Svetonio, Gaio Tranquillo
La tradizione testuale delle Vitae Caesarum di S. (nato nel 70 d.C. circa e morto nel 130 d.C. circa) poggia su un ristretto numero di codici vetustiores (divisi in due ‘famiglie’), cui si affianca una congerie di recentiores, soprattutto italiani, irredimibili e debordanti nella tradizione a stampa. L’esplosione dei codices italici tiene dietro, come per altre tradizioni, al magistero di Francesco Petrarca e all’interessamento curioso di Giovanni Boccaccio (Tibbets 1983). Il pieno Umanesimo si cimentò sistematicamente con le Vitae soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento, grazie alle cure prima del veronese Domizio Calderini, poi di Angelo Poliziano (Fera 1983; Campanelli 2001; Pellegrini 2008). Tra il 1490 e il 1493 si collocano i due primi commenti continui di Marco Antonio Sabellico e Filippo Beroaldo, rispetto ai quali non si registreranno integrazioni decisive − almeno per gli anni che qui interessano − se si eccettua l’edizione aldina del 1516 curata da Giovanni Battista Egnazio (Venier 1993).
Le tracce delle Vitae individuabili nell’opera di M. assommano a un manipolo di schede esiguo e cronologicamente collocabile dopo il 1513, condensandosi in fugaci passaggi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio e dell’Arte della guerra, oltre che nella trama della Mandragola. Nel primo caso si suole richiamare il brano di Discorsi III vi 41 relativo al prefetto del pretorio Lucio Elio Seiano, che ordì una congiura contro Tiberio e fu ucciso nel 31 a.C. («Vedesi pertanto quelli che hanno congiurato essere stati tutti uomini grandi o familiari del principe [...] come fu [...] Seiano contro a Tiberio»). La notizia potrebbe derivare effettivamente da S.,Tiberius lxv (così F. Bausi, in N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, 2° vol., 2001, p. 558 nota 85), piuttosto che dai libri IV e V degli Annales di Tacito, diffusi a stampa solo nel 1515.
A Discorsi III xiii 9-10 M. riferisce invece della spedizione di Cesare contro i luogotenenti pompeiani Afranio e Petreio (F. Bausi, in N. Machiavelli, Discorsi, cit., pp. 634-35 e nota 16):
Perché andando egli in Ispagna contro ad Afranio e Petreio, che avevano un ottimo esercito, disse che gli stimava poco, “quia ibat ad exercitum sine duce”, mostrando la debolezza de’ capitani. Al contrario, quando andò in Tessaglia contro a Pompeio, disse: “Vado ad ducem sine exercitu”.
Si tratta di citazione quasi letterale da S., Iulius xxxiv: «validissimas Pompei copias, quae sub tribus legatis M. Petreio et L. Afranio et M. Varrone in Hispania erant, invasit, professus ante inter suos ire se ad exercitum sine duce et inde reversurum ad ducem sine exercitu». Le modalità di riuso della fonte si rivelerebbero, per alcuni, non prive di una certa disinvoltura: essendo ben nota, e per tramite di più auctores (Cesare, Plutarco, Orosio), la superiorità dell’esercito pompeiano a Farsalo rispetto a quello di Cesare, è parso «decisamente strano» che M. interpretasse in tal modo la battuta di Cesare e «si fosse invece dimenticato, con tanta abbondanza di testimonianze, dei modi in cui si svolse la battaglia che aveva in pratica segnato la morte della repubblica romana», tanto che si è pensato «che egli non si rifacesse direttamente a Svetonio, ma desumesse le parole di Cesare da una qualche raccolta di auree sentenze o di celebri motti» (Martelli 1998, pp. 152-53). Altrettanto strana è parsa l’omissione del nome di Varrone, accanto agli altri due luogotenenti Afranio e Petreio. Tuttavia, percorrendo il commento svetoniano di Beroaldo (pubblicato a Bologna, presso Benedictus Hectoris, nel 1493) è forse possibile trovare una spiegazione a queste apparenti incongruenze. Si legga la chiosa al lemma in questione (c. 20r): ad ducem sine exercitu: hoc est ad Pompeium qui quidem ducem agere sciebat et optimi ductoris munimina callebat sed exercitum non habebat («dal comandante senza esercito: cioè da Pompeo che di certo sapeva praticare il comando e conosceva bene le difese di un ottimo generale ma non aveva un esercito»). Quanto all’omissione di Varrone, commentando il lemma precedente («copias in Hispaniam»), Beroaldo aveva preventivamente chiarito lo svolgimento dei fatti (c. 19v):
historia nota quemadmodum Caesar apud Ilerdam, Hispaniae citerioris civitatem, Afranium atque Petreium legatos Pompeianos superaverit utque Marcus Varro, qui legatione pompeiana fungebatur in ulteriore Hispania, legionem Caesari tradiderit, qui ad eum Cordubam venit, relatisque publicis rationibus cum fide pecuniam Caesari quae pene ipsum erat tradi‹di›t et quid ubique habebat frumenti ac navium ostendit.
