ALESSI, Galeazzo
Architetto, nato a Perugia da Bevignate di Ludovico Alessi; secondo il Pascoli nel 1500, più probabilmente, secondo l'Alberti, nel 1512; morto a Perugia il 30 dicembre 1572. Quale maestro, chi (Pascoli, Mariotti, Milizia) gli dà G. B. Caporali, traduttore e commentatore di Vitruvio; chi (Lancellotti) Giulio Danti; ma evidentemente egli si formò a Roma sui modelli di Michelangelo, così da esser considerato da molti suo discepolo. Secondo il Vasari, egli servì in gioventù il cardinale Ascanio Parisani vescovo di Rimini; altri scrittori parlano di suoi rapporti coi cardinali Lorenzo Campeggi e Girolamo Ghinucci, per i quali avrebbe soggiornato in Roma sei anni (Lancellotti). Nel 1542 il cardinale Parisani, andando a Perugia, quale legato pontificio, mentre Antonio da Sangallo edificava la Rocca Paolina, condusse l'A. con sé. Succedendo al Sangallo, l'A. fu incaricato di ordinare l'interno della fortezza; e particolarmente notevoli riuscirono il cortile, la cappella, la loggia e l'abitazione del castellano. Meno determinata è l'attività dell'A. in Perugia, durante la legazione del card. Tiberio Crispo (1545-48), il quale promosse molti lavori edilizî, che diedero agio a postumi zelatori di vedere dappertutto la mano dell'A. La strada aperta nel 1547 fra il Corso e il Sopramuro, detta Strada Nuova, è attribuita a lui nel tracciato, insieme con la chiesa di S. Maria del Popolo (cominciata nel 1547), di cui sussiste tuttora la facciata, composta con l'arco a giogo caro all'A. A lui si attribuisce pure il portico, trasformato più tardi in oratorio di S. Angelo della Pace, e il ponte della Bastiola, costruiti sotto il pontificato di Paolo III. Senza dubbio, infine, gli va attribuito il progetto del monastero di S. Caterina, a Porta S. Angelo, fondato durante la legazione di Tiberio Crispo, e di cui si sa ch'egli nel 1548 fece eseguire il modello in legno. Non gli appartiene invece la chiesa, costruita più tardi.
Ma già nel 1548 l'A. si trova a Genova, domiciliato a S. Francesco d'Albaro. Si ritiene generalmente che sia stato chiamato a Genova dai Sauli per la costruzione della loro basilica sul colle di Carignano; e il fatto che Bartolomeo Sauli, genovese, era tesoriere apostolico di Perugia e dell'Umbria durante la legazione del cardinal Crispo lo confermerebbe. Sta però di fatto che nel luglio 1548 l'A. era in Genova a servizio di altri patrizî; costruiva la villa di Luca Giustiniani, poi Cambiaso; e soltanto l'anno dopo era messo dai Sauli a stipendio. La villa Cambiaso è la prima opera cui l'A. attese a Genova. La seconda fu probabilmente la Porta del Molo, la cui epigrafe reca la data del 1553. Quest'opera farebbe parte di un più ampio contributo dato dall'A. alla sistemazione del porto; e cioè il prolungamento del molo stesso per 600 passi. Ne tacciono i documenti, ma lo attestano gli antichi scrittori (Vasari, Alberti). Gli stessi riferiscono pure ch'egli tracciò la strada da Sampierdarena a Pontedecimo, che era in costruzione nel 1570. Agli stipendî dei Sauli, l'A. entrò il 7 settembre 1549 con l'incarico di tracciare in cartoni, o far di rilievo in creta o legno, il modello della basilica di Carignano, per la provvisione annuale di 160 scudi d'oro. E vi rimase per sedici anni. Però dal 1565 in poi si convenne ch'egli "assistesse