SACCHI, Gaetano
– Nacque a Pavia il 6 dicembre 1824 da Pasquale e da Antonia Cucchi.
Di famiglia facoltosa, ebbe tra i compagni della sua adolescenza, quando frequentava assiduamente casa Cairoli, alcuni dei futuri protagonisti del Risorgimento pavese, ma nel 1842 rovesci economici familiari lo costrinsero a lasciare gli studi e il suo ambiente d’origine per impiegarsi nella Marina mercantile. Dopo una prima esperienza di viaggio, economicamente disastrosa, in America Latina, Sacchi vi fece ritorno nel 1843: fu uno snodo cruciale nella sua vicenda biografica e politica. In quell’anno, infatti, si arruolò nella neonata Legione italiana guidata da Francesco Anzani e Giuseppe Garibaldi, nelle cui file raggiunse ben presto il grado di capitano, partecipando nel 1843-44 alla difesa di Montevideo e nel 1846 alla celebre battaglia di San Antonio del Salto, durante la quale rimase gravemente ferito.
In quel periodo si unì in matrimonio con l’uruguayana Encarnación de Lyon Garabito, con la quale ebbe un figlio, Paolo. Ella, al pari dell’amica Anita, usava condividere con il proprio compagno la vita del campo.
Le notizie e il richiamo degli avvenimenti europei passati alla storia come la ‘primavera dei popoli’ avevano raggiunto anche gli italiani in America Latina e il 15 aprile 1848 Sacchi fu tra i sessantatré che salparono con Garibaldi facendo rotta verso il vecchio continente. Sbarcato a Nizza il 23 giugno, a inizio luglio Sacchi tornò a Pavia, dove gli fu affidata l’organizzazione dei volontari locali: in quei mesi, pur essendo presente allo scontro di Luino il 15 agosto, la sua partecipazione attiva sui campi di battaglia in Lombardia fu limitata dai postumi della ferita che si era procurato in Uruguay, ma ciò non lo trattenne, nel 1849, dal seguire il generale sulle rive del Tevere e prendere parte alla difesa della Repubblica Romana, distinguendosi in particolare nelle battaglie di Palestrina e di Velletri e nella resistenza sul Gianicolo. Arrivato a Roma con il grado di capitano, la sua valente condotta militare gli valse la nomina a colonnello. In tale qualità, dopo la resa della Repubblica, ebbe un ruolo fondamentale nell’esodo dei circa tremila volontari garibaldini, assumendo a Tivoli il comando della seconda Legione e mantenendolo fino allo scioglimento del corpo a San Marino.
Avrebbe rievocato in seguito quegli eventi nella Relazione dell’assedio di Roma del 1849 (Soriga, 1913, pp. 64-83), dove peraltro espresse il parere, che fu anche di Garibaldi, secondo cui sarebbe stato preferibile affrontare in campo aperto gli eserciti che minacciavano la Repubblica piuttosto che concentrare lo scontro attorno alle mura della città.
Dopo la fine del biennio rivoluzionario si ritrasse apparentemente dall’impegno politico e si guadagnò da vivere per qualche tempo come pilota di vaporetti nella tratta del Po fra Pavia e Mantova. Proprio navigando verso la foce del fiume, ebbe modo di raccogliere notizie sulla fine di ‘Ciceruacchio’ (Angelo Brunetti), dei suoi figli, di Stefano Ramorino e di Lorenzo Parodi, fucilati dagli austriaci a Ca’ Tiepolo il 10 agosto 1849, mentre tentavano di dirigersi verso Venezia. Del resto, il legame di Sacchi con gli ambienti patriottici e la fedeltà alla causa nazionale non erano mai venuti meno e, al suo ritorno in Lombardia dopo l’esperienza romana, non tardò a entrare in relazione con il gruppo mazziniano pavese che aveva la sua figura di spicco in Benedetto Cairoli. Per aver diffuso libri proibiti Sacchi fu coinvolto nelle indagini che avrebbero condotto ai processi di Mantova, ma fece in tempo a riparare nel Regno di Sardegna e da lì nel 1853, partendo da Stradella con un centinaio di altri esuli – tra i quali lo stesso Cairoli, Giovanni Chiassi, Lajos Winkler e Achille Sacchi – tentò di partecipare al moto mazziniano milanese del 6 febbraio. Fallita l’iniziativa, emigrò a Zurigo e da lì decise di fare ritorno con la moglie e il figlio in Uruguay. Alla fine del 1856 si convinse a rientrare in Italia, spinto anche dalle insistenze degli amici, persuasi che un cambiamento delle condizioni politiche fosse imminente. Nel 1857 poté beneficiare della grazia imperiale rivolta agli uomini coinvolti nelle cospirazioni dei primi anni Cinquanta e, nell’attesa di potersi impegnare concretamente in qualche iniziativa militare, si stabilì a Genova trovando impiego presso una casa di commercio.
