Gaetano Filangieri
Filangieri è una figura di primo piano nell’Europa della seconda metà del Settecento: riceve a più riprese Goethe e intrattiene rapporti con il fior fiore dell’intellettualità europea. I suoi lavori vengono tradotti in molte lingue straniere (Venturi 1962). La sua opera principale, La scienza della legislazione, è una costruzione intellettuale lucidamente utopica e al contempo tecnicamente raffinata e moderna; tra l’altro, essa mette in rilievo l’interdipendenza delle leggi della politica e dell’economia, delinea un’analisi del sistema economico di impronta fortemente fisiocratica, aperta alla concorrenza e al libero scambio, e individua per l’Europa e per Napoli l’urgenza di una radicale riforma agraria.
Gaetano Filangieri nacque a Cercola, presso Napoli, il 18 agosto 1752, terzogenito di Cesare, principe di Arianello, e di Marianna Montalto dei duchi di Fragnito. Nella sua infanzia, al primo approccio con lo studio, la pedanteria dei precettori indusse in lui un tale rigetto che i genitori ebbero a dire al nuovo precettore, Luca Nicola De Luca, «che poco o nulla curato si fosse di lui, poiché dimostrava sì poca inclinazione alle lettere, che altra speranza non rimanea che di consegnarlo a Marte» (L. Giustiniani, Memorie storiche del cavalier Gaetano Filangieri, in G. Filangieri, La scienza della legislazione, 1789 [ma 1799]). Il precettore, dedicatosi esclusivamente ai fratelli di Gaetano, rimase però colpito quando egli risolse in vece loro una dimostrazione di geometria. Da allora De Luca – ecclesiastico intellettualmente vivace, grande estimatore di Antonio Genovesi – prese a cuore la formazione del giovane che progredì negli studi evidenziando straordinarie potenzialità.
Seguendo il rituale dei figli cadetti, nel 1759, a sette anni, Filangieri è sottotenente del reggimento di fanteria Abruzzo Ultra, nel 1760 alfiere del reggimento Principato Ultra e nel 1768 tenente. Ma già nel 1769 chiese e ottenne la dimissione dalla carriera militare per dedicarsi alla formazione letteraria e giuridica.
Nel 1776 il ministro Bernardo Tanucci venne esautorato e da allora le aspirazioni riformiste furono via via disattese. Il disagio di Filangieri a corte è espresso in molte occasioni: «La mia vita molto ritirata non mi garantisce del contatto degli ippocriti e de’ malvagi di professione» (lettera a Friedrich Münster, 1787, cit. in Venturi 1962, p. 781). Tanto che nel 1782 manifesta a Benjamin Franklin l’aspirazione a lasciare Napoli per approdare in Pennsylvania, a Filadelfia, l’agognata «città dei fratelli», ove sogna di partecipare alla realizzazione di quell’ordine ideale che è proprio l’oggetto della sua Scienza della legislazione.
È questa una pulsione che lo vide ispiratore e partecipe – sia pur da lontano – della fondazione in Calabria di una nuova Filadelfia sulle rovine del villaggio di Castelmonardo, distrutto dal terremoto del 1783. Un’avventura massonica, complessa, nella quale antropologia, politica e urbanistica si intrecciano per realizzare nella Magna Grecia una ‘città dei fratelli’ gemella di quella fondata da William Penn nel «Nuovo Mondo» (Cuomo 2009).
Nel 1788, con il permesso reale, Filangieri si trasferiva nel castello della sorella Teresa a Vico Equense nella speranza di trovare sollievo, nel clima della costiera sorrentina, dalla tisi che l’aveva colpito sin dal 1781; qui venne a mancare l’11 luglio, a soli trentasei anni.
L’ultima lettera di Franklin, che accompagna una copia della Costituzione degli Stati Uniti, raggiunse Filangieri ormai morente; a rispondere all’amico americano sarà la vedova, informandolo del triste evento.
Il 20 settembre di quell’anno le logge napoletane di rito inglese celebrarono in onore di Filangieri una messa massonica, durante la quale venne ricordato dagli amici più intimi (Francesco Mario Pagano, Donato Tommasi e Domenico Cirillo), in un clima di intensa e commossa partecipazione.
