COLUMBA, Gaetano Mario
Nato a Sortino (Siracusa) l'8 dic. 1861 da Benedetto e da Nunzia Gentile, fece gli studi universitari a Palermo, dove allora vigeva una rispettabile tradizione antichistica, rappresentata soprattutto dal tedesco A. Holm, professore di storia antica (e autore di una classica Storia della Sicilia) e dall'archeologo siciliano A. Salinas. Dopo essersi laureato in lettere il 3 genn. 1887, il C. rimase sempre fedele alla sua università palermitana: incaricato dal 1889 e dal 1895 professore straordinario e poi ordinario di storia antica, successivamente più volte preside della facoltà di lettere e rettore dell'università negli anni della prima guerra, mondiale che lo videro anche in missione (1917) in Inghilterra e dal 1916 presidente dell'ufficio di assistenza legale gratuita alle famiglie bisognose dei richiamati alle armi.
Il C. dedicò la parte più cospicua dei suoi studi alla Sicilia (negli anni Venti fu altresì coeditore con Guido Libertini, d'una serie di monografle storico-archeologiche, intitolata Sicilia Antiqua: cfr. G. De Sanctis, Scritti minori, VI, I, Roma 1972, p. 370), sebbene anche qui l'elemento geografico-antiquario prevalga sull'elemento propriamente "storico" o "storico-letterario". Sostanziale carenza di educazione "letteraria" si avverte, infatti, anche nella memoria (elogiatagli, e in qualche modo ripresa e continuata, dal suo discepolo Ettore Paratore), su Virgilio e la Sicilia, in Atti dell'Accad. di Palermo, XVIII (1932), pp. 59-99, 131-157, 221-250.
Qui l'interesse dell'autore s'incentra sull'interrelazione dei libri III e V dell'Eneide nell'ambito della struttura, cronologia ed economia compositiva del poema, analizzato non secondo la logica della poesia, ma secondo la logica razionalistica del deteriore filologismo sabbadiniano, alla ricerca di contraddizioni, disuguaglianze ed aporie, cioè le parti strutturali e caduche, non le parti poetiche, dell'Eneide; mentre il C. tace affatto della Sicilia quale fonte letteraria, o mito "greco", della poesia virgiliana, dalle Bucoliche teocritee agli stessi libri "siciliani", omerico-ellenistici, dell'Eneide.
Questa carenza di educazione letteraria, la quale, d'altronde, non impedì al C. di attendere anche a ricerche di erudizione extra-antichistica (per esempio, l'articolo, dettato come presidente dell'Accademia di Palermo per il bicentenario della nascita di Giovanni Meli, su Raffaello Politi e Giovanni Meli, in Studi su G. Meli, Palermo 1942, pp. 501-510) e di tradurre (Bologna 1925) le vite plutarchee di Timoleonte e di Emilio Paolo, si avverte anche negli scritti di critica delle fonti, o negli scritti storici basati su fonti strettamente letterarie. Per esempio lo stesso celebratissimo saggio sul Processo di Cremuzio Cordo (in Atene e Roma, IV [1901], pp. 390 ss.), se è valido nel privilegiare la fonte Seneca (Consolatio ad Marciam) rispetto al racconto nel IV libro degli Annali, pecca in misura indubbiamente eccessiva e ingiustificata della coeva sfiducia nell'attendibilità storica di Tacito, né rende, quindi, giustizia allo spirito e allo stile d'una delle pagine più alte, storicamente più durevoli ed efficaci, che Tacito abbia mai scritte. Analogamente, la commemorazione, tenuta quale preside della facoltà letteraria dell'università di Palermo, l'8 giugno 1934, del vecchio latinista Pietro Ercole, invece di analizzare la modesta opera di quest'amico del Pascoli e studioso giovenaliano, impaluda nell'elogio del regime fascismo e del figlio del commemorato, l'ex collega Francesco Ercole, allora persecutorio ministro dell'Educazione Nazionale (cfr. Giovenale, Le satire, tradotte in esametri italiani da P. Ercole, Torino 1935, pp. V-XX).
