MAGNOLFI, Gaetano
Nacque a Prato il 12 nov. 1786 da Vincenzo e da Maria Anna Guasti. Il padre, esperto falegname, lavorava nella propria bottega anche le spole e i rastrelli per la tessitura della lana e del cotone. Possedeva inoltre beni fondiari e si dedicava con discreto successo al commercio del bestiame. Ricevuti i primi rudimenti dell'istruzione da un precettore privato, il M. frequentò le scuole comunali a Prato; in seguito, ebbe a Firenze lezioni di ingegneria e architettura dall'ingegnere A. Manetti. Dopo la scomparsa della madre (dicembre 1805), morta nel dare alla luce il decimo figlio, il M. abbandonò definitivamente gli studi entrando a tempo pieno nell'azienda paterna dove aveva lavorato con assiduità fin da giovanissimo, occupandosi anche della vendita nelle campagne pratesi degli utensili fabbricati dal padre. La già cospicua fortuna familiare venne notevolmente incrementata nel giugno 1809, quando, in occasione della visita a Prato della nuova granduchessa di Toscana Elisa Bonaparte Baciocchi, sorella di Napoleone I, ebbe l'incarico, lautamente retribuito, di addobbare piazza S. Francesco. Negli anni seguenti il M. riuscì abilmente a ingrandire e a diversificare le attività imprenditoriali della famiglia: alla rinnovata bottega paterna si aggiunsero via via una ferriera a San Marcello, un negozio di vernici, alcune drogherie, un grande deposito di legnami e una cartiera. Nel febbraio 1814 sposò Orsola Niccoli, di famiglia benestante, dalla quale non ebbe figli.
Nell'ottobre 1829, il M., oramai uno dei maggiori imprenditori pratesi, in società con altri chiese al marchese C. Ridolfi, presidente della Cassa di risparmio di Firenze, l'autorizzazione a istituire a Prato una Cassa affiliata. Approvata con sovrano rescritto del maggio 1830, la Cassa di risparmio di Prato iniziò a operare nel settembre successivo; la sua fondazione diede avvio all'attività filantropica che caratterizzò il resto dell'esistenza del M., il quale fece parte del consiglio di amministrazione fino al 1835, e, in seguito, dal 1849 al 1851.
Nel 1833 l'Assemblea municipale di Prato (ove il M. sedeva in qualità di magistrato) gli affidò la direzione delle regie scuole di carità, istituite nel 1816 e comunemente dette scuole di S. Caterina. Esse erano frequentate da duecento ragazze di umile estrazione, alle quali veniva insegnato l'alfabeto, la tessitura del lino e del cotone e altri lavori domestici. Il M. promosse immediatamente una sottoscrizione pubblica (alla quale contribuì generosamente) per ingrandire i locali e accogliere altre ragazze. A conoscenza del lavoro svolto a Cremona da F. Aporti, il M. volle occuparsi anche del problema dell'infanzia e, nel novembre 1833, diede vita al primo asilo infantile femminile della Toscana, annesso alle scuole di S. Caterina. Vi furono ammesse bambine di tre e quattro anni (provenienti da famiglie disagiate), le quali, compiuti i dieci anni, sarebbero passate alle scuole di carità, così da perfezionarsi in qualche mestiere.
In poco tempo vi affluirono oltre sessanta bambine, e, il 9 giugno 1835, il M. organizzò una solenne festa scolastica, durante la quale ebbe luogo una mostra dei lavori compiuti dalle ragazze. Nel periodo seguente, il M. maturò il proposito di regalare alla propria città un orfanotrofio maschile.
Caldamente incoraggiato dal canonico F. Baldanzi, futuro vescovo di Volterra e arcivescovo di Siena, e dall'avvocato G. Benini (uno fra gli esponenti più ragguardevoli della vita culturale pratese dell'epoca), il M. scrisse nel novembre 1837 al consigliere di Stato Neri Corsini, annunciandogli la nascita di un quartiere, annesso alla propria abitazione, per il ricovero di ragazzi orfani. Provvisti di vitto e vestiario, essi avrebbero ricevuto l'istruzione e imparato alcuni mestieri nelle botteghe cittadine. L'iniziativa sarebbe per il momento rimasta in ambito privato. L'orfanotrofio, inaugurato nel dicembre 1837, fu presieduto dallo stesso M. e dotato di un apposito regolamento. L'anno successivo, grazie all'intercessione del vescovo di Prato G.B. Rossi, il M. trasferì il ricovero nei capienti locali del soppresso convento suburbano della Pietà. L'8 dic. 1838 avvenne così l'inaugurazione del nuovo orfanotrofio che fu detto della Pietà, dichiarato opera di pubblica utilità e posto sotto la tutela e dipendenza del governo granducale. Per i lavori di ristrutturazione della nuova sede (capace di accogliere sia le abitazioni dei ragazzi sia le botteghe artigiane) il M. si rivolse direttamente al granduca Leopoldo II, che gli concesse forniture di ferro, legname e una cospicua somma di denaro.