continuamente alla fabbrica della chiesa" durante i sette mesi in cui i Sauli tenevano il cantiere in attività, cioè da marzo ad ottobre "restando in libertà sua di disponere della persona et opera sua per li restanti cinque mesi in Genoa come fuori". E ancora nel 1568 è provato ch'egli ritornò a Genova. La chiesa di Carignano, cominciata nel 1552 e non ancora ultimata alla morte del grande architetto (si terminò di voltare la cupola verso il 1603), fu la più assidua cura dell'A. mentre dimorò a Genova. E anche dopo, da Perugia e da Milano, egli vegliava alla costruzione, mandando disegni e circostanziati memoriali, pretendendo la più assoluta obbedienza, che non si consentisse agli esecutori di uscire "dalli ordini datoli come per legge, acciò non partorissi disordine, dal quale viene il danno et appresso la vergogna". Nelle sue lettere ai Sauli, egli la chiama affettuosamente "sua creatura primogenita, e sopra tutte carissima delle proprie figliuole". Sulle altre opere dell'A. i documenti scarseggiano. Dimostrano che egli progettò (circa 1550) la cupola del Duomo, e anzi ne eseguì il modello in rilievo; e diede consigli riguardo alla ricostruzione del coro. Quanto a fabbriche civili, gli assicurano soltanto la villa Cambiaso; e del resto non fan che mostrarlo stimatore di cornici in legno (1551), collaudatore della sepoltura di Cattaneo Pinelli (1557) e del pavimento di S. Matteo (1559). È possibile che di queste opere egli abbia dato anche i disegni. Ma lo zelo degli ammiratori, a Genova come a Perugia, superò ogni limite; e, un poco giustificato da troppo vaghe indicazioni del Vasari, giunse ad attribuirgli persino palazzi della seconda metà del Seicento (Palazzo Rosso e Brignole Durazzo). Della Strada Nuova, gli fu attribuito il tracciato e tutti i palazzi tranne due: mentre il tracciato non è suo, e dei palazzi per l'appunto due soli sono da tenere per suoi. Il suo vero carattere e la sua finezza anche nei particolari, si riconoscono soltanto nelle ville Cambiaso e delle Peschiere, nei palazzi Cambiaso e Lercari-Parodi (tutti e due in Via Garibaldi, già Strada Nuova). Di altre due opere ben sue, il palazzo Sauli in Via S. Vincenzo e l'isola di Adamo Centurione a Pegli (Villa Doria), non rimangono che rovine. La sovrabbondanza di attribuzioni all'A. in Liguria si spiega con la diffusione che vi ebbero le sue forme. Gli studî recenti hanno dimostrato che i cantieri della basilica di Carignano furono come una scuola e che il patriziato genovese ricorse volentieri agli assistenti e agli aiuti dell'A., ai quali è probabile che il maestro fornisse qualche volta i disegni. Così la Strada Nuova tracciata da Bernardino Cantone da Cabio, la facciata di palazzo Carrega eseguita da Antonio Roderio, la villa Scassi a Sampierdarena di Domenico Ponsello, la villa Grimaldi, pure a Sampierdarena, di Bernardo Spazio sono da considerarsi opere della scuola dell'Alessi. E fra queste va ascritto il piccolo palazzo Sauli, vicino agli ultimi due citati, e forse il più vicino di tutti alle forme genuine del maestro. Del resto, in tutta la città e specialmente nei dintorni, elementi originali suoi, come il leggero arretramento centrale nella facciata, non scomparvero più. Nostra Signora di Carignano ebbe in piccolo un'imitazione in Nostra Signora della Sanità.
