PERUSINI, Gaetano
PERUSINI, Gaetano. – Terzogenito di Andrea Perusini e di Paolina Cumano, nacque il 24 febbraio 1879 a Udine, dove frequentò il liceo classico diplomandosi nel 1895.
Particolarmente versato per le lettere e la filosofia, si iscrisse alla facoltà di medicina di Pisa: una scelta ispirata dall’esempio del padre, prematuramente scomparso, che aveva lasciato «larga fama di sé per la sua opera illuminata di organizzazione degli Istituti ospitalieri, specialmente di quelli destinati all’assistenza dei pazzi» (Cerletti, 1916, p. 194).
A Pisa il giovane mostrò da subito un particolare interesse per l’antropologia, il cui insegnamento, tenuto da Guglielmo Romiti, inserì fra i corsi a scelta dei primi tre anni. Nel 1899 si trasferì all’Università di Roma, dove seguì le lezioni di clinica psichiatrica (Ezio Sciamanna) e di neuropatologia (Giovanni Mingazzini), oltre al corso libero di psichiatria tenuto da Augusto Giannelli, nella cornice del quale prese forma il progetto per la sua tesi di laurea su L’apparecchio passivo di masticazione nei delinquenti, di cui sarà relatore Sante De Sanctis.
Laureatosi nel 1901 con una tesi che sarebbe stata pubblicata l’anno seguente e recensita da Cesare Lombroso (L’apparecchio passivo di masticazione nei delinquenti, in Rivista di discipline carcerarie, 1902, XXXI, pp. 152-209; C. Lombroso, Dott. Gaetano Perusino. L’apparecchio di masticazione nei delinquenti. Roma 1902, in Archivio di psichiatria, scienze penali ed antropologia criminale, XXIV (1903), pp. 127 s.), Perusini si iscrisse ai corsi di perfezionamento in clinica psichiatrica, neuropatologia, psichiatria e anatomia dei centri nervosi, tenuti rispettivamente da Sciamanna, Mingazzini, Giannelli e Primo Dorello. Frequentò inoltre il manicomio di S. Maria della Pietà, dove fu attivo sia presso il laboratorio anatomopatologico diretto da Mingazzini, sia presso le sale d’osservazione, dove veniva svolto l’esame clinico dei ricoverati.
Fin dalle sue prime pubblicazioni su temi di antropologia criminale, Perusini manifestò una spiccata chiarezza epistemologica che sarebbe rimasta la cifra del suo pensiero. A fronte dei vasti dibattiti teorici sul concetto di degenerazione, si soffermò sull’esigenza di pervenire alla definizione di un sistema standardizzato di raccolta dei dati, a cui associò il richiamo a un impiego non accessorio né velleitario della statistica, da lui intesa come strumento fondamentale per padroneggiare con rigore il complesso intreccio delle variabili in gioco nel comportamento umano normale e patologico: il numero, insomma, non come mezzo di conferma di assunti e teorie, ma come mezzo di verifica dei fatti e ausilio euristico nell’elaborazione di ipotesi fondate (Sul significato dei diastemi dentari, in Atti della Società romana di antropologia, IX (1903), pp. 281-301; Contributo allo studio dei vortici dei capelli, in Archivio di psichiatria, scienze penali e antropologia criminale, XXIV (1903), pp. 214-221; Sui caratteri detti ‘degenerativi’ delle sopracciglia, in Atti della Società romana di antropologia, XII (1906), pp. 279-297; Sulla uniformità delle misure cefalometriche, in Rivista sperimentale di freniatria, XXXIV (1908), pp. 282-285).
Perorando così, in campo antropologico, la causa di una diversa gestione razionale della complessità umana, Perusini criticò il semplicismo della ‘ideologia della misurazione’ di una antropometria nella quale l’uomo, per effetto della tirannica «suggestione di matematica esattezza che emana dalle cifre», veniva ridotto a «giuoco per lo più senza senso di rette e di curve»: i numeri, come avrebbe più volte ribadito, «sembrano dotati di una virtù magica capace, da sola, di aprire le porte dell’ignoto. Il che non è affatto, sfortunatamente» (Il problema antropometrico nel cretinismo endemico, in Rivista sperimentale di freniatria, XXXII (1906), pp. 837-858, in particolare p. 849, con U. Cerletti; L’endemia gozzo-cretinica nelle famiglie, Roma 1907, con U. Cerletti).