Nel settembre 1839 l'orfanotrofio poteva ospitare trenta ragazzi, ai quali erano impartiti i rudimenti dell'istruzione e venivano insegnati i mestieri di fabbro, falegname, tipografo, sarto, calzolaio, tessitore. Il 25% del prezzo dei lavori realizzati rimaneva a beneficio dei ragazzi, depositato in libretti a loro nome nella locale Cassa di risparmio. I costi dell'orfanotrofio gravavano principalmente sul patrimonio personale del M., che fino al 1848 poté contare, per disposizione granducale, su 2000 lire annue tratte dalle eccedenze del patrimonio ecclesiastico di Prato.
In seguito il M., pur profondamente segnato dalla scomparsa della moglie (marzo 1841), provvide a dotarlo di nuove abitazioni per i maestri delle officine. Nel maggio 1841 nominò aiuto-direttore dell'istituto il pratese G.B. Mazzoni, il quale contribuì a rendere più efficiente la gestione e dispose che ai ragazzi fossero insegnati rudimenti di geometria, disegno, fisica, chimica, geografia e francese.
Nell'autunno 1841 si tenne a Firenze il III congresso degli scienziati italiani: durante l'adunanza della sezione di agronomia e tecnologia (22 settembre), il filantropo livornese E. Mayer, amico del M., dedicò buona parte del suo intervento all'orfanotrofio della Pietà. Il presidente R. Lambruschini e i segretari V. Salvagnoli e B. Ricasoli incaricarono quindi una commissione (composta, tra gli altri, dallo stesso Mayer, dal conte udinese G. Freschi e dal torinese E. Bertone di Sambuy) di recarsi a Prato, per testimoniare al M. la stima e l'ammirazione dei congressisti.
Nell'aprile 1845, anche per garantire all'orfanotrofio una rendita sicura, il M. accettò di chiedere a Leopoldo II, per conto di un gruppo di imprenditori toscani, l'autorizzazione a realizzare una linea ferroviaria da Firenze a Pistoia, passante per Prato. Nel giugno seguente, il decreto di concessione granducale affidava a una società anonima per azioni la costruzione della strada ferrata, a sue spese, rischio e pericolo. La società avrebbe avuto in concessione per sessant'anni la tratta in questione con l'obbligo di corrispondere 30.000 lire annue di rendita all'orfanotrofio (o, in alternativa, a versare a esso 666.000 lire in tre soluzioni). Nei locali dell'orfanotrofio la società era poi tenuta a costruire officine per la fabbricazione e la manutenzione del materiale rotabile. Nasceva così la Società anonima della strada ferrata Maria Antonia: il M., secondo il disposto leopoldino, assunse la presidenza del consiglio di amministrazione.
La costruzione della strada ferrata avvenne inizialmente in maniera celere, al punto che già il 2 febbr. 1848 poté essere solennemente inaugurata, alla presenza di Leopoldo II, la tratta Firenze-Prato. Il M. dovette però lottare duramente perché fossero rispettati almeno parzialmente i diritti garantiti all'orfanotrofio dalle disposizioni granducali del giugno 1845: ottenuta nel novembre 1847 una prima rata di 250.000 lire, ebbe il resto della somma pattuita solamente nel gennaio 1852. Artefice dell'accordo fu l'inglese W. Jackson, proprietario della Società ferroviaria anglo-italiana, che aveva inglobato la disastrata Maria Antonia. Il M. dovette però rassegnarsi allo smantellamento delle officine costruite appositamente all'interno del proprio istituto per la lavorazione del materiale rotabile, le quali d'altro canto non avevano mai funzionato a pieno regime.