Forse per un malinteso bisogno di concretezza, forse per indifferenza o insofferenza della cosiddetta critica "fontaniera" del tempo suo, il C. comunque privilegiò, dedicandovi la miglior parte dell'opera propria, una fonte e una materia sostanzialmente trascurate (se non da K. J. Beloch fra noi e da C. Jullian in Francia): la geografia storica (e, correlativamente l'opera degli antichi geografi). Le memorie che formano il primo volume (ed unico pubblicato) delle Ricerche storiche (Palermo 1935), in cui, secondo il progetto celebrativo del suo quarantennio d'insegnamento, il C. avrebbe dovuto raccogliere, riveduta e in parte rifatta, la vasta e dispersa opera sua, piacciono ancora per la squisita erudizione e il sodo, quantunque sovente troppo minuto e prolisso, ragionare, sia che spieghino l'antica aporia del "duplice corso dell'Istro", sia che individuino le sedi dei Triballi nelle varie fasi della loro storia e rechino così un contributo punto spregevole alla politica e strategia "balcanica" di Filippo e di Alessandro. Significativo, altresì, è il temperato anti-mommsenismo della memoria soliniana, in quanto partecipe del pregiudizio, diffuso tra la fine dell'Ottocento e i primi anni del Novecento, sostanzialmente, o criticamente, favorevole al tardo Mommsen erudito, a detrimento, invece, del maggior Mommsen, il Mommsen "storico".
Probabilmente da quest'impostazione e in questa temperie nacque la Storia dell'Impero romano dal 44 av. C. al 395 dopo C., per la vallardiana Storia politica d'Italia, scritta da una società di professori (Milano s. d., ma 1901), variamente rivista e ristampata di poi, che ha il merito, o il demerito, dì essere una pura e semplice narrazione, o raccolta di date. Nonostante l'esempio eminente, e non imitato, del cosiddetto quinto volume della Storia del Mommsen, esula, invero, dal libro del C. l'intera e variegata realtà delle province, come totalmente difetta qual si voglia indicazione bibliografica o accenno alle fonti (vuoi letterarie vuoi epigrafico-monumentali).
Il carattere meramente "biografico" del libro, cioè il racconto delle personali vicissitudini dei singoli pretendenti o detentori del potere, esclude, o porta l'autore ad escludere la disamina di qual si voglia problema di fondo (occidentalismo ed orientalismo, impero dinastico-domestico e/o impero "adottivo", militarismo, espansionismo conquistatore e/o conservatismo difensivo, ecc.): nulla la considerazione del rapporto Chiesa-Stato, ancor prima e a prescindere dalla storia dell'affermarsi e del vittorioso imporsi del cristianesimo, fra Costantino e Teodosio, com'è parimenti nulla la riflessione sulla vita culturale dell'impero, cioè su quello che l'impero ha storicamente significato. Né sostanzialmente diversa per metodo e impostazione è un'altra, assai più tarda, scrittura "imperiale" del C., la conferenza su Settimio Severo (nel volume, miscellaneo, edito dall'Istituto di studi romani, Milano 1935, Africa romana, pp. 107-122), dove quasi più spazio è dedicato al geografismo descrizionistico africano anziché all'opera dei Severi, e rapido l'autore sorvola sul "provincialismo", militarismo e misticismo dei sovrani della nuova dinastia.
Resta, quindi, a spiegare, se una spiegazione è mai possibile, come e perché il C., collega in Palermo di Giovanni Gentile, maestro e collega di suoi discepoli (Omodeo, Carabellese, Fazio-Allmayer, ecc.), vissuto allorquando nella sua università maturava, e di lì trionfalmente si diffondeva, l'idealismo attuale, con una rivoluzionaria disamina e soluzione dei problemi dell'educazione, della storiografia, ecc., e pur benevolo (dopo essere stato correlatore severo della sua tesi di laurea) alle fortune concorsuali dell'Omodeo (che contribuì a mettere in cattedra, sul finire del 1922, quale professore straordinario di storia antica a Catania, come aveva contribuito nel 1900 alla vittoria universitaria di Gaetano De Sanctis), sia rimasto impervio e insensibile al rinnovamento culturale promosso dall'idealismo. Era, del resto, rimasto sostanzialmente impervio prima d'allora anche al vario moto ideologico-storiografico degli anni Novanta, dal positivismo al materialismo storico e da questo all'idealismo.