Lo stesso richiamo al rigore metodologico ed epistemologico riecheggiava nel campo delle sue ricerche neuropsichiatriche e neuroistologiche. In particolare, in un contesto sempre più marcatamente orientato a interpretare le malattie mentali come semplici epifenomeni di disturbi del sistema nervoso, Perusini intervenne a segnalare l’inconsistenza di letture eziologiche univoche, facendo notare come proprio l’anatomia patologica avesse ormai «accertato che cause diverse possono produrre alterazioni identiche», mostrando così la vanità dello sforzo «di cercare costantemente un’unica determinante» (La sindrome miotonica, in Rivista di patologia nervosa e mentale, IX (1904), pp. 153-191, in particolare p. 185, con G. Mingazzini).
Quello dell’anatomia patologica del sistema nervoso era del resto un campo che Perusini ben conosceva; avviatovi da Mingazzini fin dagli anni dell’università, continuò a occuparsene anche in seguito sotto la direzione di Augusto Tamburini, chiamato a Roma nel 1905-06 per succedere a Sciamanna alla cattedra di clinica psichiatrica. Approfondì inoltre la sua formazione in questo settore effettuando, fin dal 1904, ripetuti soggiorni all’estero: a Monaco, dove lavorò con Hans Schmaus, Emil Kraepelin e Alois Alzheimer, e a Zurigo, con Constantin von Monakow (L’anatomo patologo in manicomio, in Rivista sperimentale di freniatria, XXXIII (1907), pp. 333-337; Alcune proposte intese ad un’unificazione tecnica nella raccolta del materiale per ricerche sul s.n.c. dell’uomo, ibid., pp. 976-983).
L’esempio della scuola di Monaco diretta da Kraepelin rappresentò per lui un punto di riferimento cruciale, di cui nel 1907 riferì al pubblico italiano sulle pagine della Rivista sperimentale di freniatria, parlando dei corsi internazionali di perfezionamento lì svolti: iniziative caratterizzate dal confronto di diverse branche della ricerca «volte a studiare concordi il malato mentale […] il più completamente e il più profondamente possibile». Occasioni di incontro dove, a fianco dell’anatomia patologica, non si dimenticava il ruolo e l’importanza della psicologia, come dimostravano sia le lezioni cliniche tenute da Kraepelin, sia quelle di Wilhelm Specht, psichiatra fenomenologo antelitteram nonché futuro fondatore degli Zeitschrift für Pathopsychologie, a cui collaborarono figure quali Hugo Münsterberg, Oswald Külpe e Henri Bergson (I corsi di perfezionamento nella clinica del Kraepelin, in Rivista sperimentale di freniatria, XXXIII (1907), pp. 1009-13; cfr. Un caso di alalia idiopatica di Coën, in Rivista di patologia nervosa e mentale, IX (1904), pp. 49-76).
La collaborazione con Alzheimer, da cui scaturirono i suoi studi sull’omonimo morbo (Über Klinish und histologisch eigenartige psychische erkrankungen des späteren lebensalters, in Histologische und Histopathologische Arbeiten, III (1910), pp. 297-351; Sul valore nosografico di alcuni reperti caratteristici per la senilità, in Rivista italiana di neuropatologia, psichiatria ed elettroterapia, IV (1911), pp. 145-171, 193-232), deve essere inserita in questa cornice. È infatti a Monaco che Perusini maturò e precisò il disegno per una nuova epistemologia della psichiatria esposto in L’anatomia patologica in psichiatria, scritto del 1909 di chiara impronta polemica e programmatica.