Ma la vicenda napoletana di Filangieri non poteva concludersi con la morte; dieci anni dopo, il 1° giugno 1799, negli ultimi giorni della Repubblica napoletana, una solenne seduta della Sala di istruzione fu dedicata alla sua memoria. Ciò costerà alla sua famiglia l’esilio in Francia, dove nel 1800 i figli e la vedova – con decreto del 20 brumaio, anno IX – furono adottati dalla Repubblica, e l’allora primo console Napoleone Bonaparte rese omaggio a «ce jeune homme, notre maître à tous».
I frutti delle eccezionali capacità intellettuali di Filangieri non avevano tardato a manifestarsi. Non ancora ventenne, nel 1771, egli espone infatti un progetto sull’educazione al letterato svedese Jacob Jonas Björnståhl, allora in visita a Napoli, che ne fa grandi lodi nelle sue lettere; nel 1772 invia a un influente studioso palermitano, l’abate camaldolese Isidoro Bianchi, un testo sulla Morale de’ legislatori, nel quale sono evidenti le anticipazioni dei temi che saranno poi oggetto della Scienza. Nel 1773, in occasione del suo unico importante viaggio fuori Napoli, intrapreso per incontrare lo zio Serafino, allora arcivescovo di Palermo, conosce di persona e instaura una solida amicizia con l’abate Bianchi, che lo definirà «ape operosa».
Nel 1774 dedica al ministro Tanucci le Riflessioni politiche su l’ultima legge del sovrano, che riguarda la riforma dell’amministrazione della Giustizia, nelle quali argomenta con lucidità e forza il suo appoggio alla prammatica con cui si impone ai magistrati del Regno di produrre la motivazione scritta delle sentenze promulgate. È un’adesione entusiasta all’azione del ministro ‘filosofo’ che anticipa quanto Filangieri sintetizzerà nella Scienza della legislazione con l’efficace motto «la filosofia in soccorso de’ governi».
Nel 1780 pubblica i primi due volumi di quest’opera, «ed il Sovrano per vieppiù incoraggiare l’Autore e studj così laboriosi e geniali gli conferì una Commenda, ed un Priorato dell’ordine Costantiniano» (D. Martuscelli, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, 1819). La Scienza è l’opera della maturità; in essa confluiscono e vengono sviluppate tutte le suggestioni e le anticipazioni dei suoi lavori giovanili.
È in questi anni che Filangieri aderisce alla massoneria di rito inglese, una militanza che lo porterà al ruolo di Gran maestro e a intessere una fitta rete di relazioni in Europa e nel Nuovo Mondo. In particolare, solida è la relazione a distanza con Franklin, che durante il suo soggiorno a Parigi, negli anni della guerra di indipendenza americana, fu autorevole membro della loggia Les neuf sœurs.
La Scienza, avversata dai circoli del potere napoletani e condannata nel 1784 dalla Congregazione dell’Indice, ebbe subito una fortuna enorme in Italia, con testimonianze di stima di eminenti contemporanei come Bianchi e Pietro Verri (che gli scrisse: «ho sentito la voce di Ercole nelle pagine della Scienza della legislazione»), e un’altrettanto consistente in Europa, con gli encomi della Società economica di Berna (noto centro di cultura fisiocratica) e le traduzioni tedesca del 1784, francese del 1786, spagnola e – parziali – russa e svedese. Franklin ricevette a più riprese copie dei diversi volumi della Scienza grazie a Luigi Pio, segretario dell’ambasciata del Regno di Napoli in Francia.
L’interesse di Franklin ha risvolti anche operativi: egli infatti considera il lavoro di Filangieri un modello cui ispirarsi sia per la redazione della legislazione criminale in Pennsylvania sia per la più impegnativa missione di elaborare la Costituzione del nuovo Stato federale. Si stabilisce tra i due un rapporto epistolare, e Franklin fa pervenire a Filangieri il testo Constitutions des treize États-Unis de l’Amérique (Il mondo nuovo e le virtù civili, 1999; Embassy of Italy 2011). La copia commentata da Filangieri (al pari di iniziali stesure di altri due progetti: Nuova scienza delle scienze e Istoria civile e universale perenne) è andata smarrita, forse distrutta nel saccheggio e rogo del suo palazzo che fecero seguito alla caduta della Repubblica napoletana nel 1799.