Durante l'epidemia di colera che imperversò in Toscana fra il 1854 e il 1855, il M. aprì le porte dell'istituto a numerosi ragazzi rimasti orfani. Nel settembre 1855 decise poi di affidare, a sue spese, un certo numero di orfani, i quali sarebbero rimasti sotto il patronato dell'orfanotrofio fino ai diciotto anni, ad alcune famiglie pratesi. Riuscì in tal modo a ovviare al sovraffollamento della propria struttura, giunta a ospitare più di sessanta ragazzi. Superata la fase dell'emergenza, l'orfanotrofio conobbe nella seconda metà degli anni Cinquanta una interessante fase di sviluppo: vi furono infatti impiantate una officina d'intaglio antico e moderno e una fonderia di materiali ferrosi.
La sera del 27 apr. 1859 una folla tumultuante costrinse il M. a togliere dall'interno dell'orfanotrofio il busto e l'epigrafe di Leopoldo II, che da poche ore aveva abbandonato il potere. Nei giorni seguenti, il M. permise ai ragazzi che ne avessero fatto richiesta di raggiungere i campi di battaglia nel Nord Italia, concedendo loro il libretto di credito della Cassa di risparmio. Egli riuscì comunque a traghettare con abilità l'orfanotrofio nella transizione dal vecchio al nuovo ordine (particolarmente aspra fu, nel corso del 1860, la contesa con il Municipio di Prato, che aveva avanzato dei diritti sull'istituto). Nel settembre 1861, su proposta del ministro della Pubblica Istruzione F. De Sanctis il M. fu insignito dal re Vittorio Emanuele II della croce di cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Due mesi più tardi, il sovrano acconsentì alla richiesta del M. di mantenere (a carico della Real Casa) i due posti gratuiti istituiti anni prima da Leopoldo II. Nell'agosto 1864, il M. dettò il proprio testamento, nel quale disponeva un lascito di 600 lire ai suoi ragazzi a titolo di legato, e raccomandava al governo la nomina del pratese G. Guasti (coadiuvato da una deputazione di cinque membri) alla direzione dell'orfanotrofio.
Il M. morì a Prato il 4 ag. 1867.
La salma fu tumulata nella cappella del giardino interno dell'orfanotrofio, che prese il nome di "orfanotrofio Magnolfi".
Fonti e Bibl.: G. Guasti, Ricordo del cav. G. M. fondatore e direttore del r. orfanotrofio della Pietà presso Prato, Prato 1867; Id., Inaugurazione del monumento al cav. G. M. nel r. orfanotrofio della Pietà, ibid. 1868; I. Del Lungo, G. M., operaio e benefattore. Discorso, Prato 1898; S. Ceccatelli, G. M., l'amico degli operai e padre degli orfani, Prato 1900 (agiografico, ma ricco di interessanti notizie); S. Nicastro, Sulla storia di Prato dalle origini alla metà del secolo XIX, Prato 1916, p. 257; E. Bruzzi, L'arte della lana in Prato, Prato 1920, pp. 102, 108 s., 115; A. Benelli, Cesare Guasti e G. M., Prato 1940; G. Paradisi, Prato nel Risorgimento dal 1815 al 1860, in Arch. stor. pratese, XVIII (1940), pp. 72, 131; E. Bruzzi, Cento anni nel progresso industriale di Prato (1848-1948), ibid., XXV (1949), pp. 34, 37; G. Giagnoni, Epoche e volti pratesi (1800), in Prato, storia e arte, III (1962), 6, pp. 69, 81 s., 87, 90; R. Papi, G. M. e l'orfanotrofio tecnologico, Prato 1967 (rilevante è l'appendice documentaria alle pp. 55-102); F. De Feo - A. Giuseppucci, La Cassa di risparmi e depositi di Prato dalla costituzione all'autonomia, 1830-1883, Prato 1980, passim; C. Ceccuti, Prato nel Risorgimento e nell'Italia unita, in Storia di Prato, III, Prato 1980, ad ind.; G. Bisori, G. M. visto a cent'anni dalla sua morte, in Id., Scritti e discorsi, Prato 1982, pp. 349-403; Prato, storia di una città (diretta da F. Braudel), III, Il tempo dell'industria (1815-1943), a cura di G. Mori, Prato 1988, ad ind.; G. M. ed il suo orfanotrofio, Prato 2004.