La seconda fase della sua vita sul campo di battaglia iniziò nel 1859, quando si unì di nuovo a Garibaldi entrando nel 2° reggimento dei Cacciatori delle Alpi con il grado di maggiore. In quei frangenti Sacchi si distinse in particolare nelle battaglie di Varese e di San Fermo del 26 e 27 maggio 1859, scontri nei quali i garibaldini ebbero la meglio sulle truppe asburgiche. Dall’armistizio di Villafranca (11 giugno 1859) fino alla proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861), appartenne a quel gruppo di ufficiali sospesi tra la prospettiva di una collocazione stabile nell’esercito regolare e il forte legame politico e affettivo con Garibaldi. Al seguito di quest’ultimo, posto alla guida dell’esercito della Lega dell’Italia centrale e poi retrocesso a comandante in seconda a beneficio di Manfredo Fanti, operò in Emilia dal settembre del 1859, organizzando il 4° reggimento di linea, di cui mantenne il comando anche dopo l’annessione di quei territori al Regno di Sardegna. Nella primavera del 1860, mentre si preparava la spedizione in Sicilia, Garibaldi lo persuase a non lasciare precipitosamente il suo ruolo di ufficiale dell’esercito regolare al vertice del 46° reggimento della brigata Reggio: del resto, Garibaldi aveva chiesto a Vittorio Emanuele l’autorizzazione a utilizzare quel corpo per la sua impresa. Caduta l’ipotesi per il rifiuto del sovrano, Sacchi si risolse alle dimissioni e il 19 luglio salpò da Genova guidando una delle spedizioni di supporto ai Mille di Marsala: poco meno di 2000 uomini a bordo del piroscafo Città di Torino che sbarcarono a Palermo tre giorni dopo. Quei volontari costituirono l’ossatura della IV brigata, operativamente aggregata alla divisione Türr, comandata da Sacchi in qualità di maggiore generale. Questa sua formazione, sbarcata a Villa San Giovanni nel settembre del 1860, partecipò alla risalita del Meridione continentale affrontando nel suo percorso diversi scontri, fino a prendere parte alle battaglie decisive di Caiazzo e del Volturno tra il 19 settembre e il 2 ottobre. Il 9 ottobre István (Stefano) Türr affidò il comando della sua divisione a Sacchi, il quale continuò comunque a guidare personalmente la propria brigata, coinvolta nell’assedio di Capua fino alla resa della fortezza il 2 novembre 1860. Il 16 di quello stesso mese Giuseppe Sirtori, capo di stato maggiore dell’esercito meridionale garibaldino, gli affidò la guida delle camicie rosse accantonate nel circondario di Caserta. Sacchi si trovò così a gestire con autorevolezza la fase tesa e delicata della smobilitazione dei volontari, prima direttamente in qualità di comandante e, in seguito, anche come membro della commissione di scrutinio incaricata di valutare i requisiti degli ufficiali garibaldini per la loro eventuale immissione nell’esercito regolare.
Alla sua esperienza nel Meridione Sacchi dedicò un’interessante ricostruzione a metà degli anni Settanta (Relazione sui fatti d’arme della Brigata Sacchi nella campagna del 1860 dal 19 luglio al 12 febbraio 1861, in Soriga, 1913, pp. 84-102), quando ormai la sua carriera militare aveva esaurito la fase attiva, dopo essere stato operativo durante il primo decennio postunitario.
Come ufficiale dell’esercito regolare del Regno d’Italia, in cui era entrato definitivamente nel 1862 con il grado di maggiore generale, prese parte alla terza guerra d’indipendenza, agendo nel Mantovano e in Valsugana e partecipando alla battaglia di Custoza. Nominato comandante della divisione militare di Catanzaro, dal 1868 fu impegnato nella lotta contro il brigantaggio in Calabria. Pur dichiarandosi consapevole, al pari dei settori più illuminati dell’ufficialità, di quanto le difficili condizioni sociali potessero favorire il proliferare del fenomeno e fornire una base di consenso all’azione delle bande, non si sottrasse all’uso di tutti i mezzi repressivi previsti. Nel 1870 ottenne il grado di tenente generale e nel corso degli anni gli furono conferite numerose onorificenze e diverse decorazioni, tra cui la medaglia d’oro per la difesa di Roma. Nel 1876 il suo cursus honorum si completò con la nomina a senatore, carica che ricoprì frequentando con assiduità l’aula di palazzo Madama.
Morì a Roma il 25 febbraio 1886.
Fonti e Bibl.: Archivio storico del Comune di Pavia, Fondo Risorgimentale, Fondo Gaetano Sacchi, 13 bb. (per cui si rimanda a M. Milani, Inventario della carte di G. S., Pavia 1963); necr., In memoria del generale G. S. Parole del senatore Augusto Pierantoni (tornata del 27 febbraio 1886), Roma 1886; Lettere inedite di Nino Bixio al generale G. S. con cenni illustrativi, a cura di L. Sasso, Roma 1910; G. Garibaldi, Epistolario, I-VI, Roma 1973-1983; VIII-X, Roma 1991-1997, ad indices.
G. Castellini, Eroi garibaldini, Bologna 1911, I, Da Rio Grande a Palermo (1837-1860), pp. 24-26, 29-33, 53, 57, 64 s., 72, 83, 86, 112, 117, 127, 140, 142, 162, 178-180, 258; II, Da Palermo a Digione (1860-1870), pp. 13, 25, 35, 46, 51, 53 s., 67, 77, 113 s.; R. Soriga, Dalle memorie di G. S. (1849-1860), in Bollettino della Società pavese di storia patria, XIII (1913), 1-2, pp. 59-102; M. Milani, Pavia e la spedizione dei Mille, Pavia 1962, pp. 103-107; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1964, pp. 110, 332; M. Milani, Romanzo militare, Milano 1987; G. Bruzzone, In margine alla biografia di G. S. (1824-1886). Un carteggio relativo ai viaggi in America (1841-1845), in Bollettino della Società pavese di storia patria, n.s., LII (2000), pp. 303-333; A. Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma-Bari 2007, pp. 89, 123, 169, 237, 295, 392; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/ web/senregno.NSF/S_l2?OpenPage.