GAIDERIS (Gaideriso)
Figlio di Radelgario (morto nell'854), successe ad Adelchi nel giugno 878 come sesto principe di Benevento.
G. era membro della famiglia che per iniziativa di Radelchi, thesaurarius del principe Sicardo assassinato nell'839, aveva conquistato l'autorità principesca beneventana. Successore di Radelchi era stato il padre di G., Radelgario, alla cui morte era subentrato il fratello Adelchi. Assassinato a sua volta Adelchi, vittima di una congiura di palazzo, G. venne innalzato alla dignità regia sostenuto da una parte della locale aristocrazia, un gruppo di potere sufficientemente energico da imporlo ai vertici del Principato, benché fossero vivi i due figli di Adelchi, Radelchi (II) e Aione.
La scena politica nella quale G. si trovò ad agire era caratterizzata da un'endemica debolezza dovuta ai continui conflitti che imperversavano sin dagli anni Quaranta del sec. IX, in seguito alla scissione tra Benevento e Salerno, erettasi quest'ultima in principato autonomo (839) sotto la guida di Siconolfo. Tale situazione d'incertezza era aggravata dall'irrompere di bande e gruppi armati arabi, di origine prevalentemente siciliana che, inserendosi nel conflitto interno ai territori longobardi, avevano iniziato a perseguire una prospettiva di radicamento nel Meridione d'Italia. Non si deve dimenticare inoltre che sia il Principato di Benevento sia quello di Salerno erano a loro volta travagliati da forti moti disgregatori fomentati dalla locale aristocrazia come dai potentes dei centri periferici. Tra tutti spicca il caso della signoria di Capua, indipendente da Salerno in seguito alla divisio Ducatus dell'849, che aveva stretto una rete di fitte alleanze matrimoniali con quella beneventana, ed era tenacemente impegnata a garantirsi uno spazio di autonomia fra i due principati. Questa situazione metteva lo stesso Principato beneventano in una posizione di estrema difficoltà nell'elaborare autonome strategie politiche. L'unica tattica sperimentata con successo dal predecessore di G., Adelchi, era stata quella di alternare fasi di avvicinamento ai Franchi o ai Bizantini o agli stessi Arabi, in relazione al prevalere momentaneo di una di queste forze, ma evitando che alcuna di esse conseguisse posizioni di effettivo predominio che potessero pregiudicare l'indipendenza beneventana.
G. di fatto riprodurrà, nel breve periodo del suo principato, lo stesso tipo di atteggiamento politico. Al momento in cui egli assumeva la dignità principesca, la scena politica meridionale era dominata dalla vigorosa ripresa di iniziativa dei Bizantini, che nell'874 avevano tolto la stessa Bari ai Longobardi. Anche il papa Giovanni VIII (872-882) ricercava nei Bizantini, in funzione antiaraba, un interlocutore politico di peso, venuto meno con la morte di Carlo II il Calvo (6 ott. 877), il tradizionale sostegno della dinastia carolingia alla Chiesa di Roma. G. ricercò pertanto un'intesa tanto con Giovanni VIII, che gli assicurò il proprio sostegno, quanto con lo stratego bizantino di Bari, Gregorio. Nell'879 quest'ultimo intraprese una spedizione politico-diplomatica in Campania volta a organizzare un incontro congiunto con G., insieme con il principe di Salerno, il conte di Capua e il pontefice, e in tale occasione G. si incaricò di accompagnarlo negli spostamenti richiesti dalla missione. Nel febbraio-marzo di quello stesso anno scoppiarono, in seguito alla morte del vescovo-conte Landolfo, violenti disordini nel territorio di Capua, nei quali si inserì il tentativo espansionistico napoletano, guidato dal vescovo-duca Atanasio. Alla guida di Capua successe il nipote di Landolfo, Pandonolfo (879-882), che si trovò a combattere una lega composta dai propri fratelli e cugini e sostenuta dal principe di Salerno; Pandonolfo cercò allora in G. un alleato, in virtù del legame che lo univa a quest'ultimo, avendone sposato una figlia. G. approfittò della situazione per chiedere a Pandonolfo di prestargli omaggio con l'evidente intento di riaffermare le proprie prerogative signorili anche sul territorio capuano. Quale fosse però lo scarso prestigio allora goduto dall'autorità principesca beneventana lo dimostra il fatto che, nonostante le enormi difficoltà del momento, Pandonolfo rifiutò di prestargli omaggio e preferì scegliere quale proprio referente politico prima il papa Giovanni VIII e poi Atanasio di Napoli.
Agli inizi dell'881 G. fu vittima a sua volta di una congiura di palazzo, nella quale giocò un ruolo di primo piano Landone (III), cugino di Pandonolfo e poco tempo dopo suo successore nella dignità comitale capuana (882). G. fu deposto e sostituito nella carica da suo cugino Radelchi (II: 881-884), figlio di Adelchi. Con più fortuna di quest'ultimo, G. tuttavia, riuscì ad avere salva la vita e venne consegnato a Guido (III) duca di Spoleto, futuro re d'Italia (890), che a sua volta aveva sposato nell'875 una sorella di Radelchi II, Ageltrude.
Osserva H. Taviani Carozzi (p. 40) che la ragione della detronizzazione di G. è da vedere proprio negli incontrollabili contrasti e intrighi di potere intessuti tra i vari rami delle dinastie capuana e beneventana, strettamente imparentati tra loro. In poche parole il legame di parentela creato da G. con ambedue i rami più rilevanti della dinastia capuana, quello di Pandonolfo, al quale G. aveva dato in sposa una figlia, e quello di Landone (III), sposato con una sorella di G., non resse alla prova della tenzone politica nella quale dovette pesare la sua posizione personale non consolidata rispetto al ramo dinastico di Adelchi e del cugino Radelchi (II). Le forze politiche che avevano sostenuto G., accusato fra l'altro di un eccessivo allineamento alle direttive bizantine, si rivelarono tanto effimere da consentire il suo rovesciamento dopo neppure tre anni.
