GAGGINI (Gagini)
Famiglia di scultori e marmorari lombardi originari di Bissone, in Canton Ticino, e attivi a Genova dal XV secolo. Capostipite fu Beltrame, morto prima del 1476, dal quale discesero, come si ricava da un documento dell'8 nov. 1504, Giovanni, Antonio e Pace (Cervetto, pp. 35, 255 s.: questi aggiunge ai tre anche Pietro di Beltrame documentato nel 1422 come scalpellino a Siena).
Giovanni è documentato per la prima volta in una lettera del doge di Genova Giano Fregoso, datata 6 maggio 1448 e concernente la fornitura di marmi per la cappella del Battista in duomo, commissionata a Domenico Gaggini nello stesso anno (Salvi, p. 1002). Nel 1450 edificò con Giorgio da Lancia la chiesa di S. Michele a Pigna, nell'entroterra ligure, che reca sulla facciata un'iscrizione con i nomi dei due costruttori.
Si tratta di un edificio diviso in tre navate dotato di un notevole rosone centrale in marmo bianco con colonnette a polifora concentrica che, tuttavia, entra in rapporto spaziale con l'intera facciata secondo un disegno "del tutto inconsueto ai canoni quattocenteschi, mostrandoci l'opera di una personalità […] ancora oscillante tra i moduli tradizionali e la sensazione non del tutto cosciente di un rinnovamento" (Gavazza, p. 176).
Nell'agosto del 1451 Giovanni si recò a Pietrasanta e si accordò con Leonardo Riccomanno per la realizzazione del portale della sacrestia di S. Maria di Castello a Genova. L'anno prima era stata, infatti, avviata la ristrutturazione della chiesa e del convento dei domenicani, lavori finanziati dai patrizi Leonello e Manuele Grimaldi, che avevano anche fatto edificare, nell'attuale sacrestia, la loro cappella gentilizia. Il Riccomanno si impegnò a eseguire la porta della sacrestia e a lavorarvi continuativamente dietro un compenso di lire 80 (Poleggi, p. 235 n. 35); Giovanni, a sua volta, doveva provvedere alla fornitura dei marmi necessari.
Sono state fatte varie ipotesi in merito al ruolo svolto dai due artisti: il Kruft (Portali…, 1971, p. 9), basandosi sulla formulazione del contratto, ritiene che il portale fosse già stato iniziato da Giovanni, attribuendogliene quindi la progettazione; l'Algeri (1977, pp. 68, 70) sostiene, invece, che Giovanni ebbe una funzione di impresario e di architetto piuttosto che di scultore: di fatto, la presenza nell'architrave di un'ornamentazione a girali con il fregio di putti, posti all'interno di una struttura ancora intrisa di componenti gotiche, rivela un'ispirazione a modelli decorativi del primo Quattrocento toscano e un più preciso accostamento agli elementi ornamentali provenienti dalla cultura e dallo stile più aggiornato del Riccomanno.
Il 14 febbr. 1457 Giovanni si impegnò a realizzare un portale ornato da un bassorilievo raffigurante S. Giorgio e il drago per il palazzo di Giorgio Doria, ora Doria Quartara, in piazza S. Matteo. Secondo il contratto l'opera doveva essere realizzata sul modello dei portali dei palazzi di Brancaleone Grillo (ora Serra, in vico Mele, n. 6) e di Benedetto Doria (ora Branca Doria, in piazza S. Matteo, n. 14).
Questo portale rappresenta un punto fermo nell'evoluzione dell'iconografia di s. Giorgio in ambito genovese, il cui sviluppo è legato a un'antica devozione al santo e al fiorire, nel Quattrocento, del Banco di S. Giorgio. E la sua tipologia avrà un notevole successo in ambito genovese e sarà ripresa dallo stesso Giovanni e da altri lombardi vicini alla sua bottega, tanto che, a parte pochi casi in cui la paternità gagginesca viene riconosciuta unanimamente dalla critica, risulta assai difficile districarsi tra le varie attribuzioni.
Sulla base del contratto stipulato con Giorgio Doria, a Giovanni è attribuito anche il portale per il palazzo di Brancaleone Grillo, ora Serra.
