FERRI, Gaetano
Nacque a Bologna il 23 sett. 1822 da Domenico, scenografo, pittore e architetto, e da Clementina Nicoli. Adolescente, fu avviato allo studio della pittura dal padre che seguì a Parigi intorno al 1840, ove frequentò l'atelier del pittore Fr. Bouchot. Nel 1842 si recò a Roma per ultimare la sua formazione accademica.
In merito ad una sua presunta attività di scenografo che avrebbe svolto agli inizi della carriera, eseguendo alcuni lavori per il teatro Apollo di Roma nel 1828 (Encicl. dello spettacolo), è fuori dubbio che non possa trattarsi di lui, nato sei anni prima, ma di un omonimo Gaetano Ferri, attivo nella prima metà del sec. XIX, ornatista, prospettico ed insegnante di tali discipline al liceo di belle arti di Macerata.
Secondo la testimonianza di C. F. Biscarra, collega del F. all'Accademia di Torino, raccolta e pubblicata da Stella (1893, p. 390, n. 1), il pittore, per motivi di salute, visse alcuni anni nell'isola di Hyères e successivamente si trasferì a Nizza, ove conobbe e frequentò P. Delaroche, artista assai noto in Francia ai suoi tempi, che esercitò su di lui, come su altri giovani pittori dell'ambiente artistico torinese, quali A. Gastaldi, un'innegabile influenza.
Gli anni del soggiorno a Nizza furono quindi decisivi per la formazione dello stile figurativo del F. che, sull'esempio del Delaroche, approfondì la tematica storicistica e patriottica dei soggetti, valendosi, per la resa formale, di suggestive citazioni e di richiami alla grande pittura del passato.
Alla fine degli anni Quaranta il F. iniziò a partecipare alle esposizioni ufficiali indette dalla Società promotrice delle belle arti di Torino (Maggio Serra, 1991, I, p. 65).
Da Nizza inviò alla Società nel 1849 il dipinto di soggetto patriottico raffigurante un Giovane ucciso da una pallatedesca (episodio della guerra italianadel 1848), che venne acquistato dalla Società stessa. L'anno successivo, all'Esposizione del Valentino del 1850, presentò tre dipinti, tra cui Iacopo Foscari incarcere, acquistatodalla regina, e ben sei quadri espose alla mostra della Permanente del 1851. Nel 1853 una sua opera intitolata Le pastorelle emigranti in riposo, ambientata in un paesaggio del circondario di Nizza, luogo che nel catalogo della Promotrice figurava ancora come residenza del pittore, veniva comprata dal re Vittorio Emanuele II e dalla regina Maria Adelaide.
Il trasferimento del F. a Torino fissato al 1852 dalle fonti ottocentesche (Stella, 1893, p. 390) va dunque posticipato di qualche tempo e collegato alla complessa preparazione del dipinto Illutto del Piemonte (datato 1855: Torino, Palazzo reale), raffigurante un tema di storia contemporanea quale la morte di Carlo Alberto, che il F. andava elaborando per ottenere definitivamente il favore della corte sabauda.
Il quadro, considerato in assoluto il suo capolavoro, evidenzia in pieno l'evoluzione del pittore verso un linguaggio di decisa tendenza accademica, capace di interpretare le istanze culturali della politica preunitaria di Carlo Alberto e del suo successore Vittorio Emanuele II. L'opera, che costò all'artista circa due anni di lavoro - come testimonia un disegno preparatorio del dipinto datato 1854 e conservato alla Galleria civica d'arte moderna di Torino -, fu presentata all'Esposizione universale di Parigi del 1855 con il titolo La nouvelle de la mort du roi Charles-Albert e gli valse la medaglia di terza classe in oro (Lamberti, 1980, p. 654). Una volta rientrato in Italia, il dipinto fu acquistato dal re nel febbraio del 1856 e collocato nelle collezioni di quadri moderni del palazzo reale (Rovere, 1858). Il successo dell'opera, ampiamente sottolineato dalle cronache contemporanee (Gazzetta piemontese, 1856, n. 58; Volo, 1856, p. 6), risiede proprio nella complessa, ma sostanzialmente unitaria orchestrazione di colti riferimenti accademici, non privi di spunti veristici, che vanno dal taglio compositivo della scena, desunto dall'iconografia seicentesca della "cena in Emmaus", al gusto fiammingo della natura morta raffigurata in primo piano, fino al sapiente uso della luce e del chiaroscuro, di esplicita matrice caravaggesca (Lamberti, 1980, p. 654).
Nel 1856, appena trentaquattrenne, il F. fu chiamato a ricoprire l'ambita cattedra di pittura, accanto a C. Arienti, presso l'Accademia Albertina di Torino che, da istituzione direttamente legata alla corte, si andava in quegli anni trasformando in una più autonoma e libera scuola d'insegnamento, grazie alle riforme attuate dal direttore, F. Arborio Gattinara marchese di Breme.
Il Breme, che come presidente della Società promotrice di belle arti aveva avuto modo di conoscere l'ambiente artistico contemporaneo, operò un totale ricambio della precedente generazione albertina, chiamando alle cattedre di pittura e disegno, oltre al F., giovani artisti, come A. Gastaldi ed E. Gamba, che si erano segnalati alle esposizioni nazionali ed estere con opere improntate ad una dichiarata funzione didattica e civile della pittura, rivelandosi sensibili interpreti della politica culturale sabauda.