Un episodio narrato solo dal Chronicon Salernitanum (p. 142) propone uno spunto di riflessione in merito al rapporto in cui G. si collocava nei confronti della memoria del suo predecessore Adelchi. Nel corso di una deambulatio del principe e del suo seguito il corteo giunse presso i luoghi in cui Adelchi era stato ucciso, ossia nel territorio di Trivento, nell'attuale Molise. Un chierico, di nome Erchemperto, dichiarò di fronte al principe che quello era il luogo in cui: "ille nefandissimus princeps [Adelchi] non paucis plagis extinximus" (riferendosi evidentemente al gruppo dei congiurati, di cui egli doveva aver fatto parte). G. allora, rivoltosi ai suoi famuli, ordinò che fossero recise le braccia al chierico. Ammesso che l'episodio sia vero, considerando la datazione tarda del Chronicon Salernitanum e la peculiare natura del fatto narrato, esso potrebbe essere letto non solo come una forma di invito al rispetto della dignità dell'autorità principesca tout court, ma forse anche come un tentativo di G. di non radicalizzare possibili contrasti con il ramo familiare di Adelchi, rendendo omaggio indirettamente alla memoria di quest'ultimo - alla cui soppressione egli doveva il proprio innalzamento al principato - attraverso una punizione esemplare inflitta a chi lo aveva oltraggiato.
Dopo che fu trattenuto a Spoleto, G. riuscì a fuggire a Bari e a consegnarsi ai Bizantini. Lo stratego Gregorio, suo vecchio alleato, lo inviò a Costantinopoli, ove fu insignito della dignità di protospatario. Tornato in Italia, venne incaricato di governare la città di Oria, in Puglia, nodo strategico nei collegamenti via terra fra Jonio e Tirreno e "porta" del Salento per chi provenisse da Settentrione.
L'ultima notizia di G. risale all'885, quando, sempre insieme con Gregorio, è registrato come testimone e sottoscrittore in una carta dove lo stesso Gregorio restituiva in favore di Montecassino, beni immobili di proprietà della stessa abbazia, nonché di quella di S. Vincenzo al Volturno e di altre due chiese dedicate alla Vergine, da lui goduti in affitto per lungo tempo. La circostanza è evidente segno di un persistente favore goduto da G. presso i Bizantini; favore che era dovuto probabilmente all'intenzione di questi ultimi di tenere il principe spodestato come una carta da giocare nella politica di interferenza verso il Principato beneventano all'epoca governato da Aione (884-891) fautore di una politica di duro scontro con Bisanzio. La scomparsa di G. dalla scena italiana dopo l'885 potrebbe anche essere collegata al ritorno a Costantinopoli dello stratego Gregorio, da cui G. era evidentemente sostenuto, avvenuta fra 885 e 886.
Non sono noti l'anno e il luogo della sua morte.
Fonti e Bibl.: Chronicon Benventani monasterii S. Sophie…, in Anecdota ughelliana, in F. Ughelli - N. Coleti, Italia sacra, X, Venetiis 1722, col. 419; Annales Beneventani, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Script., III, Hannoverae 1839, p. 174; Annales Cavenses, a cura di G.H. Pertz, ibid., p. 188; Erchempertus, Historia Langobardorum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, ibid., Script. rer. Lang. et Italic., ibid. 1878, pp. 249 s., 255; Chronica S. Benedicti Casinensis, a cura di G. Waitz, ibid., p. 488; Catalogus regum Langobardorum et ducum Beneventanorum, a cura di G. Waitz, ibid., pp. 494 s.; F. Trinchera, Syllabum Graecarum membranarum, I, Neapoli 1865, p. 1; Monumenta ad Neapolitani Ducatus historiam pertinentia, a cura di B. Capasso, I, Neapoli 1881, p. 102; Regesta pontificum Romanorum, a cura di S. Löwenfeld - F. Kaltenbrunner - P. Ewald, I, Lipsiae 1885, p. 407; Chronicon Vulturnense, a cura di V. Federici, II, in Fonti per la Storia d'Italia [Medio Evo], LX, Roma 1938, p. 6; Chronicon Salernitanum, a cura di U. Westerbergh, Stockholm 1956, pp. 138 s., 142; P.F. Kehr, Italia pontificia, IX, Berolini 1962, p. 14 docc. *29, 30; J. Gay, L'Italie méridionale et l'Empire byzantin depuis l'avènement de Basile Ier jusqu'à la prise de Bari par les Normands (867-1071), Paris 1904, pp. 123, 125, 141; T. Gasparrini Leporace, Ageltrude, in Diz. biogr. degli Italiani, I, Roma 1960, pp. 384-386; N. Cilento, Aione, ibid., pp. 534 s.; Id., Le origini della signoria capuana nella Longobardia minore, Roma 1966, pp. 117, 127; V. von Falkenhausen, I Longobardi meridionali, in Storia d'Italia (UTET), III, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino 1983, p. 271; S. Gasparri, Il Ducato e il Principato di Benevento, in Storia del Mezzogiorno, II, 1, a cura di S. Gasparri - R. Romeo, Napoli 1988, p. 127; G. Musca - C. Colafemmina, Tra Longobardi e Saraceni: l'emirato, in Storia di Bari, I, Dalla preistoria al Mille, a cura di F. Tateo, Roma-Bari 1989, pp. 294 s.; H. Taviani Carozzi, La principauté lombarde de Salerne (IXe-XIe siècle), Roma 1991, pp. 40, 42, 376, 405-409.