Attraverso un confronto con il bassorilievo di palazzo Doria, si può notare un'omogeneità di impianto compositivo e di motivi ornamentali, sebbene esistano alcune differenze significative. Mentre il portale Doria rivela una forte correlazione tra i singoli elementi, quello del palazzo Grillo esprime una "incertezza compositiva caratteristica di una struttura ancora in fieri" (Algeri, 1977, p. 69). Inoltre, e sempre in riferimento al contratto stipulato con Giorgio Doria, la Gavazza ha evidenziato come nell'atto si facesse riferimento anche ad altri elementi di tipo costruttivo che Giovanni avrebbe dovuto realizzare in modo simile a quanto esistente in palazzo Grillo. Tutto ciò ha permesso alla studiosa di ipotizzare anche un ruolo di architetto costruttore per Giovanni, impegnato a rielaborare in senso moderno gli spazi abitativi delle case medievali, vista l'impossibilità, nella Genova del Quattrocento, di procedere a nuove costruzioni all'interno della cerchia di mura; Giovanni avrebbe realizzato sia il lavoro per il Doria sia, in precedenza, quello per il Grillo, vista anche l'identità dei motivi decorativi del portale, del fregio esterno e di alcune parti del cortile: elementi che inducono a ipotizzare la presenza di un'unica personalità (Gavazza, pp. 178 s.).
Ancora incerta è la paternità della sovrapporta con l'Adorazione dei magi situata in via Orefici: dopo essere stata assegnata a Elia Gaggini (Dellepiane, 1969, p. 15) o a Giovanni (Algeri, 1977, p. 71), alcuni studiosi riconducono l'opera a un più generico ambito gagginesco, sottolineandone "gli accenti del più cortese gotico transalpino" (Tagliaferro, 1987, p. 218).
Il 18 giugno 1465 Giovanni ricevette da Matteo e Giacomo Fieschi l'incarico di fornire i marmi per la cappella da erigersi in S. Lorenzo secondo la volontà del cardinale Giorgio Fieschi (Alizeri, p. 158). La Gavazza (p. 177) evidenzia come nel contratto di commissione risulti evidente la messa in opera del materiale marmoreo secondo il progetto dello stesso Giovanni. Della cappella Fieschi rimane oggi solo l'arco di coronamento, addossato alla vicina cappella De Marini. Tale elemento superstite offre un'idea delle altre opere realizzate da Giovanni e oggi non più esistenti: in particolare l'arco sembra infatti corrispondere alla descrizione della fronte della cappella De Fornari, realizzata nel 1488 (Algeri, 1977, p. 77 n. 24). Dall'esame degli elementi ancora visibili, l'Algeri (ibid., p. 71) ha evidenziato come il monumento, seppur tradizionale nel suo impianto, manifesti una commistione di elementi tardogotici e di motivi della nuova cultura quattrocentesca. Costituito da un sarcofago sorretto da tre mensole su cui è adagiata la statua del vescovo, circondato da prelati e chierici, con due angeli che reggono i lembi di un drappo che forma il baldacchino, esso presenta elementi innovativi quali le quattro Virtù assise in cattedra e isolate dentro una nicchia. Richiamando elementi toscani esse preludono al sorgere della statuaria celebrativa che offrirà i suoi primi saggi di lì a poco nel palazzo di S. Giorgio.
All'incirca tra il settimo e l'ottavo decennio del XV secolo si collocano due portali in pietra nera di Promontorio, oggi conservati al Victoria and Albert Museum di Londra e provenienti dalle cappelle Spinola e Doria nella certosa di Rivarolo. Essi raffigurano, rispettivamente, la Resurrezione e l'Adorazione dei pastori. Anche per queste due opere permangono alcuni dubbi sull'attribuzione a Giovanni; le perplessità sono determinate dalla confusione tra il suo nome e quello di Giovanni di Andrea da Campione, operante nello stesso ambito e nel medesimo periodo.
