MARINELLI, Gaetano
MARINELLI (Marinello), Gaetano. – Nacque a Napoli il 3 giugno 1754. Prota-Giurleo (1960, col. 134) è stato il primo a retrodatare la data di nascita del M. – concordemente fissata al 1760 –, sanando così il dubbio su un esordio come compositore decisamente precoce: nel 1776, anno del suo primo lavoro rappresentato, avrebbe avuto infatti solo sedici anni.
Studiò musica nella sua città, dapprima nel conservatorio della Madonna di Loreto con G. Manna e P.A. Gallo e poi in quello della Pietà dei turchini, con L. Fago e P. Cafaro, divenendovi «maestrino», ossia allievo adulto responsabile di alcune esecuzioni in casi particolarmente solenni. Un documento del 1772 (trascritto da Prota-Giurleo, 1927) lo mostra in lite con G. Pedota, altro maestrino del medesimo conservatorio, per chi dovesse dirigere un «coro» (piccolo insieme di voci e strumenti) durante la festività di S. Irene. Il nome del M. ricompare nel 1776 con la rappresentazione del Barone di Sardafritta, intermezzo a due voci rappresentato nel monastero della Maddalena, primo lavoro attestato del Marinelli.
Nulla si sa della sua attività tra il 1776 e il 1781, anno in cui compose la cantata a 4 voci Tobia alle nozze con Sara, rappresentata con ogni probabilità a Napoli. Da quella data in poi la carriera del M. conobbe una veloce espansione e negli anni Ottanta addivenne a una svolta, con la partenza da Napoli, l’approdo in Spagna come insegnante di canto, e l’entrata in servizio presso un’importante corte europea. Il volgersi del M. a palcoscenici diversi da quelli napoletani avvenne nel 1782 o 1783: se poche ragioni vi sono di dubitare riguardo la paternità dell’intermezzo La semplice ad arte (libretto di A. Casini; Roma, teatro della Pace, carnevale 1783), indiscussa è quella de Li tre rivali o sia Il matrimonio impensato, andato in scena l’anno successivo nel medesimo teatro. Il dramma giocoso Gli uccellatori (C. Goldoni; Firenze, teatro della Pergola, 28 marzo 1785) è invece la prima opera stricto sensu del M. di cui ci sia giunta notizia dopo tre intermezzi e una cantata. Il 18 febbr. 1786 sposò a Napoli la figlia di un sarto, Maria Emanuela Vitale. Gli impegni come insegnante di canto risalgono all’incirca al 1786-89 (cfr. Enc. dello spettacolo): il M., trasferitosi a Madrid, sarebbe stato il maestro della futura primadonna Lorenza Correa. Non è però esclusa una confusione col quasi omonimo Carlo Marinelli, cantante e insegnante di canto a Madrid, confusione che di sicuro si è verificata nel caso dell’identificazione del maestro di Isabella Colbran (come nota Ragni, p. 13, riprendendo Heilbron Ferrer, p. 30). Il periodo in cui Carlo Marinelli fu attivo nel teatro de los Caños del Peral (1791-1793; prima di allora il suo nome compare in vari libretti relativi a rappresentazioni italiane) è tuttavia successivo a quello in cui Gaetano sarebbe stato a Madrid; la Correa aveva probabilmente già iniziato la sua carriera.
Più o meno in questo stesso periodo il M. sarebbe stato attivo anche alla corte di Carlo Teodoro di Baviera.
In assenza di testimonianze precise dobbiamo rifarci ai libretti: già in quello de Gli uccellatori il M. è indicato al servizio dell’elettore di Baviera. Tuttavia, l’ultimo libretto in cui ricorra simile espressione data al 1792. La lacuna di produzioni con musica del M. tra il 1786 e il 1789 potrebbe bene giustificare un impegno all’estero – a Madrid o a Monaco – ma difficilmente l’attività del M. a Monaco può essersi prolungata: in parte per un argomento e silentio (libretti e musica), in parte perché, dal 1787 in poi, l’elettore Carlo Teodoro aveva sospeso le rappresentazioni di opera italiana presso la propria corte.
