FORTE, Gaetano
Nacque a Salerno il 12 dic. 1790 da Carmineantonio, pittore e decoratore, e Caterina Quaranta. Ricevette i primi insegnamenti artistici nella città natale dal padre e da V. Finicelli. Nel 1806 si trasferì a Napoli dove intraprese gli studi giuridici per assecondare la volontà paterna; non trascurò tuttavia la sua forte inclinazione per la pittura che coltivò iscrivendosi contemporaneamente all'Accademia di belle arti. Ricevette la prima formazione accademica da G. Cammarano, che lo accostò alle nuove correnti neoclassiche che si andavano diffondendo in quegli anni nell'ambiente artistico napoletano. Il F. si interessò nello stesso tempo all'architettura e prese a seguire le lezioni di D. Chelli, scenografo del teatro S. Carlo. Fu anche allievo di G.B. Wicar, che lo iniziò alla pittura neoclassica francese e soprattutto lo formò nel campo della ritrattistica: intorno ai diciotto anni venne scelto dal Wicar come collaboratore per una tela commissionata da Giuseppe Bonaparte re di Napoli (Saccone, 1980-1981, p. 197).
Al 1807 risale il quadro a olio raffigurante il Ritratto della madre (Napoli, Galleria dell'Accademia di belle arti), primo saggio di pittura, in cui sono già evidenti le doti di spiccato realismo tipiche della sua produzione successiva. Certamente appartengono a questo periodo anche quattro miniature del Museo di S. Martino di Napoli, tra le quali un Autoritratto giovanile.
Nel 1809, dopo l'allontanamento del maestro dalla direzione dell'Accademia e la conseguente reazione antiwicariana, il F. ritornò a Salerno. Una volta stabilitosi nella città natale, pur lontano dagli stimoli culturali della capitale, continuò a esercitarsi nella pittura. Per far fronte alle nuove esigenze economiche sorte dopo il matrimonio con Anna Galdi nel 1810, fondò una scuola privata di pittura e architettura. Risalgono a questo periodo un quadro, oggi perduto, raffigurante la Morte di Lucrezia e il ritratto del suo maestro Domenico Chelli (Napoli, Museo di San Martino) eseguito nel 1813.
Nel 1814 fu nominato professore di disegno nel liceo di Salerno, ma in seguito alle accresciute difficoltà economiche, lasciò l'incarico per impiegarsi presso l'ufficio di "ingegneria giudiziaria", in qualità di architetto (Memoria, 1886, p. 21; Donazione, 1904, f. IV). L'attività artistica del F. proseguì comunque senza interruzioni: nel Ritratto della famiglia del 1816, conservato nella Galleria dell'Accademia di belle arti di Napoli, è evidente il distacco dal Wicar per il carattere antiretorico e per l'atmosfera intima e raccolta. Anche nel genere paesaggistico, al quale si dedicò sporadicamente, si ispirò a un accentuato realismo: di questo periodo sono due paesaggi raffiguranti la Vallata dell'Irno e Terrazzo con pergolato (entrambi a Napoli, Museo di S. Martino)
Nei ritratti, dove maggiori sono le influenze della pittura neoclassica, appare più evidente la capacità dell'artista di elaborare un linguaggio autonomo e indipendente dalla corrente ufficiale: nel Ritratto del duca di Vetticano (Napoli, Museo di S. Martino) del 1823, il personaggio, pur essendo rappresentato in atteggiamento solenne e sfarzoso, è tuttavia caratterizzato da un realismo analitico e da un'evidente espressività. Nello stesso anno l'artista decorò la volta del salone del palazzo dell'Intendenza di Avellino, dipingendo L'Aurora che fuga la Notte (perduto a causa di un successivo restauro).
Nel 1828 si trasferì nuovamente a Napoli dove rimase ininterrottamente fino alla morte. La pittura del F., sviluppatasi in un ambiente culturale sostanzialmente diverso rispetto a quello della capitale, si rivelò sempre più realistica ed espressiva, mantenendosi distante dai modi della ritrattistica contemporanea ufficiale, improntata a un maggior rigore accademizzante. Del 1828 è il Ritratto del canonico Nicola Giordano (Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e allo stesso periodo è databile un Ritratto di Silvio Ortolani conservato nella raccolta Pagliara dell'Istituto universitario di magistero "Suor Orsola Benincasa" di Napoli.
Partecipò ad alcune delle più importanti Biennali borboniche organizzate nella capitale partenopea, presentando non soltanto ritratti, ma anche quadri mitologici e di genere. Fu presente all'esposizione del 1833 con un bozzetto a olio, oggi perduto, rappresentante Coriolano. Nel 1835, anno in cui ricevette la nomina di professore onorario presso l'Accademia di belle arti di Napoli, espose alla Biennale borbonica il Ritratto di Lucio Caracciolo duca di Roccaromana per il quale ottenne la medaglia d'oro e il Ritratto del capitano Alfano, entrambi conservati presso il Museo di S. Martino a Napoli.