Tra il 1486 e il 1488 il nome di Giovanni si ritrova affiancato a quello di Matteo da Bissone, che gli fornì i marmi per un rilievo rappresentante S. Giorgio e il drago per il palazzo della Ragione di Lerici e per una lapide, raffigurante il medesimo episodio, destinata alla fortezza di Bastia. Quindi, il 17 sett. 1488, Giovanni ricevette da monsignor Leonardo De Fornari l'incarico di erigere, nella chiesa di Nostra Signora delle Vigne, una cappella dedicata a S. Leonardo simile a quella realizzata per i Vivaldi nella medesima chiesa.
Per l'occasione assunse come aiutante Giacomo Marocco da Lugano, che ebbe l'incarico di portare a termine il lavoro a condizione di non scostarsi dai disegni elaborati da Giovanni. Sulla sommità dell'arco vi era un Padre Eterno e, ai lati, l'Annunziata e l'angelo. Il pagamento per tale lavoro venne completato nel 1491, e nell'atto si fa riferimento anche a lavori fatti in un'altra cappella, andata distrutta, nella chiesa di Nostra Signora della Consolazione, sita allo Zerbino.
Una delle ultime commissioni di cui si ha notizia riguarda la realizzazione, nel 1495, di un cancello marmoreo per i disciplinanti di Nostra Signora di Caprafico, nel territorio di Nervi. Il nome di Giovanni ritorna in un documento del 1506 relativo all'acquisto di marmi.
Giovanni morì a Mendrisio, nel Canton Ticino, nel 1517 (Guidi, 1932, p. 143).
Pace, altro figlio di Beltrame, di cui non si conosce la data di nascita, lavorò al cantiere della certosa di Pavia accanto ad Antonio Della Porta, detto Tamagnino, suo parente. Il 26 nov. 1493 venne, infatti, assunto come assistente nei lavori della facciata, con l'assenso di G.A. Amadeo e di C. Mantegazza (Morscheck, pp. 57 s.). Il Cervetto e l'Arslan (1903 e 1956) ritengono di potergli assegnare i rilievi della facciata con la Natività, la Presentazione al Tempio e l'Adorazione dei magi; ma, secondo l'Arslan, la sua opera è riscontrabile anche nelle cimase delle quattro grandi finestre della facciata e nel Tabernacolo condotto in collaborazione con il Della Porta.
La critica più recente propende a collocare nei primi anni di esperienza lavorativa, precedenti il soggiorno pavese, i due portali genovesi raffiguranti il Trionfo Doria e il Trionfo Spinola. Incertezze permangono sia sulla paternità delle due opere sia sulla loro data, collocabile per il Kruft (Portali…, 1971, p. 14) negli anni Settanta, mentre per l'Algeri (1977, p. 78) essa è da ritenersi di poco anteriore al 1493. Il Boccardo (1981-82), evidenziate le caratteristiche comuni tra i due trionfi militari, ritiene che il secondo sia da mettere in relazione con la visita fatta da Ercole I d'Este agli Spinola nel 1492 e che, di conseguenza, non sia stato realizzato da Pace, allora impegnato a Pavia. In questo modo si spiegherebbe la qualità inferiore del Portale Spinola e la derivazione dell'ornato dal Doria, l'unico attribuibile con maggiore certezza alla mano di Pace.
Nel 1501, a Genova, Pace e il Della Porta cedettero la loro bottega in piazza del Molo a un certo Lorenzo di Bonvicino; il 23 marzo dello stesso anno sottoscrissero un contratto con Francesco Lomellino per la costruzione e la decorazione della cappella di famiglia in S. Teodoro, dopodiché Della Porta fece ritorno a Pavia per seguitare il lavoro alla certosa. Secondo l'accordo l'opera doveva essere portata a termine entro la Pasqua dell'anno seguente e il lavoro sottoposto al giudizio di Acellino Salvago, di Alessandro Sauli e del maestro "antelamo" Donato Gallo; nell'ambito del monumento Lomellini la mano di Pace è stata identificata nel bassorilievo della Natività e nelle figure della Fede, della Carità, della Speranza e della Forza, collocate sui pilastrini posti ai lati.
