ERRICO, Gaetano
Nacque a Secondigliano, un sobborgo di Napoli, il 19 ott. 1791, da Pasquale, un piccolo fabbricante di maccheroni, e da Maria Marseglia. Secondogenito di nove figli, sin da piccolo dovette conoscere lo stato di miseria in cui si trovava il ceto popolare nel Regno di Napoli in quel periodo, sconvolto dalla ventata rivoluzionaria e dalle guerre napoleoniche. Quando l'E., a sedici anni, terminò gli studi primari, Napoleone era all'apice della sua potenza e il Regno di Napoli, come del resto gran parte dell'Italia, si trovava sotto l'egemonia francese.
Come l'E. stesso afferma in una relazione, scritta probabilmente intorno al 1828, verso il "quattordicesimo anno della mia età ... mi avviai ad intraprendere lo stato religioso" (Pennino, p. 522); ma le reiterate richieste di entrare a far parte, prima dei cappuccini, poi dei redentoristi, furono tutte respinte, probabilmente a causa della difficile situazione in cui si trovava il clero in quel particolare momento storico. Su suggerimento del suo confessore, Michelangelo Vitagliano, entrò nel 1808 nel seminario arcivescovile di Napoli, ove il 23 sett. 1815 ricevette l'ordinazione sacerdotale. L'anno successivo divenne maestro delle scuole primarie di Secondigliano, incarico che mantenne fino al 1835, quando fu nominato ispettore d'esame. La sua formazione seminaristica (1808-15) fu segnata dalla dottrina e dall'insegnamento di Alfonso Maria de' Liguori. E fu proprio seguendo questa impronta che l'E. tentò di riportare la fede verso forme più devozionistiche, cercando in tal modo di cancellare gli effetti del giansenismo, che alla fine del XVIII secolo e l'inizio del successivo si era diffuso nel Regno di Napoli. Così, al rigorismo giansenista che nel sacramento della penitenza negava ogni valore all'attrizione e limitava l'uso dell'eucarestia l'E. opponeva una predicazione atta ad introdurre una pratica frequente ed intensiva dei sacramenti; insisteva inoltre, seguendo sempre l'insegnamento liguoriano, sulla necessità della preghiera, considerata non solo come richiesta di grazie, ma anche e soprattutto come opera di Dio nell'uomo.
Una delle prime iniziative dell'E., già dagli anni del suo noviziato, fu quella di proporre la costruzione di una nuova chiesa a Secondigliano, dedicata all'Addolorata. Tale progetto incontrò subito forti difficoltà di carattere oggettivo: gli abitanti di Secondigliano erano pochi e una ennesima chiesa avrebbe recato diminuzione di presenze in quella parrocchiale. Inoltre, tra la popolazione, non pochi erano infastiditi dalle continue questue dell'E. che, mediante la predicazione e solenni processioni, si adoperava con instancabile attivismo per raccogliere la somma necessaria per attuare l'opera.
Le varie e controverse fasi della vicenda sono esposte minuziosamente dall'E. in una relazione scritta nel 1846, nella quale affermava che era stato lo stesso s. Alfonso Maria de' Liguori, apparsogli miracolosamente, ad ordinargli la costruzione della nuova chiesa dell'Addolorata, che fu comunque portata a termine e benedetta il 9 dic. 1830.Durante questi anni l'E. si applicò con zelo ad accrescere la devozione ai Ss. Cuori di Gesù e Maria. Introdotta fin dal XVII secolo e difesa, nel secolo successivo, da Alfonso Maria de' Liguori, al momento della nascita dell'E. tale devozione si era già largamente diffusa nel Regno di Napoli, nonostante le forti opposizioni da parte delle correnti filogiansenistiche; dopo la Restaurazione essa era già penetrata capillarmente nel Regno, non trovandovi più grosse ostilità. E fu in questo contesto che l'E. fondò nel 1834 la Congregazione dei missionari dei Ss. Cuori, con lo scopo di propagare, tramite il sacrificio e la preghiera, questa devozione. Ottenuta nel 1836 l'approvazione governativa per il suo primo ritiro e appoggiato dall'allora arcivescovo di Napoli F. Giudice Caracciolo e dal cardinal T. Riario Sforza, verso la fine dell'aprile 1838 l'E. si recò a Roma per ottenere anche l'approvazione pontificia; il progetto fu sottoposto alla congregazione dei Vescovi e regolari, la quale, riunitasi il 30 giugno 1838, decise però di differire la decisione. L'E. si vide così costretto, nella primavera del 1846, a tornare nuovamente a Roma, dove fu testimone indiretto della morte di Gregorio XVI, avvenuta il 31 maggio di quell'anno. Tale evento modificò i programmi dell'E. e prolungò di alcuni mesi la sua permanenza a Roma.
L'aneddotica e l'agiografia popolare parlano a questo punto di un'anticipazione profetica fatta dall'E. al cardinal Mastai Ferretti, riguardo alla futura elezione alla tiara di quest'ultimo. In seguito, grazie ad alcune relazioni influenti, l'E. ottenne un'udienza dal ncoeletto Pio IX e finalmente, il 7 ag. 1846, venne emanato il decreto pontificio di approvazione per i missionari dei Ss. Cuori.