Certo è che, nell’ultimo decennio del secolo, le numerose nuove produzioni di opere del M. nei teatri italiani avranno richiesto un’assidua presenza nella penisola. Il suo ritorno a Napoli fu quello di un compositore già affermato; nel solo 1790 furono rappresentate ben quattro opere del M. – compreso un pasticcio a più mani – in quattro teatri diversi: La bizzarra contadina di G. Palomba al Nuovo, La contadina [o La villanella] semplice al Fondo, Gli accidenti inaspettati (Palomba) ai Fiorentini. Il pasticcio era La disfatta di Dario, di cui il M. concertò la rappresentazione, oltre a scrivere un duetto nel II atto, debuttando così al teatro S. Carlo. L’opera seria divenne in breve il fulcro della sua produzione: in occasione dell’onomastico di Ferdinando IV di Borbone (30 maggio 1791) compose per le scene del S. Carlo il Lucio Papirio, conosciuto anche come Quinto Fabio (da un libretto di A. Zeno). Di lì in poi si susseguì una serie di successi ravvicinati, sia nel genere serio sia in quello comico: Amore aguzza l’ingegno (Napoli, Fondo, carnevale 1792), La vendetta di Medea (Venezia, teatro S. Samuele, carnevale 1792), I vecchi delusi (Napoli, Fiorentini, estate 1793), Arminio (poi Germanico; F. Moretti; S. Carlo, agosto 1792), oltre al fortunatissimo dramma sacro Baldassarre punito (Fondo, quaresima 1792). Gli anni 1790-93 appaiono dunque trascorsi quasi interamente a Napoli, almeno fino alla rappresentazione di Attalo, re di Bitinia (S. Carlo, agosto 1793), con la sola ma significativa eccezione della Vendetta di Medea.
Nel 1793 l’esperienza napoletana si concluse bruscamente e da allora non sono documentati altri rapporti con la madrepatria. È da credere che il M. avesse messo a frutto i legami precedentemente annodati con Firenze e Venezia; poté così uscire dalla nomea di compositore esclusivamente «napoletano» che poi toccò ai vari G.B. De Luca o D. Cercià. Dopo due anni di cui non abbiamo notizia del M., e in cui potrebbe aver compiuto un altro viaggio all’estero (forse a Lisbona), venne rappresentato a Firenze L’interesse gabba tutti (C. Mazzini; Pergola, giugno 1795); quindi a Venezia I vecchi burlati (S. Samuele, autunno 1795) e La finta principessa (F. Livigni; ibid., carnevale 1796). Il cursus del M. ricominciò brillantemente facendo perno soprattutto sui domini veneti: non solo Venezia (in quasi tutti i teatri della città, compresa la recentemente costruita Fenice, dove debuttò con Issipile di P. Metastasio il 12 nov. 1796), ma anche Padova (Li due fratelli Castracani, 1798, teatro Obizzi) e addirittura Corfù (Li due vecchi amanti delusi, Palomba; teatro S. Giacomo, 1796).
Al volgere del secolo Venezia era – a onta del declino e della sofferta fine della Repubblica –, un trampolino di lancio imprescindibile per quasi tutte le carriere operistiche: basti pensare a J.S. Mayr, a S. Pavesi e più tardi a G. Rossini, che poterono esercitarsi nei campi della farsa, dell’opera comica e di quella seria nei diversi teatri della città: lo consentiva il sistema impresariale di Venezia, slegato dal circolo e dalle scadenze ristrette della corte napoletana.
Il M. trascorse dunque probabilmente gli otto anni successivi al 1796 a Venezia. Gli avvenimenti politici incisero sulla sua produzione con il «melodramma eroicomico» La pace (G. Bertati; S. Samuele), scritto con G. Pranzer (e con un terzetto di Mayr) per festeggiare la conclusione del trattato di Campoformio e l’entrata delle truppe austriache in Venezia (18 genn. 1798). Allo stesso filone appartiene la cantata Marte e la pace, scritta integralmente dal M. in occasione del compleanno dell’imperatore Francesco II d’Asburgo (teatro S. Benedetto, 13 febbr. 1798). Indizio di una presenza del M. a Venezia (oltre ai suoi lavori rappresentati regolarmente almeno fino al 1802) è anche la riscrittura di parte de La morte di Cleopatra di S. Nasolini, una delle opere più celebri della fine del Settecento, in cui il M. e il librettista G. Rossi interpolarono una scena del sotterraneo «composta espressamente» (teatro La Fenice, Ascensione 1800). Dopo la Rocchetta in equivoco (G. Foppa; teatro S. Moisè, carnevale 1802) e la dubbia I diversi accidenti (G. Artusi; teatro S. Angelo, carnevale 1804, forse una nuova versione de Gli accidenti inaspettati), si concluse anche la parentesi veneziana.