Nel 1504 i due furono incaricati dall'Amadeo di provvedere a due colonne di marmo rosso per il portale della certosa, mentre nel 1506 risultano impegnati a portare a termine la commissione per il duca di Rohan. Il contratto, stipulato il 14 dic. 1504, riguardò l'esecuzione di una fontana composta da due vasche sovrapposte, sorrette da figure femminili.
La vasca superiore è sormontata da un vaso sul piede del quale sono riuniti Satiri e Naiadi. Il bacino è attorniato da bassorilievi con S. Giorgio e il drago, le Armi di Luigi XII, un porcospino incoronato e quindi l'impresa del cardinale G. d'Amboise con la sua iniziale. In aiuto di Pace e del compagno venne Agostino Solari, autore della statua di S. Giovanni Battista posta sulla sommità della fontana. L'opera è conosciuta attraverso un disegno conservato a Parigi al Museo del Louvre (Beltrami, 1904, p. 59; De Contreras, 1957, p. 12). Il Kruft (1970, p. 407) ritiene di poter identificare una parte della fontana nella vasca conservata nel castello di La Rochefoucauld.
Nel 1507 i due artisti realizzarono il monumento sepolcrale di Raoul de Lannoy, governatore francese di Genova, e della moglie, Jeanne de Poix, che, collocato nella chiesa di Folleville, reca l'iscrizione "Antonius de Porta Tamagninus Mediolanensis et Paxius nepos suus": il ricchissimo sepolcro, costituito dalle figure giacenti dei due committenti e dalla lastra tombale che presenta un bassorilievo con angeli, è inserito in una nicchia ornata da rilievi decorativi con girali, fregi e chimere, che sembrano essere stati eseguiti in un secondo tempo (Beltrami, 1904, pp. 61 s.). Il Kruft (1970, p. 407) ritiene che, contemporaneamente al monumento di Folleville, essi abbiano realizzato la statua della Madonna oggi conservata nella parrocchiale di Rousseauville (Pas-de-Calais).
In un documento del 1507 Pace, "agens pro Serenissima et Christianissima Maiestate Francorum Regis", risulta a Carrara, dove stipulò un contratto per l'acquisto di marmi per un altare (Alizeri, 1876, p. 317). Il 20 sett. 1508 firmò il contratto per la realizzazione della statua di Francesco Lomellini destinata al palazzo delle Compere di S. Giorgio. Durante la stesura di tale accordo era ancora vigente la società con il Della Porta, al quale viene allogata in primis l'opera e al quale vengono fatti i primi pagamenti: l'opera, che verrà in seguito fregiata d'oro nelle parti d'onoranza, si rifà al modello realizzato da Michele D'Aria per la statua di Francesco Vivaldi (1466) raggiungendo un risultato di naturalezza ritrattistica nuova e diversa (Algeri, 1983, p. 38). Da un documento dei Padri del Comune datato 16 nov. 1508 si apprende che Pace possedeva a Genova, presso il ponte de' Coltellieri, un deposito di marmo che utilizzava per spedire i lavori commissionati dal cardinale di Rohan.
Dal 1508 al 1511 non si hanno notizie di Pace, che il 6 ag. 1511, insieme con Giovanni Antonio da Losnago, prometteva a Cristoforo Solari di realizzare entro sei mesi una statua di vescovo giacente conforme al modello di cera a loro precedentemente presentato.
Continuava intanto la collaborazione con il cantiere della certosa di Pavia. Il 3 febbr. 1513 Pace e il Della Porta scelsero l'Amadeo e Giovanni Antonio de Damis per far stimare il sacrario da loro realizzato per essere posto nella parte destra della cappella grande, nel coro della chiesa: il tabernacolo testimonierebbe "la fine dell'amadeismo, affogato in un'estrema prova virtuosistica che segna ormai a quest'arte il termine di una via senza possibili sbocchi. E sembra chiaro qui come i due luganesi si adeguassero […] al leonardismo dei da Sesto" (Arslan, 1956, p. 740).