Quali sono i soli oggetti che hanno fino a questi ultimi tempi occupato i sovrani di Europa? Un arsenale formidabile, un’artiglieria numerosa, una truppa ben agguerrita, […] calcoli […] diretti […] alla soluzione di un solo problema: trovar la maniera di uccidere più uomini nel minor tempo possibile […]. È più di mezzo secolo che la filosofia declama contro questa mania militare […]. La scena si è mutata […], le buone leggi sono l’unico sostegno della felicità nazionale […]. Il popolo non è più schiavo, ed i nobili non ne sono più i tiranni […]. Per questo fine la filosofia è venuta in soccorso dei governi […]. Tutto è mutato. […] L’Europa […] per undici secoli il teatro della guerra e della discordia […] oggi è divenuta la sede della tranquillità e della ragione […] ma niuno ci ha dato ancora un sistema compiuto e ragionato di legislazione, niuno ha ancora ridotta questa materia ad una scienza, unendo i mezzi alle regole, e la teoria alla pratica. Questo è quello che io intraprendo di fare in quest’opera, che ha per titolo La Scienza della Legislazione (La scienza della legislazione, libro I, 1780, Introduzione).
Il progetto si articola in sette libri: Regole generali; Leggi politiche ed economiche; Leggi criminali; Educazione, costumi e istruzione pubblica; Religione; Proprietà; Patria potestà e buon ordine delle famiglie. Solo i primi quattro furono pubblicati durante la vita di Filangieri, tra il 1780 e il 1785, mentre il quinto uscì postumo nel 1791, e gli ultimi due non furono mai scritti.
L’opera ha una singolare e robusta geometria, che collega i diversi temi specifici ad assiomi e principi generali («astratti, universali»), i quali disegnano a loro volta un perimetro definito e coerente, che ben legittima la definizione di scienza.
La base assiomatica e l’individuazione di una meccanica che governa i principi generali costituiscono il metodo operativo della Scienza, che ha lo scopo di realizzare, caso per caso, nazione per nazione, un razionale – diremmo oggi ‘ottimale’ – progresso incrementale verso la «felicità».
L’assiomatizzazione proposta è riconducibile a due «principii», ingredienti essenziali nel percorso verso la felicità, i quali rappresentano «la base dell’edificio che si vuole innalzare»: il principio di conservazione e il principio di tranquillità; «questo è il primo dato e questo e non altro è l’oggetto unico ed universale della scienza della legislazione» (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro I).
L’originalità di Filangieri non risiede tanto nell’individuazione dei principi quanto nel peculiare modo funzionale che li incastona nel modello. Agli assiomi – i principi universali – egli affianca la distinzione operativa tra «bontà assoluta» e «bontà relativa», individuando in esse le regole fondamentali che consentono di dare certezze di metodo all’analisi delle leggi: «distinguere la bontà assoluta [...] dalla bontà relativa» impone il compito di distinguere «l’armonia che deve avere la legge co’ principi della natura, dal rapporto che essa deve avere con lo stato della nazione alla quale si emana [...] sviluppando i principii più generali che deve avere ogni legge» (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro I).
In questa metodologia, si legittima la netta presa di distanza (tipica peraltro del neoplatonismo napoletano) dalle teorie dello stato di natura e dal contrattualismo di Jean-Jacques Rousseau, a favore della lezione vichiana della nascita ed evoluzione della società civile; vi è altresì il distacco da Montesquieu, «un uomo, che ha pensato prima di me, e che co’ suoi errori istessi mi ha istruito»; un suo maestro riconosciuto, che, nel rapporto delle leggi con lo stato della società ne cerca lo spirito per comprendere la ragione di quanto si è fatto, laddove, precisa Filangieri, io cerco «le regole di quello che si deve fare» (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro I).
Nella Scienza, proprio il principio di comparazione tra «bontà assoluta» (che allude al diritto naturale, giusnaturalismo) e «bontà relativa» (attinente al diritto positivo, giuspositivismo), fa convivere metodo razionale e conoscenza storica, rivendicando coerenza tra i principi assoluti della ragione e quelli, forzatamente relativi e contingenti, che si rapportano ai costumi delle nazioni e alla loro storia. La proposta di una relazione tra razionalità astratta e realtà, più che un’irrisolta oscillazione tra giusnaturalismo e giuspositivismo ne propone il superamento. Polemizzando con l’Encyclopedie di Denis Diderot e Jean-Baptiste d’Alembert, in una lettera al conte Giulio Tomitano del 1785, Filangieri afferma che
tutte le verità hanno un nesso tra di loro; e questa catena di continuo interrotta agli occhi degli uomini è così continuata nella suprema intelligenza della Divinità che tutto il sapere di essa si riduce ad un principio unico ed indivisibile.
