STRAMBIO, Gaetano
STRAMBIO, Gaetano. – Nacque il 20 ottobre 1752 a Cislago, in provincia di Milano (ora di Varese), da Felicita Sacchi e da Antonio, medico (che fu assistente di Guglielmo Patrini presso l’ospedale Maggiore di Milano).
«Educato fin dai teneri anni nelle scienze preliminari» (Strambio, 1824, p. 214), compì gli studi presso il collegio Sant’Antonio di Lugano, appassionandosi alle lettere greche e latine. Si iscrisse quindi all’Università di Pavia, ove fu allievo di Giovanni Battista Borsieri e si addottorò nel 1775.
Assunse la condotta medica di Carnago, quindi, nel novembre del 1780, quella di Trezzo e Uniti dove, nel 1782, pare riuscisse brillantemente a debellare un’epidemia di «pneumo-epatitidi» (Sangiorgio, 1831, p. 651). Era ancora un «oscuro medico condotto» quando, due anni dopo, su segnalazione di Borsieri, archiatra dell’arciduca Ferdinando, fu chiamato a dirigere il primo e unico ospedale per pellagrosi in Europa, istituito a Legnano nella primavera del 1784 per volere di Giuseppe II, probabilmente su istanza del governo del Ducato di Milano (Strambio jr., 1890, p. 34).
La fondazione del pellagrosario fu la più rilevante, ma non la sola iniziativa che nel corso della prima dominazione austriaca il governo asburgico adottò al fine di promuovere la ricerca di un «sicuro rimedio» (Coppola, 1976, p. 147) alla malattia e di «conservare la parte più utile degli abitanti di codesto paese, quali sono i Contadini», come scriveva il cancelliere Wenzel Anton von Kaunitz al plenipotenziario in Milano Johann Joseph Wilzeck nel giugno del 1784 (Strambio jr., 1890, p. 14).
Nel marzo del 1784 Strambio accettò l’incarico, che tenne sino alla soppressione dell’ospedale nel dicembre del 1788. Dal giugno del 1784 alla fine del 1787 vi furono ricoverati 382 pellagrosi, 66 dei quali vi morirono.
Le osservazioni che egli ebbe modo di svolgere su quest’ampia casistica – delle quali inviò periodici resoconti al regio governo – furono quindi pubblicate per iniziativa di quest’ultimo: si tratta dei tre volumi De pellagra Caietani Strambio m.d. observationes in regio pellagrosorum nosocomio factae a calendis junii anni 1784 usque ad finem anni 1785 (s.l. 1786); De pellagra annus secundus, sive observationes quas in regio nosocomio, quod in oppido Legnani pellagrae morbo laborantibus augusta pietas constituit, Caietanus Strambio regius ejusdem nosocomii director collegit anno 1786 (Milano 1787); De pellagra annus tertius sive observationes, quas in regio Legnani nosocomio pellagrae morbo laborantibus constituto Caietanus Strambio m.d. collegit anno 1787 (Milano 1789).
Ciascun volume si divide in due parti: nella prima sono illustrate le Historiae, cioè i casi clinici, le Sectiones anatomicae e le Formulae medicaminum, nella seconda sono esposte le osservazioni generali («generalis morbis disquisitio» o «generales illationes») deducibili dai casi particolari e inerenti ai sintomi, alle cause remote e prossime della malattia e ai tentativi di cura.
Quanto ai sintomi, Strambio ha anzitutto il merito di aver ricondotto alla malattia alcune manifestazioni patologiche caratteristiche che i suoi predecessori avevano ignorato, tra le quali l’impulso maniacale a darsi la morte per annegamento, che egli propose di definire hydromania; più in generale fu dalle sue osservazioni indotto a concludere che la pellagra non fosse riducibile alla sola desquamazione cutanea, alla quale la malattia deve il proprio nome, e a proporre la definizione della pellagra quale sindrome («morbus chronicus totius corporis [...], sive [...] syndromes», Observationes, I, 1786, p. 145). L’indagine della causa prossima del male, sebbene si muovesse nel quadro della teoria umorale tradizionale, di fatto era orientata, sulla scorta della lezione di Giovanni Battista Morgagni, a stabilire delle relazioni tra i sintomi e le lesioni osservate in sede anatomica. In particolare, se nel trattato del 1786 egli suppose potesse essere imputabile una «acrimonia» dei fluidi corporei raccolti nell’encefalo, l’anno successivo fu indotto dai reperti autoptici a ipotizzare che il fomite del male fosse localizzato nella regione addominale.
Quanto alle cause remote della pellagra, la sua diffusione, circoscritta alle regioni nordoccidentali del Ducato, consigliò a Strambio di ricercarne l’origine nelle condizioni ambientali o di vita comuni agli abitanti di tali regioni. Quantunque, egli osservava, si dessero casi di pellagra anche tra individui ben nutriti, la relazione tra pellagra, cattiva alimentazione e miseria dei contadini gli appariva innegabile («sufficit considerare eam in agricolis & frequentius & atrocius saevire, in iis praesertim locis, ubi maiori praemuntur inopia», Observationes, II, 1787, p. 88, e III, 1789, p. 95); pertanto, egli attribuì all’alimentazione dapprima il ruolo di «concausa» (II, cit., p. 89), quindi quello di causa principale della malattia («causarum princeps», III, cit., p. 95). D’altra parte rilevò che il buon vitto contribuiva ad alleviare i sintomi e a ritardare la progressione del male, ma non bastava di per sé a eradicarne le cause. Nelle Observationes sfuggiva ancora a Strambio la relazione tra pellagra e monofagismo maidico, che pure egli registrava. Quando, in un secondo momento, pervenne a precisare tale nesso, ritenne che non si dovesse «accusare il mais in se stesso», quanto gli errati procedimenti di panificazione (Lettere del medico Gaetano Strambio ad un amico, Milano 1822, pp. 26 ss.). Per alleviare la miseria del popolo gli parve di non potersi spingere al punto di «proporre il pane di frumento ai contadini» – ciò che non appariva «in alcun modo compatibile con l’agricoltura dei nostri paesi» (pp. 28 s.) – e si limitò ad auspicare che «i buoni proprietari, i parroci zelanti ed i medici filantropi» si incaricassero di correggere gli errori popolari.