Le piazze dove un compositore di cartello riconosciuto universalmente doveva affermarsi erano Roma, Napoli, Venezia, e soprattutto Milano: mancava alla carriera del M. l’ultimo tassello, la allora capitale del napoleonico Regno d’Italia. Gli anni tra il 1806 e il 1811 ci appaiono «direzionati» sempre più a conquistare un mercato nell’Italia padana. L’esordio avvenne al Carcano, che, a giudizio del Corriere milanese del 12 maggio 1806, in quella stagione di primavera poteva ritenersi il teatro più importante di Milano. Fu messo in scena il melodramma giocoso Il concorso delle spose ossia Il letterato alla moda, da ricollegarsi a Lo sposo contrastato ossia Il letterato alla moda, opera rappresentata forse alla Pergola di Firenze nell’autunno 1786 con musiche del Marinelli. Seguono due anni di silenzio fino alla riapparizione presumibilmente della stessa opera a Novara, per il carnevale 1808, come Lo sposo contrastato. Appare qui per la prima volta in un libretto del M. il nome di P. Zangla (o Zancla), impresario che, nato forse in Sicilia, conobbe alterne vicende e fu legato ai primordi della carriera di G. Donizetti (Enrico di Borgogna).
La figura di Zangla fu decisiva nella genesi del Trionfo dell’amore, «dramma sentimentale» (in effetti, sorta di opera semiseria à sauvetage) commissionato al M. per l’apertura del nuovo grande teatro voluto dalla nobiltà di Cremona (l’attuale teatro Ponchielli). Il M. non riuscì però a consegnare la partitura prima della metà di dicembre; per ripiego la stagione di carnevale fu inaugurata con un successo consolidato, il Principe di Taranto di F. Paër. L’opera del M. fu quindi posticipata a una data che non conosciamo ma presumibilmente nel gennaio 1809.
Per queste vicissitudini la stampa Ricordi e Festa del duetto Dolce sposa, qui riposa e altre fonti continuarono a riportare la notizia erronea che l’opera fosse stata eseguita per l’inaugurazione del teatro cremonese. Nel libretto si legge che il M. sarebbe stato «al servizio dell’Imperatore di tutte le Russie»: ma la notizia non ha riscontri ulteriori.
Tra l’ottobre 1810 e il giugno 1811 si dipana l’estate di S. Martino del Marinelli. Nell’ottobre 1810 andarono in scena consecutivamente in due teatri milanesi (il Carcano e il Lentasio) rispettivamente la farsa I quattro rivali in amore e l’atto unico Alessandro in Efeso, che, a giudicare dal numero di rappresentazioni, dovettero avere entrambe un buon esito. Nel giugno successivo, finalmente, il M. fu chiamato, all’onore del palcoscenico della Scala. Coronamento piuttosto tardivo di una carriera, ne fu anche la tappa finale con L’equivoco fortunato (L. Prividali). Non si hanno resoconti precisi, ma è certo che si sia trattato di un fallimento, nonostante un cast di tutto rispetto, che includeva Marietta Marcolini nelle vesti della protagonista: tre sole rappresentazioni e un esito che Cambiasi definisce «mediocre».
In quegli anni si faceva più pressante l’invito a cambiare repertorio, a «svecchiare» i nomi dei compositori di cartello. Soprattutto i napoletani della generazione del M. furono messi da parte proprio al volgere degli anni tra 1810 e 1811: il vecchio G. Tritto e N. Zingarelli fra i primi (G. Paisiello aveva praticamente smesso di scrivere).