In questi ritratti l'artista non seppe sottrarsi al fine celebrativo dell'arte ufficiale che ne compromette la ricerca della realtà e la resa dell'espressività del volto. Del Ritratto del duca di Roccaromana esistono due studi, eseguiti tra il 1833 e il 1834, rappresentanti uno il paesaggio della città di Napoli, poi dipinto nello sfondo, e l'altro il ritratto a mezzo busto del duca (Napoli, Galleria dell'Accademia di belle arti).
Alla Biennale borbonica del 1837 espose Tiresia che evoca l'ombra di Lajo e Antipatro che si difende dinnanzi a Cesare dalle accuse di Antigone (entrambi perduti) e Ritratto del padre (Napoli, Galleria dell'Accademia di belle arti); dell'anno successivo è il Ritratto della suocera (ibid.).
Prese parte ancora all'esposizione borbonica del 1848, presentando opere (ora perdute) di diverso soggetto: Giove e Callisto, premiato con medaglia d'oro, Ritratto di fanciullo morto, Ritratto muliebre a mezza figura, tre Ritratti virili e due Composizioni di cacciagione.
Il linguaggio pittorico dell'ultimo periodo è caratterizzato da una ricerca di precisione delle forme e dei particolari, che conferisce alle figure una straordinaria evidenza plastica, come nell'ultimo dipinto noto, raffigurante il Ritratto del cardinale Luigi Amat, del 1849 (Napoli, Museo di S. Martino).
Partecipò al concorso per la cattedra di disegno presso l'Accademia di Napoli del 1851; portò però a termine solo la prova scritta sui precetti dell'arte poiché una grave malattia agli occhi gli impedì di concludere la prova di pittura sul tema "Giacobbe moribondo benedice ad uno ad uno i suoi figlioli e predice loro le cose future" e, successivamente, arrestò la sua carriera artistica.
Il F. alternò alla pittura gli impegni della sua professione di architetto, tra l'altro la ristrutturazione del conservatorio di S. Pietro a Maiella. Dopo il 1860 ottenne, in virtù della sua esperienza di architetto, la nomina a ispettore generale del Catasto alla quale seguì la promozione onorifica a ufficiale mauriziano.
Morì a Napoli il 27 sett. 1871.
Il F., uno dei maggiori ritrattisti del primo Ottocento napoletano, quasi completamente dimenticato sino ai primi anni del nostro secolo, si impose all'attenzione della critica alla Mostra del ritratto italiano, tenutasi a Firenze nel 1911; successivamente i suoi ritratti sono stati esposti alla Mostra di pittura napoletana dell'Ottocento del 1922, alla II Mostra salernitana d'arte del 1933 e alla Mostra della pittura napoletana nei secoli XVII-XVIII-XIX del 1938.
Fonti e Bibl.: Memoria. G. F., a cura dell'Accademia di belle arti di Napoli, Napoli 1886; Napoli, Archivio del Museo di S. Martino, Donazione Forte (1904), Biografie, ff. I-VII; S. Di Giacomo, Catalogo biografico della mostra della pittura napoletana dell'Ottocento, Napoli 1922, p. 16; C. Lorenzetti, L'Accademia di belle arti di Napoli, Firenze 1952, pp. 69, 113, 209-211, 220; F. Bologna - G. Doria, Mostra del ritratto storico napoletano (catal.), Napoli 1954, p. 72; A. Schettini, Pittura napoletana dell'Ottocento, Napoli 1967, I, p. 13; II, p. 465; S. Ortolani, G. Gigante e la pittura di paesaggio a Napoli e in Italia dal '600 all'800, Napoli 1970, p. 129; R. Causa, Ritratti dell'età neoclassica, in A. Caputi - R. Causa - R. Mormone, La Galleria dell'Accademia di belle arti di Napoli, Napoli 1971, pp. 22-26, 109; Don Riccardo, Artecatalogo dell'Ottocento. Vesuvio dei pittori napoletani, Roma 1973, II, pp. 43-47; M. Causa Picone, Disegni della Società napoletana di storia patria, Napoli 1974, pp. 77-79; M.R. Saccone, G. F., in Annali della Facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Napoli, n.s., XI (1980-81), pp. 191-212; M. Bignardi, Arte a Salerno: 1850-1930 nelle raccolte pubbliche, Salerno 1990, pp. 12 s., 62 s.; L. Martorelli, in La pittura in Italia. L'Ottocento, Milano 1991, II, pp. 831 s.; F.C. Greco - M. Picone Petrusa - I. Valente, La pittura napoletana dell'Ottocento, a cura di F.C. Greco, Napoli 1993, pp. 128 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, p. 226.