Dopo la soppressione del pellagrosario di Legnano, Strambio fu trasferito quale medico soprannumerario all’ospedale Maggiore, ove proseguì le sue ricerche sulla malattia. Nel 1794 diede alle stampe due Dissertazioni sulla pellagra (Milano), nelle quali compendiava e precisava le argomentazioni contenute nelle Observationes; nella seconda rispondeva alle critiche dei suoi detrattori e in particolare all’accusa di essere «sempre stato dubbioso» (p. 90). Egli riconosceva «di non aver saputo definire la pellagra con precisione; con questa mia ignoranza però – proseguiva – ho fatto un passo verso il sapere, dimostrando l’errore dei miei antecessori» (p. 20).
D’altra parte la «cartesiana dubitazione circoscritta da saggi limiti» era stata da lui adottata quale principio metodologico sin dagli esordi della carriera, allorché, smarrito nella selva delle teorie contrastanti e dei pretesi rimedi e ripugnandogli di gettarsi «nel vortice dell’empirismo» in spregio ai «principj della severa filosofia» ai quali era stato educato, si era proposto di sottomettere le ipotesi fondate sull’«opinione» e sull’«autorità» al vaglio della ragione e dei «fatti» desunti dall’osservazione clinica e anatomica (Strambio, 1824, p. 216). Tale orientamento epistemologico, che coniugava esperienze e raziocini, era da Strambio esplicitamente ricondotto al magistero di Ippocrate, al quale si richiamarono quanti nel Settecento intendevano valorizzare l’indirizzo clinico e pratico della medicina rispetto a quello teorico. Fu su queste basi che nel 1795 stigmatizzò le contraddizioni della teoria browniana dell’eccitabilità, la quale, scriveva, «offende il raziocinio e il medicare» conducendo a conclusioni «contrarie al fatto» (Riflessioni sul libro intitolato Johannis Brunonis etc. elementa medicinae, Pavia 1796, pp. 7, 17).
Nel 1801 si pronunciò a favore della pratica del vaccino antivaioloso, escludendo che l’inoculazione provocasse contagio, ma espresse le proprie riserve sulla sua efficacia profilattica, non avendo potuto testarla personalmente (Ferrario, 1861, pp. 30-36).
Promosso medico ordinario nel 1797, nel 1810 fu nominato direttore sanitario dell’ospedale Maggiore, carica che allo scadere del triennio gli venne rinnovata per altri tre anni. Nel 1817 chiese e ottenne la giubilazione. Dopo il pensionamento non rinunciò a intervenire nel dibattito scientifico, pubblicando su alcune riviste compilate dal figlio Giovanni una serie di contributi dedicati alle febbri intermittenti e ai traumi cranici (Giornale critico di medicina analitica, 1826, nn. 3, 6, 7; 1827, nn. 13, 18), agli «orecchioni» e a una malattia contagiosa dei buoi (Giornale analitico di medicina, 1828, nn. 28, 39).
Oltre a Giovanni (1780-1862) che si laureò in medicina nel 1802 e fece pratica con il padre nelle sale dell’ospedale Maggiore, dal suo matrimonio con Caterina Rimoldi nacquero sei figlie (di cui si ricordano una Felicita e una Camilla) e due figli, Antonio e Carlo.
Morì a Milano il 3 maggio 1831.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Pavia, Antico Archivio dell’Univesità di Pavia, Facoltà di Medicina, reg. 810 e cart. 691; Archivio dell’ospedale Maggiore di Milano, Direzione medica, Medici 1788 e Direttori 1810; i documenti relativi alla fondazione e alla gestione dell’ospedale di Legnano sono conservati in Archivio di Stato di Milano, Atti di Governo, Sanità parte antica, b. 277, e Luoghi pii parte antica, b. 199, ove sono conservati anche i manoscritti originali delle Observationes condotte da Strambio nei primi due quadrimestri di attività dell’ospedale.
G. Strambio, Alcune riflessioni sullo stato attuale della medicina indirizzate da un vecchio medico ai medici giovani, in Annali della medicina fisiologico-patologica, t. 1, Milano 1824, pp. 213-232; P. Sangiorgio, Cenni storici sulle due università di Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze fino all’anno 1816, a cura di F. Longhena, Milano 1831, pp. 650-660; E. Ferrario, La vita di G. S., in Gazzetta medica italiana. Lombardia. Appendice psichiatrica, s. 4, XX (1861), 6, pp. 17-21, 25-27, 30-36, 49-51, 57-60, 65-67; G. Strambio jr., La pellagra, i pellagrologi e le amministrazioni pubbliche. Saggi di storia e di critica sanitaria, Milano 1890; G. Castelli, G. S., il pioniere della lotta contro la pellagra (1750-1831), in L’ospedale Maggiore, XXIV (1936), 9, pp. 435-439; G. Coppola, La pellagra in Lombardia dal Settecento alla prima metà dell’Ottocento, in Le campagne lombarde tra Sette e Ottocento. Alcuni temi di ricerca, a cura di M. Romani, Milano 1976, pp 141-171; G. Armocida - C. Ambrosoli - L. Finavera, Alcune annotazioni su G. S. e la sua priorità nello studio della pellagra, in Rivista della Società storica varesina, 1981, n. 15, pp. 141-152.