CATTANEO, Galeazzo (Galeazzo Cattaneo de Grumellis, Galeazzo Grumello, Gramillo, Granello, Galeazzo Gonzaga, Galeazzo da Mantova)
Nacque nella seconda metà del sec. XXV, probabilmente da un Francesco (da Bartolomeo, secondo la poco attendibile genealogia del Litta).
Del C. si ignorano il luogo e l'esatta data di nascita; incerto è anche il cognome, che nelle cronache e nei documenti è dato in varie forme. Il cognome "Gonzaga" e l'appellativo "da Mantova" potrebbero far pensare ch'egli appartenesse a un ramo cadetto della famiglia: ma le prime testimonianze sul C. si riferiscono tutte all'ambiente padovano. In seguito egli appare al servizio della grande famiglia mantovana, motivo per il quale i cronisti finiranno per confonderlo molto spesso con Francesco Gonzaga: non è improbabile quindi un errore nell'attribuirgli tale cognome, come non è da escludere anche che i Gonzaga gliene avessero concesso l'uso a titolo d'onore. D'altronde anche il cognome Cattaneo o Cattaneo di Grumello, attestato dai documenti più antichi, potrebbe essere un semplice titolo nobiliare, indicante una investitura a feudatario in capite (capitaneus, da cui Cattaneus) di Grumello.
Totale è il silenzio delle fonti sull'adolescenza del C., se si eccettua la notizia, peraltro tarda e forse tramandata con intento encomiastico, secondo cui ancor giovinetto egli avrebbe rischiato la vita gettandosi armato con il proprio cavallo nelle acque del Ticino, come prova d'amore per la donna corteggiata.
Il 13 apr. 1395 il C. compare per la prima volta in un documento padovano, in qualità di testimone (Gloria, II, p. 294); ma la sua biografia comincia ad essere più coerentemente ricostruibile solo a partire dal 1399, anno in cui, oltre ad essere menzionato in un documento conservato all'Archivio notarile di Padova quale "miles" che agisce in proprio per la riscossione di un canone feudale, egli è ricordato dai Gatari come protagonista di un avvenimento che ebbe grande risonanza tra i contemporanei: il duello con il maresciallo di Francia, Boucicault.
La Cronaca Carrarese testimonia infatti che la sfida, voluta dal C. per vendicare il valore degli uomini d'arme italiani scherniti dal francese, ebbe luogo a Padova, di fronte alla corte carrarese e a numerosi spettatori, richiamati da tutta Italia dal valore e dalla fama dei contendenti. "Picciol nel corpo, ma tutto ingenio",come ricorda anche il Tarcanota nelle Istorie delmondo, egli si lanciò ripetutamente contro il gigante avversario, ma lo scontro venne interrotto dopo il primo assalto, avendo i presenti riappacificato i due nemici.
Uomo d'arme impostosi per il sottile ingegno più che per la forza fisica, il C. era allora probabilmente al servizio di Luigi Gonzaga. Già l'anno successivo, tuttavia, essendosi fatto apprezzare dagli stessi avversari in occasione delle operazioni cui aveva preso parte con le milizie mantovane durante la prima e la seconda coalizione antimilanese, fu chiamato a combattere nell'esercito di Gian Galeazzo Visconti (erroneamente il Litta lo dice presente invece in quello mantovano) ove ebbe modo di segnalarsi nel corso delle numerose guerre provocate negli anni successivi dalle aspirazioni egemoniche milanesi.
Scarne, ma non per questo meno eloquenti, le notizie sinora emerse sulle imprese compiute in quel periodo dal C.: agli ordini di Iacopo Dal Verme ed Ugolotto Biancardo, nel 1397 fu uno degli artefici della presa di Borgoforte, posizione chiave per la conquista di Mantova, evento determinante per la sconfitta di Francesco Gonzaga prima del sopraggiungere delle truppe della nuova lega antiviscontea; nell'ottobre del 1401 si distinse tra i capitani che, usciti da Brescia, sconfissero Giacomo da Carrara, il quale tentava di congiungersi all'esercito del re dei Romani, Roberto, avverso a Gian Galeazzo (erroneamente il Ghirardacci nella storia di Bologna lo confonde con Francesco Gonzaga, signore di Mantova, anch'egli presente nell'esercito visconteo); l'anno dopo, in occasione del concentramento delle truppe milanesi, in vista della presa di Bo, è segnalato nel Copialetteremarciano della Cancelleria Carrarese il suo passaggio per Vicenza, al comando di quattrocento lance.