Nel 1518, in occasione di un suo viaggio in Terrasanta, si fermò a Genova Fadrique Enríquez de Ribera e ordinò a Pace e ad Antonio Maria Aprile i sepolcri per suoi genitori, don Pedro e donna Catalina de Ribera: i due artisti si impegnarono, per contratto, a trasportare in Spagna e installare personalmente i marmi nella cappella del capitolo della certosa di S. Maria de las Cuevas. Alla soppressione del monastero (1842), i due mausolei furono trasferiti nella cappella dell'Università di Siviglia, dove si conservano.
Dovrebbe spettare all'Aprile il sepolcro del padre del committente e alla mano di Pace quello della madre. Durante il suo viaggio in Italia, il Ribera aveva potuto ammirare i più importanti monumenti del Rinascimento italiano e optò, quindi, per una struttura ad arco di trionfo seguendo in ciò il precedente del sepolcro realizzato nel 1508-10 da Domenico Fancelli per Diego Hurtado de Mendoza. In questa sua opera della maturità Pace, sia nella scultura che nelle parti decorative, combina una tipologia romana trasmessa da un artista spagnolo con la ricchezza dell'ornamentazione lombarda. Si manifestano, infatti, consonanze con il suo lavoro alla certosa, per esempio con le arpie alate presenti nelle finestre di Pavia (Kruft, 1973; López Torrijos, 1987, p. 370). I due monumenti sepolcrali furono la testa di ponte per l'introduzione delle forme rinascimentali a Siviglia (Lleo Cañal, 1979, p. 104, il quale sottolinea, inoltre, come, eccetto il Sepolcro Mendoza, non esistano in Spagna precedenti del Sepolcro Ribera rispetto alla creazione di un programma iconologico che utilizzava con estrema libertà sia la Bibbia, sia le Metamorfosi). La cultura simbolico-antiquaria di Pace prevede anche la conoscenza del nuovo linguaggio figurativo introdotto dal Codex Escurialensis, probabilmente già conosciuto a Genova. Infatti, questo aggiornamento culturale in direzione romana viene dimostrato da un particolare della stessa tomba: in una ricchissima candelabra su un pilastrino laterale si trova una raffigurazione di Diana Efesina, che ricorreva nelle grottesche monocrome delle stanze di Raffaello in Vaticano.Tale modello sepolcrale non raccolse la stessa fortuna a Genova, dove una committenza ancora legata a modelli tardogotici ha ritardato la penetrazione di un linguaggio aggiornato ai temi e alle forme classici (Boccardo, 1984, pp. 159 s.).
Nel novembre del 1520 Pace fu tra gli scultori firmatari di una lettera al governo genovese per rivedere la norma secondo cui veniva allontanato dall'arte chiunque non avesse la cittadinanza genovese. Il 1° apr. 1521, probabilmente a causa del viaggio a Siviglia per collocare i sepolcri del Ribera, Pace nominò in un atto Francesco Brocchi da Campione come suo procuratore. Dopo questa data non si hanno più notizie su Pace e ignota è la data della morte, che avvenne forse in Spagna, visto che nel 1525 fecero ritorno da Siviglia l'Aprile e il nipote di Pace, Bernardino, che lo aveva aiutato, o sostituito, nel lavoro.
Antonio, altro figlio di Beltrame, è ricordato come abitante in Genova in un documento del 10 maggio 1502. Il 14 apr. 1515 fu incaricato di provvedere a un numero di colonne lavorate, richieste da Antonio Fonseca, vescovo di Burgos, e forse destinate al mausoleo di cui aveva fornito i disegni Bartolomé Ordónez. Il suo nome ricompare nel 1526, insieme con quello di altri artisti incaricati di lavorare al pulpito per S. Lorenzo in Genova. Morì nel 1536.
Bernardino fu figlio di Antonio; è documentato per la prima volta nel 1513 quando il suo nome compare nell'esecuzione dei lavori del torrione edificato da Giovanni Solari a Sarzana. In Spagna ricevette varie commissioni, tra cui un altare e ricchi mausolei per la marchesa di Ayamonte. Nel 1526 si recò a Toledo per collocare il monumento ordinato a Genova dal vescovo d'Avila e probabilmente lavorò, quale socio dell'Aprile, alla "casa di Pilato" per il marchese di Tarifa. Tra il 1528 e l'anno seguente l'Aprile e Bernardino realizzarono un'altra opera per Fadrique Enríquez de Ribera eseguendo il monumento sepolcrale per le spoglie dei suoi antenati.
