Mosca, Gaetano
Scienziato della politica e costituzionalista, Mosca nacque a Palermo nel 1858 e morì a Roma nel 1941. Dopo la laurea in giurisprudenza presso l’ateneo della sua città, con una tesi su I fattori della nazionalità, si trasferì nella capitale per seguire gli insegnamenti di Angelo Messedaglia, all’epoca direttore della Scuola economico-amministrativa dell’Università di Roma. Nel 1884 pubblicò Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare, in cui per la prima volta delineava la sua fortunata dottrina della «classe politica». Dopo la libera docenza in diritto costituzionale, che ottenne nel 1885, vinse il concorso a revisore dei resoconti parlamentari presso la Camera dei deputati, incarico che svolse dal 1887 al 1897 e che si rivelò un osservatorio privilegiato per le sue ricerche sulle trasformazioni delle istituzioni parlamentari e rappresentative. Nel 1896 apparve la prima edizione degli Elementi di scienza politica (la seconda, largamente ampliata, sarebbe uscita nel 1923). Fu eletto deputato dal 1909 al 1919, anno in cui fu nominato senatore del Regno. Svolse gran parte della sua carriera accademica a Torino (a partire dal 1896) e a Roma (dal 1924 al 1933). Fu tra i firmatari, nel 1925, del manifesto di Benedetto Croce, nato come replica a quello sottoscritto dagli intellettuali fascisti. Negli anni del regime mussoliniano mantenne una posizione politicamente defilata, preferendo concentrarsi sugli studi. L’ultima sua opera importante, pubblicata nel 1933, furono le Lezioni di storia delle istituzioni e delle dottrine politiche.
Insieme a Vilfredo Pareto (→) e Roberto Michels (→), Mosca appartiene a quel filone della sociologia realistica che gli storici del pensiero politico definiscono «elitista» e che proprio nell’Italia a cavallo tra Ottocento e Novecento ha trovato il suo più originale laboratorio intellettuale. Ma l’etichetta con la quale questi autori sono spesso indicati è quella, coniata da James Burnham in un fortunato volume (1943), di «neo-machiavelliani». Essi apparterrebbero (insieme a Georges Sorel) a una tradizione, inaugurata appunto da M., che considera la politica in una prospettiva rigorosamente scientifica, antideologica e fattuale. Secondo Burnham, i tratti che qualificano la «politica scientifica» – da lui contrapposta alla «politica come aspirazione», che ha la sua fonte nel De monarchia di Dante – sono
l’accurata e sistematica descrizione dei fatti pubblici, il tentativo di trarre da una serie di questi fatti delle leggi e, per mezzo di tali operazioni, il tentativo di predire con un certo grado di probabilità gli eventi futuri (Burnham 1943, trad. it. 1997, p. 22).
Mosca, in particolare, avrebbe ripreso il metodo scientifico machiavelliano – basato sull’analisi storica e sull’indagine empirica e finalizzato a «dedurre da una serie di fatti dei principi generali o delle leggi» (p. 31) –, lo avrebbe potenziato attraverso lo strumento della comparazione tra regimi politici e modelli costituzionali, per poi applicarlo allo studio dello Stato moderno e della democrazia parlamentare. La tendenza universale o legge politica da lui individuata attraverso questo approccio ‘machiavelliano’ allo studio del potere e delle istituzioni, alla quale resta legata la sua fama ancora oggi, è stata l’esistenza in tutte le società organizzate di una ristretta minoranza (la classe politica o dirigente) che ha nelle sue mani il governo e la gestione della cosa pubblica.
Questa caratterizzazione di Mosca quale erede novecentesco del Segretario fiorentino, così come sviluppata da Burnham, ha avuto vasta circolazione e grande fortuna critica. Ma non sembra trovare un adeguato fondamento nell’opera dello studioso palermitano, che non soltanto ha sempre rifiutato una genealogia tanto stringente, ma negli scritti espressamente dedicatigli ha criticato M. proprio per la sua mancanza di rigore analitico, di metodo scientifico e di un’adeguata conoscenza della storia, arrivando a negare che possa essere considerato il fondatore e il precursore di una vera scienza politica.
A parte le citazioni dai Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e i richiami al Principe sparsi nei suoi studi, compresi quelli giovanili, il giudizio critico moschiano su M. si trova espresso in forma organica e definitiva in un saggio apparso in Francia nel 19251926 nella «Revue des sciences politiques» (tradotto in italiano nel 1927) e nel lungo capitolo a lui dedicato della Storia delle dottrine politiche, apparsa in edizione definitiva nel 1937.