L'improvvisa morte di Gian Galeazzo Visconti e il rapido dissolvimento del suo esercito non posero fine ai rapporti del C. con la casata milanese: rimasto al servizio della duchessa Caterina, nel settembre del 1403 egli figura tra i pochi capitani fedeli che soccorrono il presidio milanese di Brescia, assediato dal Carrara. Ma nei due anni successivi, caratterizzati dai sanguinosi tentativi dei signori di Padova di sostituire nell'Italia settentrionale il proprio predominio a quello visconteo, è pressoché impossibile seguire l'attività del C., spesso confusa con quella di Francesco Gonzaga, al cui fianco egli probabilmente combattè sino all'aprile del 1405, data del suo passaggio sotto la bandiera di S. Marco.
Al soldo della Serenissima, allora impegnata nella conquista della Terraferma, tutela e garanzia del dominio marittimo e della sua funzione economica, egli ebbe un ruolo rilevante nel corso della campagna che segnò la distruzione della signoria carrarese: dopo aver infatti concorso in maniera determinante alla resa di Cologna Veneta ed essersi distinto poco dopo nei combattimenti che portarono alla conquista della fortezza di Castelcaro, il C. si fece onore nell'assedio di Verona, di cui,il 3 giugno, scalò le mura, occupando con 50 uomini la porta di Santa Croce, donde fu successivamente ricacciato. Di lì a poco, cadute tutte le posizioni tenute dai Carrara nel Veronese e concentratesi le truppe veneziane intorno a Padova, egli si fece apprezzare per la decisione con cui guidò il vigoroso contrattacco grazie al quale, respinta l'improvvisa sortita che aveva permesso a Francesco Novello di penetrare nel campo degli assedianti ed impadronirsi di alcuni vessilli, fece cadere le ultime speranze carraresi di rovesciare il corso della guerra. Neppure un mese più tardi, morto di peste il capitano generale dell'esercito veneziano, Paolo Savelli, il C., in considerazione delle ottime prove offerte, fu eletto a quell'importante carica con l'ordine di espugnare Padova. Riordinate le truppe e consigliatosi con i fuorusciti padovani circa il luogo più adatto per sferrare l'assalto decisivo, guidò personalmente un primo vano attacco alla porta d'Ognissanti, nel corso del quale, come testimonia ancora il Gatari, venne ferito "da tre lanze" e "da cittadini buttato zoso dal muro". Dopo la caduta in mano veneziana del baluardo di S. Croce (17 novembre) il Carrara, conscio del grave pericolo, si recò al campo nemico per offrire la propria resa condizionata. In tale occasione, sostituendosi ai tre provveditori che gli erano stati affiancati dalla Repubblica (sostenendo costoro di non essere legittimati ad accogliere tali condizioni), il C. assunse anche la direzione dei negoziati politici e consigliò al signore di Padova di recarsi a Venezia per ricercarvi un accordo, dopo aver consegnato in pegno la città. La proposta venne accettata, ma l'allontanamento del Carrara provocò quell'insurrezione cittadina, di cui profittò il Senato per ordinare al C. di entrare pacificamente in Padova.
Grandissimi furono gli onori tributati dalla Serenissima al C.: insieme ai suoi eredi venne ascritto al Maggior Consiglio e gli venne inoltre assegnato un vitalizio annuo di mille ducati d'oro, con deliberazione del 25 nov. 1405. Giunto a Venezia per condurvi i Carrara, in favore dei quali s'era impegnato d'intercedere presso la Signoria, fu accolto con solenni festeggiamenti in suo onore; ma, amareggiato perché le proprie intercessioni non furono accolte dal Senato, abbandonò i Veneziani e ritornò presso i Visconti, che lo impegnarono nel Bergamasco per sedare le ribellioni promosse da Pandolfo Malatesta.
Morì dopo poco, il 24 marzo 1406, colpito alla testa durante l'assalto di Medolago.
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