La riforma positiva della legislazione, dunque, nelle sue molteplici manifestazioni, per il mutare di tempi e di luoghi, condizionata dalle tante storie, deve procedere comunque e sempre consapevolmente ispirarsi ai principi della natura umana, che è caratterizzata dalla ragione come tratto universale. I principi della legislazione che ovunque governano – nei vari stadi e nelle varie forme – le singole comunità debbono mirare a conseguire una progressiva conquista di questa universalità. Individuare i tempi e i metodi di tale percorso è appunto il compito che si prefigge una scienza consapevole.
Nel progresso concreto del sistema di leggi sta il progredire della felicità nazionale, il cui conseguimento è il fine vero del governo, che lo consegue non genericamente ma come somma di felicità dei singoli individui: un aspetto decisivo, quest’ultimo, perché pone la centralità della giustizia distributiva e – di conseguenza – il senso e il segno della potestà redistributiva del governo.
L’aspirazione alla felicità è un tratto che certo accomuna Filangieri alla tradizione del pensiero illuminista in generale, ma in particolare a quello napoletano e alle sue radici neoplatoniche. Coerentemente, il dettagliato progetto di dissoluzione del feudalesimo identificato nella Scienza rappresenta il percorso contingente di questa ricerca della felicità, ma prospetta al contempo l’originale, disarmante approdo a un sistema sociale ‘assoluto’ che aspira a instaurare in forme egualitarie e universali una laicità normale, opposta alla retorica, orgogliosa affermazione di potenza verso la quale stava incamminandosi altrove la costruzione del nuovo ordine antifeudale.
Si comprende allora a pieno il caustico, radicale dissenso, il netto rifiuto del modello di riforma sociale di stampo inglese. Certo tale rifiuto è condizionato dall’insofferenza – come cittadino di un Regno sfruttato, subalterno alla potenza commerciale britannica – per quel popolo «che non si era contentato di diventare ricco, ma che ha cercato di essere il più ricco» (libro II, 1780, capo XX); ma al contempo la trascende. Si configura chiaramente, infatti, la contrapposizione tra due modelli: quello inglese del ‘diritto alla proprietà’ (che sarà poi diritto all’appropriazione) e la proposta etica del ‘diritto alla felicità’, che, non casualmente, brilla nella Dichiarazione di indipendenza americana del 1776, alimentando – forse a ragione – il mito di una diretta ascendenza filangeriana.
Nella sua compatta organicità, il disegno della Scienza instaura nel secondo volume la stretta interdipendenza delle leggi della politica e dell’economia. «Due sono gli oggetti di queste leggi, la popolazione e le ricchezze. [...] Il loro numero è sempre relativo alla loro felicità. [...] Questi due oggetti che compongono la felicità nazionale son dunque reciproci» (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro II).
Il problema – a ben vedere – si risolve nell’individuazione delle condizioni di fondo necessarie allo sviluppo, il cui metro e qualità trovano riscontro nella dimensione demografica, e cioè nella capacità di stimolare e favorire una crescita ‘adeguata’ della popolazione («tutto è inutile per incoraggiare la popolazione quando non si tolgono gli ostacoli») che si accompagni a una virtuosa, «equabile» distribuzione delle risorse (libro II, 1780, capo XXXV).