La nuova congregazione, nonostante l'intenzione del suo fondatore fosse quella di costituire un ramo femminile, ebbe soltanto carattere maschile; essa si dimostrò, sia nello spirito che l'animava, sia nelle regole (che dovettero essere modificate, poi, dall'E. per l'eccessiva severità che le caratterizzava), sia nell'abito, molto simile a quella dei redentoristi, i quali pare che si fossero lagnati di ciò con Ferdinando II.
Se la confessione occupava uno spazio preminente nel lavoro apostolico dei nuovi missionari, il programma includeva una vera e propria evangelizzazione di una vasta zona dell'Italia meridionale compresa fra Campania, Basilicata, Lucania, Sannio, Molise e le Puglie. Le varie missioni - il cui obiettivo era quello di riguadagnare alla fede e alla devozione ampie fasce di popolazione che si trovavano nell'indifferenza (imputata dall'E. agli sconvolgimenti politici dell'epoca) - erano regolate da rigide norme di vita, quali il silenzio, la breve durata del sonno, la frugalità del cibo e la rarità delle visite. La severità fu infatti una delle caratteristiche dell'E. il quale, secondo varie testimonianze presentate al processo di beatificazione, faceva rientrare nei suoi metodi educativi anche la sferza.
Nel 1846, mentre si trovava a Roma attendendo l'approvazione pontificia, l'E. si rivolse al prefetto di Propaganda Fide chiedendo che i suoi missionari dei Ss. Cuori fossero utilizzati da quella congregazione. La richiesta ebbe esito positivo e, quando nel 1855 rimasero scoperte le missioni del Congo e dell'Angola, a causa di contingenti motivi politici che avevano determinato l'allontanamento dei cappuccini, Propaganda Fide si rivolse all'E., con una lettera datata 5 genn. 1856, offrendogli la possibilità di mandare i suoi missionari in quei luoghi. Nonostante l'entusiasmo dell'E. il progetto non ebbe alcun seguito; solo molti anni dopo la sua morte i missionari dei Ss. Cuori si recarono a svolgere opera di evangelizzazione in Argentina ed Uruguay, dove permangono tuttora.
Oltre ad un attivo apostolato che ebbe modo di mettere particolarmente in luce durante le epidemie coleriche del 1836-37 e del 1854, quando egli si prodigò molto per la popolazione, l'E. aggiungeva una accesa predicazione, caratterizzata da frequenti citazioni latine, continui riferimenti alla Passione di Cristo e ripetuti inviti alla devozione dei Ss. Cuori.
Ammalatosi gravemente di tifo polmonare, l'E. morì a Secondigliano il 29 ott. 1860.
Sedici anni dopo la sua morte furono inviati a Roma i processi ordinari diocesani; Leone XIII diede inizio alla causa di canonizzazione il 18 dic. 1884, dichiarando l'E. venerabile. Successivamente, il 4 ott. 1974, Paolo VI ne riconobbe l'eroicità delle virtù. Il processo di beatificazione è attualmente ancora in corso.
Convinto assertore del primato del pontefice, come garanzia dell'unità dei cattolici in un'epoca di forti attriti politici e sociali che avevano notevoli ripercussioni anche nella vita della Chiesa, l'E. si mostrò sempre ostile ai movimenti liberali e, in particolare, si scagliò contro le sette, come la carboneria, molto diffusa nel Regno. Secondo alcune testimonianze raccolte nei processi informativi della causa di beatificazione, nel 1820 egli, proprio per questa tenace opposizione, aveva subito violenze fisiche. L'atteggiamento antiliberale fu dall'E. confermato anche in punto di morte, quando egli si oppose al plebiscito per l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna: non solo si rifiutò di andare a votare, ma si mostrò fortemente contrariato nel sapere che altri confratelli si erano recati alle urne.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. della S. Congregaz. di Propaganda Fide, Congo 7, f. 526; Ibid., Lettere e decreti... gennaio 1856, 347, f. 7; Beatificationis et canonizationis ven. servi Dei Caietani E., I-VII, Roma 1883; V. M. Pennino, Lettere del ven. G. E., Napoli 1908 (contiene anche due relazioni dell'E. datate 1828); Sacrae Congregationis de Propaganda Fide memoria rerum 1622-1972, III, 1, Rom-Freiburg-Wien 1975, p. 258; N. Angelini, Vita del ven. G.E., Napoli 1908; S. Loffredo, G.E. (da docum. ined.), Napoli 1975; K. Bihlmeyer-H. Tuechle, Storia della Chiesa, IV, Brescia 1983, p. 204; G. Russo, Il carisma di G. E., Napoli 1984; Enc. catt., V, col. 519; Dictionn. D'hist. et de géogr. eccles., XV, coll. 815 s.; Diz. degli istituti di perfezione, III, coll. 1268 s.; V, col. 1472.