Mosca, Gaetano
Giurista e storico delle dottrine politiche (Palermo 1858-Roma 1941). Professore (dal 1896) nell’univ. di Torino, poi nell’univ. commerciale Bocconi di Milano, infine (1923-33) nell’univ. di Roma. Fu deputato al Parlamento (1908), sottosegretario di Stato per le Colonie (1914), senatore del regno (dal 1919), socio nazionale dei Lincei (1930). Già nell’opera giovanile Teorica dei governi e governo parlamentare (1884; 2ª ed. 1925, ristampa nella raccolta postuma Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica, 1958) è formulata la sua teoria della «classe politica». Esclusa l’esistenza di un sistema basato sul potere di una sola persona e della maggioranza del popolo, M. affermava che tutte le funzioni pubbliche sono sempre esercitate da una classe speciale di persone. Ogni classe politica, al fine di legittimare il proprio potere, si serve poi di un principio astratto pretendendo di ripetere la propria autorità da un sovrano, il quale poi a sua volta la riceve da Dio oppure dalla volontà popolare. Radicalmente avverso al regime parlamentare, M. ne denunciava le origini economiche: così, in Italia, i deputati per M. rappresentavano per la maggior parte la proprietà fondiaria e il capitale, e solo in minima parte le aspirazioni delle classi operaie. Contro l’individualismo liberale, M. riteneva assurdo e contraddittorio il dogma della non ingerenza dello Stato nei problemi economici e sociali, giacché l’accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi trova garanzia e salvaguardia proprio nel sistema politico generale. Occorre, invece, un intervento attivo del potere pubblico per la distribuzione più equa delle ricchezze: M. proponeva, così, una soluzione gradualistica del problema sociale, senza nascondere la sua propensione per la classe media intellettuale. Occorreva mutare tutta la classe politica sulla base del merito personale e della capacità tecnica. Già nel corso del decennio successivo la posizione di M. subì un cambiamento notevole: da critico del sistema parlamentare, egli ne divenne illustre difensore. Nella prima edizione degli Elementi di scienza politica (1896; 2ª ed. ampliata 1923) M. ammetteva che, nelle condizioni del momento, la soppressione delle assemblee rappresentative sarebbe stata seguita da un regime assoluto, o meglio burocratico. Tale convinzione si rafforzò nel momento più grave della crisi del regime parlamentare. Nei suoi scritti del 1925, Stato liberale e stato sindacale e Il problema sindacale (ora nell’altra raccolta postuma Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, 1949), M. individuava la maggior minaccia alla sussistenza dello Stato liberale e al predominio della classe media nell’avvento di un ordinamento sindacalista, che avrebbe dato la prevalenza alle classi più numerose e meno colte.