La visione di Filangieri dell’economia guarda al sistema e non ai comportamenti degli attori, tema che sarà invece centrale nell’analisi successiva delle leggi criminali. Tale analisi del sistema economico è di impronta fortemente fisiocratica, aperta alla concorrenza e al libero scambio, e individua per l’Europa e per Napoli l’urgenza di una radicale riforma agraria che moltiplichi il numero dei proprietari rispetto ai «mercenari», apra l’accesso alle risorse produttive, liquidi il congelamento sterile delle ricchezze determinato dalla concentrazione della proprietà fondiaria, che convoglia il prodotto nelle enormi capitali procurando l’indigenza e la sterilità dei vuoti territori esterni (Economisti napoletani dei secc. XVII e XVIII, 1937). La causa della stagnazione dell’economia è vividamente indagata alla luce di norme e costumi civili (fidecommessi, primogeniture) che alimentano la deriva monastico-militare della società, inibiscono e opprimono la libertà di impresa e il fiorire della manifattura e del commercio, e bloccano con il regime dei diritti di maestranza il benefico esplicarsi della concorrenza e il prevalere del merito.
Individuati gli ostacoli, è compito della legislazione trovare i mezzi per superarli e far fiorire, insieme all’agricoltura,
l’industria, il commercio, il lusso, le arti [...] divenuti i più fermi appoggi della prosperità dei popoli. [...] Da che le ricchezze non corrompono più i popoli, poiché esse non sono più il frutto della conquista, ma il premio di un lavoro assiduo, [...] le ricchezze, e i canali che le trasportano, sono con ragione divenuti il primo oggetto della legislazione: […] bisogna ben ripartirle, equabilmente diffonderle (libro I, 1780, Piano ragionato dell’opera. Libro II).
Se popolazione e ricchezza – oggetti ai quali si applicano le leggi e le politiche – si rapportano al principio cardine della conservazione, «la sicurezza e la tranquillità sono lo scopo delle leggi criminali»; il libro III è quindi dedicato all’altro principio cardine, quello della tranquillità.
Tema centrale di questo libro è quello, classico, della corrispondenza e proporzionalità tra reati e sanzioni (libro III, 1783, capo XXV). Una disamina minuta, sottilmente argomentata, dove non è la motivazione della vendetta o dell’espiazione di un peccato ma l’interesse della società a dettare i criteri ottimali di condotta, atteso che nella contabilità della felicità pesano negativamente sia l’infrazione di un diritto sia la somministrazione di una pena. Se in questo terreno Filangieri affianca l’analisi di Verri, la differenza rispetto a quest’ultimo (oltre a quella di ammettere in casi estremi il ricorso alla pena capitale) è nella metodologia adottata che, nel bilanciamento costi/benefici dell’osservanza della norma, prefigura in modo originale l’approccio che sarà molto più tardi alla base della scuola della Law and economics: «La sanzione penale è quella parte della legge colla quale si offre al cittadino la scelta o dell’adempimento di un sociale dovere o della perdita di un sociale diritto» (libro III, 1783, capo XXVI).
In particolare, l’anticipazione di Filangieri delle moderne formalizzazioni dell’economia neoclassica si trova nella qualificazione in senso marginalistico dell’approccio utilitaristico (libro III, 1783, capo XXX). Un marginalismo del tutto originale, in assoluto e non solo rispetto ai tempi (Simon 2009), e che si manifesta non per caso in questo libro piuttosto che in quello precedente, dove l’economista sarebbe oggi propenso a proporlo.
In realtà la ragione evidente è che l’economia classica – alla quale Filangieri si conforma, senza pretese di innovare nel metodo – guarda al sistema più che ai comportamenti, laddove è nell’analisi giuridica che il tema delle preferenze, dei gusti e dei comportamenti si pone al centro dell’indagine.
Quello di Filangieri è un esemplare modello di filantropia (l’aspirazione a una ‘libera filantropia in libero mercato’). Un modello nel quale la rigorosa applicazione graduale della logica universale conduce al progresso; coerentemente, la Scienza mai cede a tentazioni consolatorie e di generico umanitarismo, di comodo mecenatismo di censo o compassionevole populismo. Da ‘illuminato’, Filangieri non soggiace al fascino del particolarismo localistico, né al richiamo dei valori connessi a tradizioni e costumi. Ma, simmetricamente, alla severa distanza ‘dal popolo’ corrisponde l’altrettanto severa e determinata affermazione dei diritti ‘del popolo’, in particolare quello all’educazione, universale e pubblica: «Per formare un uomo io preferisco la domestica educazione; per formare un popolo io preferisco la pubblica» (libro IV, 1785, capo II).