Mentre esponeva a Parigi Il lutto del Piemonte, il F. aveva inviato nel 1855 alla Promotrice La novena dei pifferai, collaborando, nello stesso anno, all'allestimento degli apparati funebri per le regine Maria Teresa e Maria Adelaide (Lamberti, 1980, p. 1440). In questi anni continuò ad esporre alla Società promotrice dipinti di genere, quali L'aspettativa (1856), L'orfana abbandonata e L'orfana raccolta (1857), La preghiera alle tre età della donna (1858), opera che fu poi acquistata dalla Camera di commercio di Genova (Arte illustrata, 1896, p. 81). Nel 1858 prese parte con il padre Domenico al restauro del castello del Valentino, assumendo la direzione degli interventi sulle pitture.
Insegnante da due anni all'Accademia Albertina, il giovane F. si valse dell'aiuto di alcuni allievi per l'esecuzione della tela raffigurante la Fama che regge lo stemma di madama reale, nella volta della sala detta delle Rose o della duchessa Cristina di Francia. Nella sala del Valentino, affrescata da Isidoro Bianchi nella volta, con il tema allegorico del fiume Po attorniato dalle personificazioni delle costellazioni, in parte dipinte e in parte eseguite a stucco, il F. ed allievi aggiunsero, sulle pareti, un fregio con otto figure di regnanti di casa Savoia che nel passato avevano prescelto il castello del Valentino a loro dimora preferita, contribuendo alle opere edificatorie e decorative del complesso monumentale. Nei dettami della più diffusa agiografia sabauda, i ritratti del duca Emanuele Filiberto e di Margherita di Valois, di Carlo Emanuele I e di Caterina d'Austria, di Vittorio Amedeo I e di Cristina di Francia, di Carlo Emanuele II e di Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours furono eseguiti in modo da accompagnare e riprendere lo stile decorativo dell'ambiente, imitato perfino nell'intonazione coloristica dei personaggi (Vico, 1858, pp. 89 s.).
Nell'ambito delle commissioni ufficiali, il F. ottenne l'incarico di realizzare, per la decorazione del nuovo scalone del palazzo reale di Torino progettato dal padre Domenico, il dipinto raffigurante Il matrimonio della marchesa Adelaide di Torino con Oddone conte di Savoia (1864-65). Nello stesso periodo lavorò al quadro La principessa di Lamballe condotta al supplizio esposto alla Promotrice del 1866, che fu acquistato dal re del Portogallo per il suo matrimonio con la principessa Maria Pia di Savoia. Sedici disegni dell'artista, di cui alcuni si riferiscono a quest'ultimo dipinto, sono conservati alla Galleria civica d'arte moderna di Torino.
Nel giugno del 1871, per ragioni di salute, lasciò l'insegnamento all'Accademia di belle arti (così che fu necessario sopprimere una delle due cattedre del corso di pittura) e si ritirò a vivere in Liguria, ad Oneglia, ove morì il 31 ag. 1896 (Anfossi-De Moro, 1992, p. 61, n. 414).
L'opera pittorica del F. di più vasto respiro ed impegno compositivo va ricondotta alla tematica sabauda della pittura di storia - i cui presupposti risalgono a idee e programmi già elaborati negli anni Trenta dell'Ottocento dalla politica albertina - che il F. interpretò secondo i dettami di un romanticismo moderato, alla Delaroche, con accenti di più intenso pathos sentimentale e retorico.
Il F. si dedicò anche alla pittura di genere, al ritratto e alla natura morta, nei dipinti indirizzati soprattutto alla committenza privata. Per quanto riguarda una sua presunta attività di decoratore di interni di chiese - con esiti del tutto accettabili (Mallé, 1974, p. 429) - sembra non essere stata finora esaminata; e andrebbe comunque approfondita in parallelo ai lavori eseguiti in questo settore dal fratello Augusto e dal padre Domenico, con i quali spesso si sono generati fraintendimenti e confusioni.
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio arcivescovile, Battesimi, anno 1822; Necr., in L'Arte illustrata, II (1896), p. 81; Belle arti. Di un dipinto del signor G. F. acquistato da S. M. il re di Sardegna ed esposto nelle sale del r. palazzo in Torino, in Gazzetta piemontese, 7 marzo 1856; G. Volo, Sulla pubblica mostra di belle arti di Torino nel 1856, in Panorama universale, 12 apr. 1858, p. 6; C. Rovere, Descrizione del reale palazzo di Torino, Torino 1858, pp. 172, 175; G. Vico, Il r. castello del Valentino, Torino 1858, pp. 87-90; A. Stella, Pittura e scultura in Piemonte 1842-1891, Torino 1893, pp. 390 s.; L. Mallé, Le arti figurative in Piemonte dal sec. XVII al sec. XIX, Torino 1974, p. 429; M. M. Lamberti, G. F.,in Cultura figurativa e architettonica negli Stati del re di Sardegna 1773-1881 (catal.), a cura di E. Castelnuovo-M. Rosci, Torino 1980, II, p. 654 n. 717; III, p. 1440; L'Accademia Albertina di Torino, a cura di F. Dalmasso-P. L. Gaglia-F. Poli, Torino 1982, pp. 39, 41, 52; R. Maggio Serra, La pittura in Piemonte nella seconda metà dell'Ottocento, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, I, pp. 65 s., fig. 64; A. Casassa, G. F., ibid., II, pp. 823 s.; M. Anfossi-G. De Moro, I colori dell'Ottocento tra Riviera e Côte d'Azur. La visione e l'immagine nell'opera di L. Varese (1825-1889), Imperia 1992, p. 61, n. 414; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI,pp. 482 s.; Encicl. dello spettacolo, V, col. 216.