Nel 1534 i due artisti risultano nuovamente a Siviglia per la messa in opera dei marmi per la "casa di Pilato": tra le altre opere realizzate in società, il Cervetto (p. 134) cita la casa capitolare, quella del duca d'Alba, dei Pinelli, dei marchesi d'Ayamonte e varie chiese. Lavorarono probabilmente anche alla casa dei marchesi della Algaba, soprattutto come fornitori di marmi lavorati.
Nel 1535 Bernardino risulta occupato all'Alcázar. Nel 1544 si trovava a Bissone, dove morì intorno al 1560.
Un altro ramo della famiglia è quello proveniente da Campione (ora Campione d'Italia), piccolo borgo sul lago di Lugano, vicino a Bissone. A questo ramo apparteneva Giovanni, figlio di Andrea, attivo a Genova come scultore e marmoraro, nello stesso periodo in cui vi lavorava Giovanni di Beltrame, con il quale fu spesso confuso.
In un documento del 15 dic. 1475 le due persone paiono sovrapporsi: viene citato infatti un "Iohannes de Campigiono scultor marmorarum q. Beltramoli" a cui Francesco Spinola commissiona una fontana marmorea e una cancellata per la cappella di S. Vincenzo in S. Domenico; inoltre, nel contratto del 1466 per la statua di Francesco Vivaldi, il garante di Michele D'Aria viene indicato come "Iohannes de Campiono magister eiusmodi imaginum habens apothecam in contrata S. Marcellini": tale riferimento sembra indicare appunto Giovanni di Beltrame che risulta aver avuto casa e bottega in tale contrada mentre Giovanni di Andrea da Campione aveva bottega a Ponte Calvi (Algeri, 1977, p. 77 n. 27). Problematica risulta, di conseguenza, l'identificazione della paternità di alcune opere.
Giovanni di Andrea risulta a Genova fin dal 1460 (Cervetto, p. 135), quando ricevette dal Comune l'incarico di prolungare, insieme con Pietro da Carona e Giovanni da Gandria, il "ponte dei Calvi"; l'anno seguente si occupò della ricostruzione del ponte della Pila o di S. Zita. Il 7 apr. 1468 ricevette da Marco Doria, figlio di Oberto, l'incarico di fornire tutti i marmi intagliati per la ricostruzione della sua dimora: si impegnò a realizzare il lavoro della decorazione interna ed esterna nel medesimo stile che caratterizza le logge di Lazzaro Doria, da lui stesso precedentemente costruite e ornate: la decorazione consisteva in ordini di colonnine, trafori, e fasce finemente decorate.
Nel 1482, in un contratto relativo alla spedizione di colonne e capitelli da Carrara a Genova, al nome del paese è associato quello della famiglia di appartenenza: "Iohanni de Gazzino de Campiono et Iacobo eius filio" (Cervetto, p. 273): le ultime notizie riguardano la fornitura (1490-91) di colonne e capitelli per il palazzo di S. Giorgio. Non si conosce l'anno della sua morte, né quello dei figli Andrea e Giacomo, che diedero vita ad una società realizzando opere delle quali rimangono solo menzioni in documenti (ibid., p. 143); nel 1499, in unione con Matteo da Bissone, essi decorarono a Genova il palazzo gentilizio ordinato da Luca Adorno.
Nell'ambito dei marmorari lombardi presenti nella città ligure, ve ne sono alcuni che, accanto al nome, indicano Bissone quale località di provenienza: è questo il caso del sopracitato Matteo e di Giuliano di Andrea. Entrambi attivi a Genova come marmorari, impresari e ingegneri addetti alle fortificazioni, essi non hanno lasciato testimonianze tali da poterli inserire con certezza nell'ambito della famiglia Gaggini.
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