Ancora durando i suoi patti coi Sauli, e anche prima del contratto che gliene riconosceva espressa facoltà, l'A. si allontanò sovente da Genova. Ciò è accertato per il 1560; ma può essere avvenuto anche prima, poiché già nel 1557 era pronto il modello del palazzo di Tomaso De Marini-Castagna, duca di Terranova, genovese residente a Milano; del qual palazzo, noto come palazzo Marino, fu posta la prima pietra il 4 maggio 1558. Dal 1560 in poi, i documenti mostrano l'A. in continuo movimento fra Genova, Milano e Perugia. Da Milano, nel 1568 egli scrive d'essere occupato, oltre che per il "signor Tomaso", per "la fabbrica di San Celso (cioè S. Maria presso San Celso) ed altre"; fra le quali il Vasari indica l'auditorio del Cambio e San Vittore al Corpo, che, iniziato nel 1570, fu consacrato nel 1576. A Milano fu consultato per l'opera del Duomo. Verso il 1560, diede disegni per la certosa di Pavia: per il sarcofago di Gian Galeazzo Visconti, per i pinnacoli sopra i contrafforti laterali, e forse per la clausura del coro. Nel 1562 fu richiesto a Brescia, con Andrea Palladio e Gio. Antonio Rusconi, a giudicare la stabilità della copertura della Loggia, quale l'aveva progettata il Sansovino. Dopo il 1562 pare che fosse consultato per il Sacro Monte di Varallo, che progettasse da prima la Porta e la Cappella di Adamo ed Eva, e studiasse poi un intero piano di riforma delle cappelle e dell'itinerario. Dopo il 1567, i suoi affari lo chiamarono più spesso a Perugia. Nel 1568 pare che disegnasse la porta laterale del Duomo. Ebbe amici i frati di S. Pietro, che già avevano, si dice, affidata a lui e al Caporali la direzione del soffitto in legname fatto intagliare nel 1553-54; nel 1567 gli commisero il modello per un tabernacolo in legno; nel 1571, allogando le colonne per il chiostro detto delle Stelle, rimettevano ogni cosa al suo giudizio, e a lui, anche, chiesero il disegno della libreria di cui fu deliberata l'esecuzione dopo la morte dell'A., nel 1578. Dal 1570 al '72 diresse qualche sistemazione nel palazzo dei Priori; i quali nel 1570, per festeggiare la venuta del card. Alessandrano, incaricarono l'A. di apprestare davanti al palazzo un arco trionfale, largo trenta piedi, e guernito di quattro colonne tonde. Tutti, non soltanto a Perugia, lo trattavano con deferenza. Ad Assisi i frati di S. Francesco vollero da lui il disegno per il grande tabernacolo d'argento della basilica; e quando egli, nel gennaio 1571, ne presentò più d'uno, lo lasciarono arbitro della scelta; ed anche dell'esecuzione "acciò che Sua Signoria havessi l'honore del tutto". Dopo il 1569, collaborò con Giulio Danti alla chiesa di S. Maria degli Angeli, nello svolgimento del progetto del Vignola. Nel 1571 gli fu ordinato il modello per la ricostruzione di S. Ruffino. Reputato fra i maggiori architetti del suo tempo, gli furono chiesti disegni per la fabbrica dell'Escuriale, e per la facciata del Gesù a Roma. Il 24 agosto 1571 fu ricevuto nell'Arte della Mercanzia, il 21 marzo 1572 fu eletto dei Priori; e il 30 dicembre di quello stesso anno morì.
È opera dell'A. il rinnovamento dell'architettura genovese, ed egli ne impersona uno dei periodi più splendidi. La fondamentale romanità dell'arte sua appare chiara nella basilica di Carignano. Si esagera nel ritenere questa chiesa una fedele immagine del S. Pietro ideato da Bramante; ma è innegabile che essa riprende la pianta a croce greca che appunto in quegli anni Michelangelo si sforzava di conservare a S. Pietro. E le idee di Michelangelo avrebbero forse finito col prevalere, se i Sauli fossero riusciti, come tentarono nel 1568, a far eleggere l'A. architetto di S. Pietro. Della pianta di Bramante l'A. conserva il raggruppamento della cupola centrale e delle quattro cupolette angolari, che Michelangelo intendeva scostare. Anche la facciata, salvo l'altezza dei due campanili laterali, ricorda quella di Bramante. L'interno, liscio e scabro, ornato da cassettoni nudi nelle cupole, esalta la classicità nelle sue forme più castigate. "Gli ornamenti sono ripàrtiti (scrive l'A. in una lettera) secondo usavano gli antichi nei tempi loro". Per l'architettura civile, l'A., arrivato a Genova in un momento di eccezionale attività edilizia, vi creò il palazzo signorile di media importanza, minore delle regge che potevano permettersi i principi romani, ma tuttavia monumentale. Egli ne determinò le due forme: il palazzo di città, col cortile al centro, e il palazzo di villa, senza