Nel primo dei due testi, Mosca richiama in modo esplicito le valutazioni negative che sull’opera machiavelliana erano state espresse, nella seconda metà dell’Ottocento, da Giuseppe Ferrari (→) e Alfredo Oriani (→): per entrambi M. era da considerare un politico inavveduto, uno storico inaffidabile e un pensatore scarsamente coerente. Anche per l’autore degli Elementi di scienza politica M. – che pure aveva genialmente intuito che «la spiegazione della prosperità e della decadenza degli organismi politici va ricercata [...] nella storia del loro passato» e che «in tutti i popoli arrivati ad un certo grado di civiltà si possono riscontrare alcune tendenze politiche generali e costanti» (G. Mosca, Scritti su Machiavelli, a cura di A. Campi, 2014, p. 49) – non è mai giunto a una comprensione realmente scientifica dei fenomeni politici: la sua, scrive Mosca, può essere definita «arte politica» (che è «lo studio dei mezzi idonei per arrivare al potere e per conservarlo»), non «scienza politica» (che è invece la «conoscenza delle cause i cui effetti hanno determinato la grandezza o la decadenza di un popolo o di una civiltà», Ciò che la storia potrebbe insegnare, in Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica, 1958, p. 5). A M. sono mancati, in particolare, i materiali storici adeguati a una simile impresa, il che si spiega con il fatto che alla sua epoca, secondo lo studioso palermitano, «l’indagine e la critica storica erano all’infanzia, anzi forse non erano neppure nate» (Scritti su Machiavelli, cit., p. 49). La sua cultura storica, oltre che limitata a Roma e alla Grecia, era inoltre eccessivamente libresca e intellettualistica: da qui l’erronea pretesa, da letterato più che da studioso, di modellare sull’antichità classica la politica del suo tempo. Come si legge nel manuale moschiano di dottrine politiche nella sua edizione definitiva, M., «come tutti quelli nei quali la maniera di pensare si è formata a preferenza sui libri, è soprattutto un idealista teorico, e, come quasi tutti gli idealisti, è qualche volta un ingenuo» (Scritti su Machiavelli, cit., p. 79). Quanto ai precetti e alle massime contenuti soprattutto nel Principe, a dispetto del crudo realismo e della profondità psicologica che sembrano contraddistinguerli, essi presentano in molti casi uno scarso valore operativo per l’uomo d’azione che dovrebbe avvalersene. M., scrive il pensatore siciliano nel testo del 1937,
eccelle certamente nella conoscenza generica dell’uomo ma s’inganna di frequente nell’apprezzamento degli individui, e perciò i suoi precetti sono spesso generici e di scarsa utilità nei casi pratici (pp. 79-80).
Senza contare che aver svincolato in modo assoluto la politica dai valori morali non corrisponde, nella visione moschiana, a quella che è l’effettiva esperienza storica degli uomini allorché agiscono nella sfera politica e del potere.
Più che un machiavelliano ortodosso, come è spesso stato descritto, Mosca pare essere stato piuttosto l’epigono di una corrente di antimachiavellismo di matrice per così dire laica e storicistica, che al Segretario fiorentino non ha imputato tanto l’assenza di fede religiosa e il dichiarato cinismo, quanto, paradossalmente, una mancanza di realismo e di aderenza alla dimensione storico-contingente della lotta politica, a beneficio di una concezione della storia e del potere calcata su ideali di stampo classico-umanistico e sin troppo influenzata dalle sue visioni da artista e letterato.
Bibliografia: Il Principe di Machiavelli quattro secoli dopo la morte del suo autore (1927), in Id., Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica, Milano 1958, pp. 673-720; Scritti su Machiavelli, a cura di A. Campi, Perugia 2014.
Per gli studi critici si vedano: J. Burnham, The Machiavellians, defenders of freedom, New York 1943 (trad. it. Milano 1997); G.M. Barbuto, Gaetano Mosca e l’Antimachiavelli di Ferrari e Oriani, in Machiavelli e la cultura politica del meridione d’Italia, Atti del Convegno, Napoli 27-28 novembre 1997, a cura di G. Borrelli, Napoli 2001, pp. 247-60.