Il modello opera a questo proposito una significativa distinzione di genere, sostenendo, per le donne, che l’istruzione pubblica «le renderebbe meno familiari, rendendole più sociali. [...] L’educazione domestica è la sola che loro convenga», e che «formando gli uomini, la legge verrebbe a formare indirettamente anche le donne» (libro IV, 1785, capo XXXIV).
L’analisi condotta nel libro IV è un tassello fondamentale per comprendere il disegno complessivo al quale si allude nel libro V – pubblicato postumo nel 1791 – che esplora «la nuova religione» (libro V, capo VIII). Traspare un modello che da esoterico può farsi progressivamente essoterico, in misura dell’efficacia dell’educazione universale e pubblica, alla quale si affida la divulgazione dei fondamenti della scienza della felicità. L’istruzione universale nel lungo periodo educa all’osservanza delle norme essenziali per la «conservazione» e la «tranquillità»; il declino dei delitti e delle pene consente di avvicinarsi all’età dell’oro (simile al bliss che l’economia neoclassica individua come traguardo asintotico dei suoi percorsi); è allora che
il misterioso velo dovrebbe squarciarsi; allora il legislatore dovrebbe pubblicare la nuova religione e dichiararla religione di stato e di governo [...] la coazione, la violenza non dovrebbero avervi alcuna parte (libro V, 1791, capo VII).
L’egemonia della ragione perseguita da Filangieri, la sua intrinseca filantropia configurano certo un’aspirazione all’universalità in senso neoplatonico. Filangieri non ama il pragmatismo inglese, plaude alla Rivoluzione americana che porta ‘in terra’ la sua utopia. Questa filantropia fu subito sottoposta alla prova dei drammatici eventi storici che seguirono alla sua scomparsa, quando i suoi amici più cari ressero la Repubblica napoletana.
Postuma a Filangieri, per sua fortuna, l’esperienza della Repubblica si ispira alla Scienza, promuovendo un riformismo che sarà il tratto caratterizzante di quella tragica esperienza.
Il cauto gradualismo della Scienza alla conquista della felicità rivela, alla prima mediazione tra «bontà assoluta» e «bontà relativa» della legislazione, tutta la sua portata radicale e rivoluzionaria. E la spietata sanzione comminata dalla restaurazione impone con brutale realismo un drammatico confronto con l’affermazione di Filangieri che
il filosofo deve essere l’apostolo della verità, e non l’inventore de’ sistemi. [...] Finché la verità conosciuta da pochi uomini privilegiati sarà nascosta alla più gran parte del genere umano [...] il dovere del filosofo è di predicarla, di sostenerla, di promuoverla, di illustrarla. Se i lumi che egli sparge non sono utili pel suo secolo e per la sua patria, lo saranno sicuramente per un altro secolo e per un altro paese (libro II, 1780, capo XXXVIII).
La scienza della legislazione, ed. critica diretta da V. Ferrone, 7 voll., Venezia 2003, 20042.
Economisti napoletani dei secc. XVII e XVIII, a cura di G. Tagliacozzo, Bologna 1937.
F. Venturi, Gaetano Filangieri. Nota introduttiva, in La letteratura italiana. Storia e testi, diretta da R. Mattioli, P. Pancrazi, A. Schiaffini, 46° vol., Illuministi italiani, t. 5, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, pp. 603-59.
G. Galasso, La filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli 1989.
E. Lo Sardo, Filangieri Gaetano, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 47° vol., Roma 1997, ad vocem.
E. Lo Sardo, Il mondo nuovo e le virtù civili. L’epistolario di Gaetano Filangieri, Napoli 1999.
F. Simon, Il marginalismo giuridico di Gaetano Filangieri, «Studi e note di economia», 2009, 2, pp. 243-67.
Si vedano inoltre:
E. Cuomo, Filangieri e il sogno di Philadelphia, «Innovazione e diritto, rivista on-line», Università degli studi di Napoli Federico II-Facoltà di Giurisprudenza, 2009, 3, http:// www.innovazioneediritto.unina.it/archivionumeri/0903/cuomo.html (22 maggio 2012).
Embassy of Italy, Gaetano Filangieri and Benjamin Franklin: between the Italian enlightenment and the U.S. constitution, sotto la direzione di G. Sinisi, Washington 2011, http://sedi2.esteri.it/sitiweb/AmbWashington/Pubblicazioni/2_filangieri_interno.pdf (22 maggio 2012).