GAFFORIO
Di origine genovese, nacque probabilmente verso la metà del XII secolo.
Il Serra e il Canale lo ritennero appartenente alla famiglia dei Caffari, a causa della somiglianza tra i due cognomi. È invece testimoniata a Genova, nel 1186, la presenza di almeno due membri della famiglia Gafforio, Iacopo e Giovanni (Notai liguri del sec. XII. Oberto Scriba de Mercato, a cura di M. Chiaudano, Genova 1940, pp. 6, 116).
Non essendo noto del G. altro che il cognome, non è possibile tentare una identificazione con uno di questi due personaggi, a lui contemporanei, né ricostruire il suo passato in Genova. Dagli eventi in cui venne successivamente a trovarsi si può comunque attribuire al G. la professione di mercante e di capitano di navi mercantili, attive nel settore orientale del Mediterraneo, tra il Regno di Gerusalemme e l'Impero bizantino. La mancanza di una sostanziale differenziazione tra navi mercantili e navi da guerra rese possibile, per tutto il periodo medievale, l'esercizio anche solo occasionale della pirateria da parte di mercanti e "patroni" di imbarcazioni: è quindi probabile che in un primo tempo l'attività del G. in Oriente si sia limitata al pacifico esercizio del commercio e solo in seguito si sia indirizzata verso l'ars piratica.
Il nome del G. non è compreso nell'elenco dei pirati genovesi, comandati da Guglielmo Grasso, delle cui scorrerie nel Mediterraneo orientale si lamentò l'imperatore bizantino Isacco Angelo, in una lettera inviata a Genova nel novembre 1192. L'episodio contribuì peraltro a inasprire i rapporti tra Genova e la corte bizantina: se ne avvertirono chiaramente le conseguenze pochi anni più tardi, al momento del verificarsi di un avvenimento analogo, di cui fu protagonista il Gafforio.
Nel settembre 1195 Enrico di Trec, signore di Tiro e di Acri, concedeva ulteriori privilegi ai Genovesi, fra i quali il G., nei suoi possedimenti. In particolare, assegnava loro un foro proprio, la libertà di transito e di commercio e la ruga di San Lorenzo, con possibilità di costruirvi un quartiere e una torre, ad Acri, nonché la licenza di costruire a Tiro una chiesa dedicata a s. Lorenzo. Si trattava in realtà non di una concessione ex novo, bensì della conferma e dell'estensione di due privilegi risalenti al 1192, e motivati dall'attiva partecipazione dei Genovesi alla difesa di Tiro e al lungo assedio di Acri contro le truppe del Saladino (dall'agosto 1189 al 12 luglio 1191). La presenza del G. in qualità di ammiraglio di una flotta - ricordato dalle fonti come rappresentante del Comune di Genova, in luogo dei tradizionali consoli dei Genovesi in Siria - lascia presupporre che l'estensione dei privilegi fosse stata determinata da un intervento armato dei Genovesi. Si trattò, presumibilmente, di un'azione condotta contro nemici comuni, quali le navi del sultano d'Egitto, piuttosto che di uno scontro con gli altri occidentali - soprattutto pisani e veneziani - presenti ad Acri e spesso causa di tensioni con i Genovesi.
Il silenzio degli Annaligenovesi riguardo a questa spedizione e ai suoi obiettivi impedisce di verificare le modalità della nomina del G. ad ammiraglio; è comunque certa, dal dettato del privilegio, la sua veste ufficiale quale rappresentante del Comune di Genova. Assolto l'incarico, al quale era stato probabilmente chiamato in ragione della sua abilità navale e della sua conoscenza diretta dei luoghi, il G. approfittò forse della sua presenza in Acri per stringere accordi di carattere commerciale; potrebbe risalire a queste circostanze la concessione fattagli da Lanfranco Leone, socio di Guglielmo Malocellino, di un prestito di 22 cantari di pepe, calcolati secondo l'unità di misura in uso ad Acri, dietro garanzia sui beni e sulle galee del Gafforio.
Assolto con successo l'incarico ufficiale, il G. non tornò a Genova, o comunque vi si trattenne ben poco. Recatosi a Costantinopoli per ragioni commerciali, venne costretto per cause non meglio precisate al pagamento di una forte pena pecuniaria da Michele Strifnos, prefetto della flotta imperiale. Non avendo ottenuto giustizia dall'imperatore Alessio III, che nell'aprile 1195 aveva usurpato il trono al fratello Isacco, il G. si diede, secondo lo storico Niceta Coniate, alla guerra di corsa, al comando di una flotta composta da triremi, biremi e navi da carico.
Scelta come base e deposito del bottino la città di Adramittio, in Asia Minore, egli si diede al saccheggio sistematico delle città costiere e delle isole dell'Egeo, fino a minacciare la stessa Costantinopoli, imponendo ai Bizantini il pagamento di tributi. La reazione dell'imperatore Alessio III, che gli inviò contro una flotta di trenta navi comandata da Giovanni Stirione, corsaro di origine calabrese passato al soldo dell'Impero ai tempi di Isacco, non ebbe successo. Raggiunto l'avversario nei pressi di Sesto, il G. approfittò dell'assenza della maggior parte degli uomini, scesi a terra per rifornirsi di vettovaglie, per attaccare di sorpresa, affondando o catturando buona parte delle navi nemiche.
Alessio III reagì privando la comunità genovese di Costantinopoli dei benefici accordati. Con l'appoggio, forse inconsapevole, di alcuni genovesi, in passato legati al corsaro da rapporti di affari, l'imperatore iniziò trattative con il G., promettendogli una forte somma in denaro e terre del Demanio imperiale, purché desistesse dai suoi attacchi. Nel contempo radunava una nuova flotta al comando di Giovanni Stirione, stringendo accordi con alcuni corsari di origine pisana.
Attirato con la promessa dell'immunità, il G. fu attaccato a tradimento da Stirione. La sua flotta fu in parte catturata, in parte distrutta, a eccezione di quattro navi che riuscirono a scampare, e sulle quali era imbarcato un congiunto dello stesso Gafforio. Preso prigioniero, il G. fu giustiziato nel 1198.
Nel marzo del 1199 Alessio III Angelo riprendeva le relazioni diplomatiche con Genova per mezzo dell'inviato Nicolò Medico, riconoscendo che la comunità dei genovesi di Costantinopoli aveva dovuto subire gravi danni a causa delle imprese di pochi.
In seguito, quale segno della benevolenza del sovrano nei confronti di Genova, i complici del G. furono rimessi in libertà. La pratica relativa alle rappresaglie provocate dalle imprese del G. era ancora aperta nel 1201, allorché venne mandato a Costantinopoli come ambasciatore di Genova Ottobono Della Croce. La lettera di istruzioni consegnata all'ambasciatore fornisce alcuni particolari sulle conseguenze che la rappresaglia dell'imperatore aveva portato alla comunità: il sequestro dei beni dei genovesi residenti in Costantinopoli; la soppressione dei privilegi concessi al Comune di Genova nel 1192; il saccheggio da parte di truppe tedesche del palazzo di Chalaman o Botaniate e degli altri immobili dell'embolo concesso ai Genovesi; l'imprigionamento degli stessi cittadini.
Il 13 ott. 1201 si giunse a una soluzione definitiva della questione, almeno dal punto di vista diplomatico, con la stesura del verbale relativo alla consegna del nuovo embolo concesso ai Genovesi da Alessio III.
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