Gli ultimi anni del M. furono dunque quasi sicuramente lontano dai palcoscenici e probabilmente fuori dall’Italia, una zona d’ombra da cui emerge solo la cantata scritta nel 1817 per le nozze di Pietro, principe ereditario di Portogallo (allora reggente, poi imperatore del Brasile) con Maria Leopoldina d’Austria figlia dell’imperatore Francesco I. Tale commissione, se non gli dà automaticamente la qualifica di «compositore di corte» (è indicato nel libretto solo come il «célebre Caetano Marinelli»), indica una posizione ragguardevole raggiunta dal M. in Portogallo.
Le ultime notizie del M. risalgono al 1820, anno in cui insegnava canto a Oporto. Non si conosce la data di morte del M., ma è probabilmente avvenuta in Portogallo non molto dopo tale data.
Il M. fu uno tra i maggiori compositori di quella «seconda fascia» attiva tra Sette e Ottocento rimasta a lungo ignorata. Compare dunque anche nell’elenco di predecessori di Rossini che G. Pacini stese quasi all’inizio della sua autobiografia. L’elogio più convinto è di C. Gervasoni, che lo dice «eccellente compositore di musica teatrale» dallo «stile molto espressivo ed una particolare novità». Se Gervasoni cita esclusivamente le opere composte nel periodo napoletano, il sopracitato Corriere milanese sostiene – riguardo al Concorso delle spose, rappresentato al Carcano nel 1806 – che la musica è «composizione bellissima»; il Giornale italiano rincara la dose il 19 maggio successivo: nota che la musica italiana è in piena decadenza, ma ciò non riguarda opere come Il matrimonio segreto, o Nina, e nemmeno l’opera del Carcano, che è «una bella musica del maestro Marinelli in cui arde ancora non picciola parte di quel foco che animava Guglielmi, Cimarosa e Sarti, e riscalda la gloriosa vecchiaja di Paisiello». Il M. dunque veniva indicato come l’erede del vero gusto «napoletano»; questa è la vulgata, ma a ben guardare la diagnosi più corretta è quella di Gervasoni, quando parla di «particolar novità». È particolarmente difficile, e per certi versi antistorico, identificare uno “stile individuale” a quest’altezza cronologica della storia dell’opera italiana; il problema si acuisce per il M. a causa della «falla» nella conoscenza delle partiture; dopo il 1795 la sua musica riappare solo con Il trionfo dell’amore (1808). Quel che caratterizza lo stile del M. è l’orchestrazione accuratissima, la floridezza dell’armonia e una certa insistenza su procedimenti contrappuntistici, tratti distintivi e in un certo senso «nuovi»; ricche ed esuberanti sono le sinfonie (di un sonatismo a volte sui generis, come quella del Lucio Papirio) e anche le introduzioni alle arie. Più contemporaneo che allievo di Paisiello e Cimarosa, il M. non ne ha la facilità melodica. In questo è più vicino a N.A. Zingarelli, ma a differenza di Zingarelli (e dell’ultimo Cimarosa) il suo talento si esplica piuttosto nell’opera comica. Le opere serie del periodo napoletano sono tradizionali nella successione dei pezzi; arie e duetti incorniciati dal recitativo semplice sono il fondamento dell’opera. La costruzione dei pezzi è semplice, uno o due movimenti. Anche i finali non escono dal compasso di pochi tempi non troppo contrastanti, in cui, come in Lucio Papirio, il coro può non avere parte alcuna. L’orizzonte è quello dell’opera postmetastasiana, che stava allora – ma a Napoli con maggior lentezza, almeno fino al 1810 – passando da tre a due atti, e «modernizzandosi» nel senso di una semplificazione degli affetti e col ricorso a effetti teatrali e musicali più evidenti. Libby e McClymonds (The New Grove Dict.) hanno notato, per contro, nella partitura de La vendetta di Medea rappresentata a Venezia, un avvicinamento alle posizioni di ispirazione francese e dell’opera «riformata» (resa popolare, quattro anni dopo, da Gli Orazi e i Curiazi di Cimarosa).
