RABIRIO, Gaio
Il nome di R. ci è noto, si può dire soltanto attraverso un processo famoso, che fa parte di quel complesso di azioni rivoluzionarie che prepararono e fiancheggiarono la congiura di Catilina. Essendo stato in prima linea nella repressione del movimento di Saturnino, egli fu preso di mira come l'uccisore del tribuno, e, dopo due processi contro di lui e un parente, il tribuno T. Labieno, nipote di quel Q. Labieno ch'era stato ucciso con Saturnino, nel 63, gl'iniziò contro un'azione in grande stile, riesumando a suo danno l'antiquata procedura perduellionis. Si voleva non tanto colpire R., quanto affermare la decadenza del diritto del senato all'emanazione del senatus consultum ultimum. Il tribunale, composto dei duoviri L. e C. Cesare, scelti contro le leggi e presieduti dal pretore C. Giulio Cesare, lo condannò a morte. Appellatosi al popolo, egli fu salvato solo dall'intervento del pretore Metello Celere, che, col pretesto di un augurio infausto, fece calare sul Gianicolo il vessillo delle adunanze, sciogliendo così il comizio. Labieno intentò contro di lui, ma a quel che pare ancora senza risultato, un processo con procedura tribunizia, in cui fu difeso da Cicerone e da Ortensio. L'orazione lacunosa che si conserva del primo sembra riferirsi appunto a questo processo.
Bibl.: Fonti principali per il discusso processo sono Svetonio, Iul., 12 e Dione, XXXI, 27. Lo svolgimento è qui narrato secondo la ricostruzione del Mommsen, Röm. Gesch., III, 8ª ed., Berlino 1889, p. 169. Cfr. M. Schanz, Gesch. d. röm., Lit., I, i, 3ª ed., Monaco 1909, pp. 249-50; W. Drumann-P. Groebe, Geschichte Roms, III, Lipsia 1906, p. 150 segg.; Von der Mühl, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., Stoccarda 1914, I A, coll. 24-25; E. Ciaceri, Cicerone e i suoi tempi, I, Milano 1926, p. 214 segg., che, nella ricostruzione del processo, ritorna alla tradizione letteraria, cercando spiegare in modo diverso dal Mommsen l'accenno alla multa nell'ultima parte del discorso ciceroniano.