cortile, accordato architettonicamente col giardino. Il volume architettonico è sempre pieno e compatto, come si usava, dal Medioevo in poi, nei palazzi genovesi. Una leggera rientranza al centro della facciata, e i forti ritmi di una plastica mossa e robusta non spezzano la salda unità del blocco. All'esterno due ordini architettonici, che comprendono due piani nobili e due di mezzanini, compongono la facciata entro linee perfettamente chiuse. Colonne e lesene variamente sporgenti, fregi molto sviluppati e intagliati, grandi globi sulle balaustrate, creano un chiaroscuro veramente michelangiolesco, che ha la sua nota più forte nei profondi neri delle logge. Questa plasticità penetra anche nell'interno, non soltanto con gli ornamenti in rilievo delle logge; ma con le colonne, coi portali, coi sedili negli squarci delle finestre; e specialmente con le nicchie, che arrotondano le pareti laterali degli atrî, e delle stanze da bagno fanno piccoli compiuti ninfei. Anche i giardini (ville Cambiaso e Scassi), modellati sui declivî naturali del terreno abilmente adattati, mostrano una eguale compiacenza dei rilievi e delle masse. Il cortile, quadrato, cinto da logge a colonne, è isolato come un chiostro. Non si fonde, non si compenetra con gli altri ambienti. Rimane appartato anche dallo scalone, pure monumentale come non s'era mai usato a Genova. La distinzione dall'atrio è accentuata con la diversità dei sostegni: pilastri quadrati nell'atrio contrapposti alle colonne del cortile (palazzo Cambiaso). Nel rovinato palazzo Sauli al Bisagno il cortile era addirittura esterno, davanti al palazzo. Questa struttura a elementi singoli, armonizzati ma tenuti distinti, verrà presto, a Genova stessa, abbandonata per ricerche di effetti prospettici d'impetuosa continuità, di lunghe vedute assiali (Rocco Lurago, e poi Bartolomeo Bianco). I partiti architettonici sono sempre limpidi, maschi, monumentali, ma elasticamente slanciati; e l'ornamento misurato. E lo spirito animatore è sempre romano. Palazzo Farnese fu per l'A. un modello sempre esemplare, specialmente nel lato verso il Tevere, con la loggia trifora e le nicchie ai lati dell'androne. Il Rubens, pur dopo aver girato tanto mondo, si avvide di aver trovato a Genova il tipo del palazzo per "gentilhuomo particolare", adatto a una famiglia numerosa e non a una corte. E col proposito espresso di render servizio "a tutte le provincie oltremontane" pubblicò nei suoi Palazzi di Genova (Anversa 1622) quasi tutte le opere architettoniche della scuola dell'A.
Nelle opere eseguite in Lombardia si vede il severo gusto mutare. L'esuberanza ornativa s'avvia al barocco di qualità deteriore. La facciata ora principale del palazzo Marino, sulla piazza della Scala, è pressoché interamente moderna, ma è condotta sulle altre originarie; e somiglia a quella del palazzo Cambiaso, edificato contemporaneamente, a Genova, verso il 1565. Nessuna pausa è lasciata dalle sagome, dagli intagli. L'accavallarsi dei rilievi è ancor meno frenato nel cortile, e nella facciata di S. Maria presso S. Celso, ultimata da Martino Bassi nel 1572, sul disegno dell'A. Anche nei pinnacoli della certosa di Pavia, questi sembra influenzato dalla più fastosa decorazione del Rinascimento lombardo. E c'è veramente da pensare ch'egli volesse, così, intonarsi a un ambiente abituale ai fioriti ornamenti. Poiché a Perugia, dove l'architettura tutta lineare della città era norma indefettibile, anch'egli torna ad essere più castigato, traendo la bellezza dalle proporzioni. Ma né a Milano, né a Perugia, l'A. fondò una tradizione, come a Genova.
Bibl.: G. Vasari, Vita di Galeazzo Alessi Perugino, Perugia 1873 (estratto dalla Vita di Leone Leoni, integrato con altri); Alberti, Elogio di Galeazzo Alessi da Perugia, pubbl. da Luca Beltrami, Milano 1913; R. Soprani, Vite, ecc., Genova 1674, 2ª ed., Genova 1768; G. B. Vermiglioli, Elogio accademico di Galeazzo Alessi, Perugia 1839; A. Rossi, Di Galeazzo Alessi architetto perugino, Perugia 1873; id., Commemorazione dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, Perugia 1873; W. Suida, in Thieme-Beceker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907, (con la bibl. precedente); M. Labò, Studi di architettura genovese. Palazzo Rosso, in L'Arte, XXIV (1921), p. 139 segg.; Palazzo Carrega, ibid., XXV (1922), p. 70 segg.; La villa di Battista Grimaldi a Sampierdarena e il palazzo d'Oria in "Strada nuova", ibid., XXVIII (1925), p. 271 segg.