Ma la maggior parte della produzione del M. è nel genere comico tout court e in quello comico-sentimentale. Nel primo i tratti idiomatici “regionali” risultano piuttosto attenuati, secondo l’esempio di Paisiello. Nell’ambito semiserio riesce a produrre il ragguardevole Trionfo dell’amore, debitore degli esempi di L. Cherubini, Paër e Mayr. Anche in questa partitura, però, così curata nel dettaglio e dalla drammaturgia accidentata (una peripezia seria con tanto di fuga da un convento è affiancata da un gran numero di episodi comici, come nel più tardo Raoul di Créqui di F. Morlacchi), la visione d’insieme è ancora settecentesca: il finale è una serie di brevi episodi contrastanti come nell’opera comica del passato, la composizione del singolo pezzo è ancora concepita come una giustapposizione di sezioni semiautonome piuttosto che a grandi campate.
Sebbene il finale della sua carriera, terminata a cinquantasette anni, possa ascrivere il M. a rappresentante del cosiddetto "interregno" tra l'era di Cimarosa e Paisiello e quella di Rossini (1801-12, secondo la periodizzazione di Stendhal), la sua esperienza e i suoi maggiori successi appartengono ancora al Settecento.
Oltre alle opere citate in precedenza, si segnalano: Lo sposo a forza (Palomba; Napoli, Fiorentini, autunno 1792); Le quattro mogli (G. Rossi; Venezia, S. Benedetto, gennaio 1799; Bajazette (da A. Piovene; ibid., primavera 1799); La dispettosa (Venezia, S. Samuele, carnevale 1798; dubbia). Inoltre, alcune arie ne Il convito di Baldassarre, dramma sacro con musica di diversi autori (Napoli, Nuovo, quaresima 1791) e uno Stabat Mater per due soprani, basso, archi e basso continuo.
Fonti e Bibl.: C. Gervasoni, Nuova teoria di musica ricavata dall’odierna pratica, Parma 1812, p. 175; E.L. Gerber, Historisch-biographisches Lexikon der Tonkünstler, Leipzig 1813, III, p. 326; C. [De Rosa] di Villarosa, Memorie dei compositori di musica del Regno di Napoli, Napoli 1840, p. 112; P. Cambiasi, Rappresentazioni date nei reali teatri di Milano: 1778-1872, Milano 1872, pp. 22 s.; G. Pacini, Le mie memorie artistiche. Autobiografia…, a cura di F. Magnani, Firenze 1875, p. 5; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatorii, Napoli 1882, II, pp. 436 s.; B. Gutierrez, Il teatro Carcano (1803-1914), Milano 1914, pp. 38, 47; U. Prota-Giurleo, N. Logroscino il dio dell’opera buffa, Napoli 1927, pp. 24 s.; Id., in Enc. dello spettacolo, VII, Firenze-Roma 1960, coll. 134 s.; C. Gatti, Il teatro alla Scala nella storia e nell’arte (1778-1963), I-II, Milano 1964, ad indices; E. Santoro, Il teatro di Cremona, Cremona 1969, II, pp. 91-107; F.M. Liborio, La scena della città. Rappresentazioni sceniche nel teatro di Cremona 1748-1900, Cremona 1994, p. 59; Un almanacco drammatico: l’«Indice de’ teatrali spettacoli», a cura di R. Verti, I-II, Pesaro 1996, ad indices; M. Heilbron Ferrer, Isabella Colbran: un soprano spagnolo nella sfera di Gioachino di Rossini, tesi di laurea, Università di Bologna, 1999, p. 30; D. Carnini, L’opera seria italiana prima di Rossini (1800-1813). Il finale centrale, diss., Università degli studi di Pavia, 2007, pp. 31-40; S. Ragni, Isabella Colbran, Isabella Rossini , Varese, Zecchini, 2012, I, p. 13 ; F.-J. Fétis, Biographie univ. des musiciens, VI, p. 276; R. Eitner, Quellen-Lexikon der Musiker, VI, p. 332; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, II, p. 40; C. Sartori, I libretti italiani a stampa dalle origini al 1800, Indici, I, p. 413; The New Grove Dict. of opera, III, p. 216.