella Congregazione fosse inappellabile, fece si che il prefetto fosse il papa ed egli ne divenne il segretario, cioè l'alter ego del papa" (Romana Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Pii Papae X Positio super virtutibus, Romae 1949, p. 112). Del resto una simile impostazione era espressamente teorizzata dal D.; scriveva infatti al cardinal P. Maffi: "In realtà io penso che la restaurazione della Chiesa in Italia debba venire da altra parte; costituzione di vescovi attivi, capaci, dotti, prudenti e formazione di sacerdoti pieni dello spirito del Signore ed istruiti convenientemente" (...disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi Servi Dei respicientes in modernismi debellatione una cum summario additionali ex ufficio compilato, Romae 1950, p. 57). Secondo lui, l'urgenza di tale restaurazione nasceva dal fatto che la Chiesa viveva nella società moderna una situazione di incomprensione, di lotta, di accerchiamento. Questa visione stava alla base del suo contrasto col cardinale Maffi nella valutazione della funzione del giornalismo cattolico (ibid., pp. 64-76). I suoi interventi erano, di conseguenza, costruiti secondo una implicita e costante svalutazione del pensiero moderno. Poiché anteponeva l'esigenza dell'apologetica a quella della critica e della ricostruzione storica, avrebbe voluto censurare la Storia dei papi di L. v. Pastor (Revue d'histoire ecclesiastique, XLII [1946], p. 195); proibì nei seminari l'uso dei libri del p. J.-M. Lagrange (Acta Apostolicae Sedis, IV [1912], p. 530); si adoperò in un mal riuscito tentativo per far porre all'Indice un opuscolo del Blondel (M. Blondel-A. Valensin, Corres pondance 1899-1912, I, Paris 1957, p. 281) e per condannare l'Histoire ancienne de l'Eglise di L. Duchesne (M. Maccarone, Monsignor Duchesne e la Curia romana, in Monseigneur Duchesne et son temps, Rome 1975, pp. 433 s.). Fu protagonista nella conduzione del caso Fr. Lanzoni, il noto storico monsignore faentino (L. Bedeschi, 1970). A suo giudizio la crisi modernista era frutto di "dottrine sovversive" ed occorreva quindi orchestrare un'azione capace di far arretrare "il dilagare di questa peste" (Disquisitio..., cit., p. 143). In coerenza con questa visione si colloca l'attenzione che il D. prestò alla situazione della Chiesa genovese e alla presenza di padre G. Semeria. Operò in modo che la concessione dell'exequatur al vescovo neoeletto, monsignor A. Caron, significasse di fatto anche la rimozione del barnabita, prese iniziative per un suo definitivo allontanamento da Genova, gli contestò perfino il diritto di tenere conferenze dantesche a Ginevra (Fonti e documenti, IV [1975], pp. 288 s., 415). Protesse esplicitamente mons. U. Benigni, la sua attività e il "Sodalitium Pianum" (Disquisitio..., cit., pp. 196-297). Non poté e non volle ottenergli l'approvazione formale della S. Sede né la desiderata libertà di esistere ed agire senza l'obbligo di manifestarsi previamente al vescovo locale, in quanto una tale deroga al potere giurisdizionale non sarebbe stata in linea con la sua stessa concezione della gerarchia. Ma fu tanto legato a questa organizzazione da esservi conosciuto, in forma cifrata, col nome di conte Tandel (E. Poulat, 1969, pp. 287 ss.). Unico, oltre al papa ovviamente, fu a conoscenza di tutte le informazioni e dei controllo che l'organizzazione esercitava su tutta la Chiesa, perfino sui vescovi e cardinali, condividendo la scelta di riservare la più rigida segretezza e contribuendo in tal modo, e in maniera decisiva, all'emergere del ruolo spionistico che il gruppo finì per assumere.