è nota la storia di come Cesare presso Ilerda, città della Spagna citeriore, avesse sconfitto Afranio e Petreio, luogotenenti pompeiani, e come Marco Varrone, che era luogotenente pompeiano in Spagna ulteriore, consegnasse la legione a Cesare, che venne da lui a Cordova, e, riferiti i conti pubblici sotto giuramento, consegnò il denaro a Cesare che quasi era lo stesso e mostrò ciò che aveva di grano e di navi.
Per Beroaldo, dunque, Cesare affrontò prima e separatamente Afranio e Petreio e li sconfisse; in un secondo momento raggiunse, nella Spagna ulteriore, Varrone, il quale non gli si oppose affatto, anzi lo sostenne. A questo punto l’ipotesi che per l’interpretazione del passo M. si fosse affidato all’auctoritas di Beroaldo, anche a scapito di quanto poteva apprendere da altre fonti, diventa più che fondata.
Altri due frustuli svetoniani emergono dall’Arte della guerra: a VI 209 M. riferisce l’aneddoto in cui Cesare «cadendo in Africa nello uscire di nave, disse: “Africa, io t’ho presa”», probabile citazione di S., Iulius lix: «Teneo te, Africa». In Arte della guerra VII 150, invece, ricorda come all’assedio di Durazzo del 48 a.C. (D. Fachard, in N. Machiavelli, L’arte della guerra. Scritti politici minori, a cura di J.-J. Marchand, D. Fachard, G. Masi, 2001, p. 277 nota 174), «essendo Pompeio a fronte di Cesare e patendo assai l’esercito cesariano per la fame, fu portato del suo pane a Pompeo; il quale vedendo fatto di erbe, comandò che non si mostrasse al suo esercito per non lo fare sbigottire, vedendo quali nimici aveva». Episodio che trova effettivo riscontro in S., Iulius lxviii.
Vi è infine chi ha colto nel «nucleo inventivo» della Mandragola uno «schema» che richiamerebbe l’aneddoto narrato in S., Claudius xxix, dove lo storico riferisce come Claudio medesimo avrebbe acconsentito alle nozze fittizie tra la moglie Messalina e il suo amante Silio, con lo scopo di stornare da sé un evento infausto pendente su di esse (Baldan 1978, p. 10; ipotesi che pare accolta da Pietro Gibellini nell’ed. 2007, p. XXVIII, ma trascurata da Pasquale Stoppelli nell’ed. 2006).
Complessivamente, dunque, la presenza di S. nell’opera di M. riveste un ruolo che si può definire con assoluta tranquillità meno che marginale. D’altro canto, l’itinerario formativo e le potenziali letture giovanili di M., così come emergono dal Libro dei ricordi del padre Bernardo (D’Alessandro 2006, p. 650), sembrano escludere qualsiasi approccio alla indigesta filologia di Calderini o di Poliziano (ipotesi che pure è stata avanzata, in Baldan 1978, pp. 1214), e confortano invece l’indizio emerso da Discorsi III xiii 9-10. È probabile che S. sia stato consultato proprio in una delle non poche edizioni con il commento di Beroaldo: un commento diffuso, accessibile e utile a chiarire i passi meno perspicui, tanto da divenire ben presto quasi canonico.
Bibliografia: P. Baldan, La presenza di Svetonio nel Machiavelli maggiore, «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», 1978, 1-2, pp. 9-33; V. Fera, Una ignota Expositio Suetoni del Poliziano, Messina 1983; S.J. Tibbets, Suetonius, in Texts and transmission. A survey of the Latin classics, ed. L.D. Reynolds, Oxford 1983, pp. 399-404; M. Martelli, Machiavelli e la storiografia umanistica, «Interpres», 1990, 10, pp. 224-57, poi in Id., Tra filologia e storia. Otto studi machiavelliani, a cura di F. Bausi, Roma 2009, pp. 171-202; M. Venier, Giovanni Battista Egnazio editore. I. Il De vita Caesarum di Svetonio, «Res publica litterarum», 1993, 16, pp. 175-83; M. Martelli, Machiavelli e gli storici antichi. Osservazioni su alcuni luoghi dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Roma 1998; M. Campanelli, Polemiche e filologia ai primordi della stampa. Le Observationes di Domizio Calderini, Roma 2001; F. D’Alessandro, Il Principe di Machiavelli e la lezione delle Familiares di Francesco Petrarca, «Aevum», 2006, 3, pp. 641-69; N. Machiavelli, Mandragola, a cura di P. Stoppelli, Milano 2006; N. Machiavelli, Mandragola, prefazione di P. Gibellini, note di T. Piras, Milano 2007; P. Pellegrini, Studiare Svetonio a Padova alla fine del Quattrocento, in Incontri triestini di filologia classica. VII- 2007-08. Atti del III Convegno Il calamo della memoria. Riuso di testi e mestiere letterario nella tarda antichità, Trieste 17-18 apr. 2008, a cura di L. Cristante, I. Filip, Trieste 2008, pp. 53-64.