Il suo discorso accademico (Palermo 1899), Storia e metodo storico, se pure non isfuggì al vigile interesse del Croce (Primi saggi, Bari 1927, p. 1911 n. 1), resta, infatti, singolare documento dell'incapacità a superare lo scientismo nella dialettica - e lo stesso filologismo nello scientismo -.
l C., invero, a un tempo tutto accetta e tutto rifiuta, dubita inizialmente della validità delle varie discussioni impegnate in Italia sulla storia come arte o come scienza (e, se scienza, scienza in termini di scienze "esatte" o di materialismo storico), per concludere che "il procedimento" dello storico nell'analisi delle testimonianze, cioè nella critica delle fonti, "è... lo stesso di quello che si tiene nella pratica giudiziaria"; e che lo storico ha il debito "di una oggettività assoluta nella sua ricerca, di una applicazione rigorosa del metodo di ricerca; di non far servire i fatti a nessuna tesi, né religiosa ne politica, né sociale; di non ammettere altra interpretazione dei fatti umani se non quella ch'è circoscritta dalla natura medesima dell'uomo, di fare una distinzione scrupolosa tra il certo, il probabile ed il possibile. E qui il suo compito è finito" (forse prima di essere iniziato ...).Può essere dubbio se il C. nella sua attività di studioso, sempre più incline al conformismo accademico-politico, abbia tenuto fede a questo programma di scientistica (e sostanzialmente inattuabile) "oggettività assoluta". Non è dubbio, però, che, date queste premesse e la sua impermeabilità successiva all'idealismo e/o all'attualismo, il C. non poteva riuscire diverso da quale fu. Né quindi sorprende che, morto in Palermo il 22 nov. 1947, il C. non lasciasse, a sopravvivergli, né una scuola né un libro.
Oltre alla sua attività accademica (era stato messo a riposo nel 1936), svolse numerosi incarichi di impegno culturale e civile: particolarmente meritevole l'opera di salvataggio e di ricostituzione del patrimonio archeologico di Messina dopo il terremoto del 28 dic. 1908).
Nel 1918 fu presidente della commissione provinciale per il servizio di volontariato civile, nel 1919 dell'università popolare e dal 1921 al '27 della Congregazione di carità di Palermo. Socio fin dal 1901 della R. Accademia di Palermo, ne fu poi vicepresidente dal 1927 al 1933 e presidente dal 1938 al 1943. Fu commissario nel 1934-35 della Regia Deputazione sopra gli studi di storia patria per la Sicilia; in quest'ultimo anno fu anche commissario della Società di storia patria.
Socio di numerose accademie italiane, come l'Accademia delle scienze di Bologna, la R. Accademia di Napoli, nel 1933 rappresentò la sua università al Congressso internazionale di scienze storiche a Varsavia. Aveva svolto nel 1928 una missione ministeriale presso le scuole italiane di Salonicco e Costantinopoli e nel 1940-1943 fu presidente del R. Educandato Maria Adelaide.
Fu nominato senatore del Regno nel 1939.
Fonti e Bibl.: P. Grasso curò la (postuma) bibliografia degli scritti a stampa del C., in Boll. dell'Accad. di sc., lettere e belle arti di Palermo, 1949, pp. 37-54. Vedi, inoltre, P. Ercole, G. M. C.: Virgilio e la Sicilia, in Annali d. R. Scuola normale di Pisa, lett., st.. e filos., s. 2, II (1933), pp. 385-399; A. Omodeo, Lettere, a cura di E. Omodeo Zona-P. Serini, Torino 1963, ad nomen; Carteggio Gentile-Omodeo, a cura di S. Giannantoni, Firenze 1975, ad nomen; A. Omodeo, Tradizioni morali e disciplina storica, Bari 1929, p. 10 ("forse qualcosa ho appreso dalla lucida acuta e tenace analisi dei documenti storici di Gaetano Mario Columba"); Enc. Ital., App. II, 1, p. 651. Sul C. "critico virgiliano", cfr. G. Mambelli, Gli studi virgiliani nel secolo XX, Firenze 1940, I, pp. 228-230; G. Funaioli, Studi di lett. antica, II, 1, Bologna 1947, pp. 142 s.