SUSALI (Susalli, Fusali, Fusari), Gaetano
SUSALI (Susalli, Fusali, Fusari), Gaetano. – Nacque a Venezia nel 1697 circa da Benetto (Benedetto), di professione domestico (risulta sconosciuto il nome della madre). Il dato si ricava dal contratto d’apprendistato stipulato nel febbraio del 1712 (1711 more Veneto) tra il padre e lo scultore classicista e intagliatore in legno veneziano Antonio Tarsia, con il quale il quindicenne s’impegnò a rimanere per i successivi cinque anni (Cogo, 1996, p. 44; De Grassi, 1998, p. 97).
Non si possiedono informazioni relative alla sua prima attività, con ogni probabilità intrapresa all’inizio del terzo decennio del secolo come «maestro lavorante» – in grado cioè di assumere personalmente lavori – presso l’atelier dello stesso Tarsia. In questo periodo, infatti, Susali non risulta possedere una bottega propria, ma nei documenti viene indicato sin dal 1721 come «scultor» – avendo già superato la «prova d’arte» – abitante, come il maestro, nella parrocchia di S. Giovanni Decollato (De Vincenti, 2003-2004, p. 80).
Il 28 febbraio 1720 Susali sposò, nella chiesa di S. Giovanni Decollato, Elisabetta Ardito, che gli diede sei figli. L’atto di matrimonio e quelli dei battesimi comprovano lo stretto legame esistente ancora con la cerchia di Tarsia: suo testimone di nozze fu, infatti, un genero del maestro, tale Francesco Angeli, mentre nel 1723 fu padrino del terzogenito il celebre scultore Antonio Corradini, altro allievo e altro genero di Tarsia (Cogo, 1996, p. 44; De Vincenti, 2003-2004, pp. 79 s.). Il profilo professionale risulta comunque delineato nel 1724, quando Susali risulta iscritto nel primo elenco del neonato Collegio degli scultori (Cogo, 1996, pp. 64-66; De Vincenti, 2003-2004, p. 79), a cui appartenne poi, ricoprendo varie cariche, sino al 1771.
A questa prima fase dell’attività indipendente di Susali potrebbero appartenere i due Angeli reggicero, firmati, sull’altare maggiore della parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo a Castelgomberto (Vicenza). Le due figure palesano, infatti, qualche incertezza e ancora una forte dipendenza da Tarsia, in particolare dalle statue eseguite per i nobili Manin entro il 1717 (il gruppo del duomo udinese della Ricchezza e Parsimonia (o Sobrietà) e l’Arcangelo Raffaele degli Scalzi a Venezia).
Nel 1726 si colloca la prima attestazione di un legame con il poco noto Francesco Cadorin, collaboratore ed erede del defunto scultore Paolo Callalo, cui Susali dovette unirsi professionalmente già in quello stesso anno, che coincise con il passaggio a una nuova residenza nella parrocchia di S. Margherita, ove pure Cadorin viveva. La società tra i due scultori è in ogni caso certificata da un’annotazione dei registri della Giustizia Vecchia, che reca la data 3 novembre 1736, nella quale essi vengono definiti «compagni nel studio stesso» (De Vincenti, 2003-2004, pp. 80 s.).
Nel 1729 ebbe inizio la realizzazione del ciclo di statue marmoree che decorano gli altari della chiesa di S. Marcuola a Venezia, rifabbricata su progetto dell’architetto Giorgio Massari, con l’esecuzione del S. Bartolomeo posto in sagrestia. La serie di documenti noti (Massari, 1971, pp. 4-7, 53 s.; Sorato, 1979-1980, pp. 381-388) consente di stabilire una cronologia dei lavori: tra il 1729 e il 1730 venne realizzata la statua, ora perduta, di S. Pietro d’Alcantara per la cappella omonima, mentre alla fine del 1730 furono commissionate le figure di S. Elena e della Madonna con il Bambino, a cui può essere associato il bozzetto in terracotta conservato nel Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo (inv. 1956. 121/St.4.), sinora attribuito a Giovanni Maria Morlaiter. Nel 1732 si colloca con ogni probabilità il compimento delle statue dei santi Gaetano e Antonio Abate, mai nominate chiaramente nelle note spese, in cui genericamente si fa riferimento a uno «statuario» come loro autore. Nel corso dell’estate del 1735 furono poste sugli altari omonimi le figure dei santi Giuseppe, Pietro apostolo, Antonio di Padova e Giovanni Battista, mentre nell’ottobre dello stesso anno le due ultime statue della serie, il S. Ermagora e il S. Fortunato dell’altare maggiore, risultano ancora in lavorazione. Le statue evidenziano la maturazione del linguaggio classicista dell’artista, dimostrandosi tuttavia sostanzialmente ancora legate alle collaudate formule di Tarsia, da cui deriva il gusto per la definizione del singolo particolare, così come all’esempio di Antonio Corradini, che s’era imposto con il suo virtuosismo sulla scena artistica veneziana degli anni Venti. Analoghe osservazioni valgono per la documentata allegoria della Prudenza eseguita nel 1736 per la facciata della chiesa dei Gesuati, progettata sempre da Massari: impresa decorativa corale cui parteciparono pure gli scultori Francesco Bonazza, Giuseppe Bernardi Torretti e Alvise Tagliapietra (Niero, 1963; Sorato, 1979-1980).