Con i pontificati di Benedetto XV e Pio XI (Il cardinale Gasparri, pp. 249-72), secondo i canoni tradizionali della prassi curiale, il D. rimase al suo posto ma la sua influenza nell'indirizzo complessivo dell'attività vaticana diminuì drasticamente. Benedetto XV, con il motu proprio "Seminaria clericorum" del 4 nov. 1915, fondendo insieme l'Ufficio per i seminari, eretto presso la Congregazione concistoriale e la Congregazione degli studi, creò un nuovo dicastero che assunse il nome di "S. Congregatio de Seminariis et Studiorum Universitatibus" (Acta Apostolicae Sedis, VII [1915], pp. 433-95), sottraendo in tal modo al D. il controllo dei seminari e delle università cattoliche e ponendo soprattutto fine a quel clima di sospetto e di controllo parossistico che aveva caratterizzato il pontificato precedente. L'attività del D. si restrinse a compiti soprattutto di rappresentanza. Nel 1920 fu legato pontificio al concilio siciliano, nel 1923 al VII Congresso eucaristico nazionale di Genova, nel 1924 al concilio sardo di Oristano.
Pio XI, nella lettera autografa del 10 ag. 1923 con la quale lo nominava legato, accennava "alla sua pietà verso l'augustissimo sacramento". Il riconoscimento era certamente rivolto ad un suo specifico atteggiamento di pietà, ma anche alle opere che negli anni precedenti il D. aveva composto. Nel 1921 infatti, prima a puntate sul Boll. diocesano di Sabina, poi in volume, era uscito a Roma il saggio La passione di Nostro Signore; successivamente aveva dato alle stampe anche Della presenza reale di Gesù Cristo nell'Eucarestia, Roma 1922. Si trattava di opuscoli pastorali, rivolti ad alimentare la pietà dei fedeli e nei quali la trattazione teologica non esulava mai dalla problematica manualistica di quegli anni, con la manifesta preoccupazione di diffondere e difendere sempre le posizioni più tradizionali.
Le accoglienze riservategli a Genova dalle autorità civili lo confermarono ulteriormente nella sua già esistente simpatia verso il governo fascista. Divenne così, in quegli anni, uno dei più fervidi clerico-fascisti, giudicando in maniera molto negativa il contegno di opposizione del Partito popolare italiano e approvando la condotta di quei parlamentari che ne criticavano l'impostazione e caldeggiavano una diversa linea politica (E. Rossi, Il manganello e l'aspersorio, Bari 1968, pp. 83-91).
In occasione dell'anno santo fu incaricato di aprire (24 dic. 1924) e di chiudere (24 dic. 1925) la porta santa a S. Paolo fuori le mura. Nell'agosto 1924 era nominato amministratore di Poggio Mirteto divenendone poi vescovo il 3 giugno 1925.
Il D. morì, quasi dimenticato (Il cardinale Gasparri, p. 270), a Roma il 24 ott. 1928.
Fonti e Bibl.: necr. in La Civiltà cattolica, LXXIX (1928), pp. 275 s.; F. Crispolti, Corone e porpore, Milano 1936, pp. 221-26; Romana Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Pii Papae X disquisitio circa quasdam obiectiones modum agendi Servi Dei respicientes in modernismi debellatione una cum summario additionale ex officio compilato, Romae 1950, passim; P. Scoppola, Crisi modernista e movimento cattolico in Italia, Bologna 1961, ad Indicem; M. Torresin, Il cardinale A. C. Ferrari arcivescovo di Milano e s. Pio X, in Mem. stor. della diocesi di Milano, IX (1963), pp. 37-297; A. Durante, Mons. A. Caron e un periodo critico di storia genovese, Genova 1967, ad Indicem; L. Bedeschi, Il modernismo e R. Murri in Emilia e Romagna, Parma 1967, ad Indicem; Id., La Curia romana durante la crisi modernista, Parma 1968, pp. 109-21, 140-67; E. Poulat, Intégrisme et Catholicisme intégral, Tournai 1969, pp. 287 ss., 438 ss.; L. Bedeschi, Lineamenti dell'antimodernismo; il caso Lanzoni, Parma 1970, ad Indicem; Il cardinale Gasparri e la Questione romana (con brani delle memorie inedite), a cura di G. Spadolini, Firenze 1972, ad Indicem; E.Poulat, Catholicisme démocratie et socialisme, Paris-Tournai 1977, pp. 217 ss., 384-87; G. Mantese, Il cardinale vicentino G. D. a cinquant'anni dalla morte, in Odeo Olimpico, XV-XVI (1979-80), pp. 121 ss.