Egli vi individuava nella tendenza a ridurre «l’enorme complessità dei problemi» tipica dello scientismo psichiatrico un ostacolo capitale per l’avanzamento delle conoscenze sulle malattie mentali: se nell’analisi dei processi elementari la patologia poteva essere concepita come studio «dell’alterata meccanica molecolare», ciò non risultava tuttavia a suo avviso sufficiente per lo studio del comportamento umano in psichiatria, disciplina dotata, rispetto alle altre scienze mediche, di posizione e statuto peculiare, come già evidenziato nel 1902 dallo psichiatra tedesco Robert Gaupp nel provocatorio discorso Sui limiti del sapere psichiatrico, di cui Perusini rilanciò nel suo scritto l’appello alla prudenza epistemologica (L’anatomia patologica in psichiatria. Suoi fini, suoi mezzi, in Rivista sperimentale di freniatria, XXXV (1909), pp. 298-342).
Dal punto di vista professionale, sembra che la posizione eccentrica e critica di Perusini nei confronti dell’establishment teorico dell’epoca non giovò alla causa della sua affermazione universitaria. Nominato prima assistente (1907) e poi preparatore (1908) presso la clinica psichiatrica di Roma, di fatto non poté mai ottenere una posizione accademica stabile. La libera docenza in clinica delle malattie nervose e mentali, negatagli nel 1907 dal Consiglio superiore della pubblica istruzione a causa dell’impostazione da lui seguita, ritenuta non specificatamente psichiatrica perché di stampo pluralista e ‘transdisciplinare’, gli venne conferita solo nel 1910, dopo la pubblicazione delle ricerche condotte con Alzheimer. Nel 1913, inoltre, pur avendo vinto il posto di primario presso il manicomio milanese di Mombello, Perusini si vide negare dal Consiglio provinciale, per votazione non motivata, la ratifica di quella nomina; entrò pertanto a Mombello in qualità di semplice assistente. Vi rimase, tuttavia, per poco: arruolatosi in guerra, trovò la morte a soli trentasei anni sul fronte, nel dicembre del 1915, colpito dallo scoppio di uno shrnapel durante le operazioni di evacuazione dei feriti da un ospedale da campo a Cormons (Gorizia).
Fonti e Bibl.: Pisa, Archivio storico dell’Università, Facoltà di medicina e chirurgia, matricola 4999; Roma, Archivio storico Università di Roma La Sapienza, Medicina e chirurgia, Verbali degli esami di laurea, XVII; Archivio centrale dello Stato, Ministero della pubblica istruzione, Direzione generale istruzione superiore, Liberi docenti (1910-1930), Divisione I, Posizione II, b. 252, ad nomen.
G. Volpi Ghirardini, Il Prof. Dott. G. P., in Atti dell’Accademia delle scienze, lettere e arti di Udine, XXI (1915), pp. 63-65; U. Cerletti, G. P.: quindici anni di lavoro per la scienza nell’Italia prima della guerra, in Rivista sperimentale di freniatria, XLI (1916), pp. 193-233; G. Perusini Antonini, Un secolo nella memoria, Trieste 1974, pp. 80-83, 93-100; The early story of Alzheimer’s disease, a cura di K. Bick - L. Amaducci - G. Pepeu, Padova 1987, pp. 82-147; G. E. Berrios, Alzheimer’s disease: a conceptual history, in International Journal of geriatric psychiatry, 1990, V, pp. 355-365; K. Maurer - U. Maurer, Alzheimer. La vita di un medico. La carriera di una malattia, Roma 1999, pp. 163-165; L’Ospedale S. Maria della Pietà di Roma, I-II, Bari 2003, pp. 189-200; R. Passione, Ugo Cerletti. Il romanzo dell’elettroshock, Reggio Emilia 2007, pp. 32-36, 45-49; V.P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Bologna 2009, pp. 34-39, 301-305; B. Lucci, Memoria e oblio. G. P. neurologo europeo, Padova-Trieste 2010 (si rimanda a questo volume anche per la completa bibliografia dei lavori di Perusini); M. Borri, Storia della malattia di Alzheimer, Bologna 2012, pp. 61-72; B. Lucci, La memoria ritrovata. G. P. e Alois Alzheimer, Padova-Trieste 2012; R. Passione, Per un’epistemologia della complessità. G. P. nella storia della psichiatria italiana, Roma 2013.