Tra la fine degli anni Trenta e l’inizio del quinto decennio del secolo è plausibile collocare l’esecuzione di alcune statue attribuite allo scultore, i santi Pietro e Paolo della parrocchiale di Anguillara nel Padovano e la Madonna con il Bambino dell’altare del Carmine nella cattedrale di Chioggia – forse proveniente dalla chiesa di S. Francesco –, che ripropone l’omonima figura della chiesa veneziana sin quasi nel dettaglio (De Vincenti, 2003-2004, p. 86).
La condivisione della bottega con Cadorin perdurò perlomeno sino alla fine del quinto decennio del secolo, come attestano i catastici redatti nel 1745 e nel 1748 dai provveditori alle Pompe per l’imposizione e la riscossione della tassa attinente all’illuminazione pubblica veneziana (Montecuccoli Degli Erri, 1998, pp. 85 s., 130; De Vincenti, 2003-2004, p. 82). In questo periodo è documentata l’esecuzione di cinque statue in pietra d’Istria per la facciata della cappella del Suffragio di Udine, che furono saldate nel 1746, e raffigurano la Speranza e la Fede tra due Angeli sul coronamento, e la Madonna con il Bambino entro la nicchia sovrastante il portale (Goi, 1988, pp. 158, 161, 236). Il contributo di Susali si estese tuttavia all’interno della cappella, dove gli è stata assegnata, per via stilistica, la decorazione scultorea dell’altare, realizzato dal tagliapietra Santo Trognon tra il 1747 e il 1748, e comprendente le statue della Verginità e dell’Umiltà, dalle pose quasi speculari e dai volti sovrapponibili, che presentano i tipici caratteri delle figure femminili di S. Marcuola (De Vincenti, 2003-2004, pp. 85 s.). Appartiene plausibilmente a questa fase stilistica anche l’Angelo marmoreo apparso di recente sul mercato antiquario (Galerie Sismann, Parigi), colto in un atteggiamento più pacato, ma sostanzialmente simile all’omologo in pietra d’Istria posto a destra sulla facciata udinese.
In questo periodo dovrebbe porsi anche la realizzazione delle sculture dell’altare maggiore del santuario olivetano della Beata Vergine del Pilastrello a Lendinara, la cui costruzione, assegnata al tagliapietra veneziano Agostino Canziani nel 1743, dovette concludersi nel 1747 circa. L’insieme, attribuito sulla scorta dell’analisi stilistica, comprende una cimasa con varie figure di Angeli, in luogo della pala una cornice marmorea con Angeli che sorreggono la custodia con la venerata immagine della Madonna, e, ai lati della mensa, le statue della Verginità e dell’Umiltà, accostabili alle figure veneziane documentate (ibid., pp. 83-85). La cornice con il grande Angelo sulla sinistra appare elaborata sul modello di quella eseguita tra il 1737 e il 1738 da Giovanni Maria Morlaiter per l’altare di S. Domenico dei Gesuati a Venezia, ma la vorticosa organizzazione di quest’ultima si placa nell’interpretazione di Susali in un più ponderato schema ove nubi e figure si giustappongono senza fondersi.
Nel 1750 i registri dei provveditori alle Pompe indicano Susali ancora abitante nella parrocchia di S. Margherita, definendolo «marcante da pietre» e non scultore. Si tratta di un’annotazione che rivela come l’attività parallela svolta dall’artista, attestata sin dalla fine degli anni Venti (Goi, 1978, pp. 109, 132; De Vincenti, 2003-2004, pp. 82 s.), fosse divenuta con l’andar del tempo preponderante in ragione della crisi generale che aveva colto la scultura veneziana e su cui riferisce una nota ufficiale del 1757 presentata dal Collegio degli scultori alla milizia da Mar (De Vincenti, 2003-2004, p. 83). Tuttavia il sesto decennio fu il periodo in cui la fama di Susali si consolidò attraverso la partecipazione alla redazione dello statuto della Veneta Accademia di pittura e scultura, istituita ufficialmente il 26 gennaio 1756, e il suo inserimento nel corpo accademico, di cui fece ininterrottamente parte sino al settembre del 1776 (L’Accademia di belle arti di Venezia, 2015).
Nel 1763 Susali formò con Francesco Bonazza la commissione peritale incaricata di valutare le sculture della collezione Sagredo, in aggiornamento della stima eseguita da Giambattista Tiepolo e Antonio Gai nel 1755. Dalla valutazione e dalla descrizione dei pezzi, comprendente commenti quali «ottimo gusto» o «bellissimo», emerge chiaro il favore accordato alle statue antiche e alle opere di Antonio Corradini (Mazza, 2004, pp. 105, 234-238). Si collocano in questo decennio le due Sante, assegnate a Susali per via stilistica, sull’attico dell’altare della Beata Vergine delle Grazie dell’omonimo santuario udinese (Seražin, 2004, p. 92).
Alla fase tarda di Susali risale la prima delle due testimonianze documentarie riguardanti la produzione profana: si tratta delle statue in pietra tenera di Vicenza di soggetto ignoto eseguite per il giardino della villa dei nobili Pisani dal Banco, detta la Barbariga, a Stra, tra il 1769 e il 1773, alla cui decorazione parteciparono pure Giuseppe Bernardi Torretti, Francesco Gai, Carlo Tagliapietra e Giambattista Locatelli. Per la precisione, Susali scolpì tre gruppi, ora scomparsi, e due statue sinora non rintracciate tra le figure di cacciatori e nobiluomini in veste di giardinieri che ci sono giunte (Guerriero, 2008). La seconda testimonianza risale al 1770 e riguarda la decorazione della sala delle riduzioni dell’Accademia veneziana, per la quale lo scultore veniva chiamato, unitamente a Gai, Bernardi Torretti e Morlaiter, a realizzare una statua della grandezza di circa quattro quarte; non pare tuttavia che l’impegno preso avesse seguito (Semenzato, 1966).
Susali morì a Venezia nel 1779 (Sorato, 1979-1980).
Fonti e Bibl.: A.M. Zanetti, Della pittura veneziana e delle opere pubbliche dei veneziani maestri, Venezia 1792; E. Bassi, La Regia Accademia di belle arti di Venezia, Venezia 1941; A. Niero, Documenti riguardanti il patrimonio artistico della chiesa dei gesuati, in Ateneo veneto, n.s., I (1963), 2, pp. 93-99; C. Semenzato, La scultura veneta del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, p. 132; A. Massari, Giorgio Massari architetto veneziano del Settecento, Vicenza 1971, passim; P. Goi, Scultura e altaristica a Latisana nei secoli XVII-XVIII, in Ce Fastu? Rivista della Società filologica friulana, LIV (1978), pp. 106-155; P. Sorato, Due artisti poco conosciuti nella chiesa di S. Marcuola a Venezia, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere e arti, 1979-1980, n. 138, pp. 381-395; P. Goi, Il Seicento e il Settecento, in La scultura in Friuli, II, Dal Quattrocento al Novecento, a cura di M. Buora, Pordenone 1988, pp. 131-271; B. Cogo, Antonio Corradini scultore veneziano, 1688-1752, Este 1996, pp. 44, 64-66; M. De Grassi, Aspetti della scultura del Settecento tra Friuli e Venezia, e una nota su Giambattista Tiepolo, in Arte, storia, cultura e musica in Friuli nell’età del Tiepolo. Atti del Convegno internazionale... 1996, a cura di C. Furlan - G. Pavanello, Udine 1998, pp. 97-105; F. Montecuccoli Degli Erri, Venezia 1745-1750: case (e botteghe) di pittori, mercanti di quadri, incisori, scultori, architetti, musicisti, librai, stampatori ed altri personaggi veneziani, in Ateneo veneto, n.s., XXVI (1998), pp. 63-140; A. Bacchi, G. S., in La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di A. Bacchi - S. Zanuso, Milano 2000, pp. 789 s.; M. De Vincenti, «compagni nel studio...»: G. S. e Francesco Cadorin, scultori veneziani, in Venezia arti, 2003-2004, nn. 17-18, pp. 79-88; B. Mazza, I Sagredo. Committenti e collezionisti d’arte nella Venezia del Sei e Settecento, Venezia 2004, pp. 104 s., 234-238; H. Seražin, Bernardijev relief na Massarijevem oltarju Beata Vergine delle Grazie v Vidmu (Il rilievo di Bernardi sull’altare di Massari nella chiesa della Beata Vergine delle Grazie a Udine), in Acta historiae artis Slovenica, IX (2004), pp. 87-95; S. Guerriero, Stra, villa Pisani detta ‘La Barbariga’, in Per un atlante della statuaria veneta da giardino. IV, a cura di M. De Vincenti - S. Guerriero, in Arte veneta, 2008, n. 65, pp. 278-290; L’Accademia di belle arti di Venezia, a cura di G. Pavanello, II, Il Settecento. Documenti, a cura di I. Mariani, Crocetta del Montello 2015, passim.