CAVRIANI, Galeazzo
Nato nel 1406 a Mantova da nobile famiglia, il C. si trova citato per la prima volta il 21 sett. 1436, quando già dottore in legge e chierico della Camera apostolica ricevette a Bologna un salvacondotto per una destinazione a noi sconosciuta. Il 3 febbr. seguente compare come arciprete di Mantova nella bolla d'unione della chiesa di S. Paolo a quest'ultimo beneficio. Era l'inizio di una carriera che si sarebbe svolta in gran parte al servizio della Curia romana, in stretti rapporti con Mantova e con i Gonzaga. Nel 1439, benché non avesse che gli ordini minori, ottenne la commenda dell'abbazia benedettina di S. Ruffino di Mantova, pur continuando a esercitare la sua attività alla Camera. Nel 1441 quando Eugenio IV ritornò lentamente a Roma dopo un esilio di nove anni, il C., ormai prete e protonotario, ricopriva la carica di luogotenente del camerlengo Ludovico Scarampo, funzione che tendeva sempre di più a confondersi con quella di governatore temporale di Roma.
L'11 sett. 1444 il C. fu eletto vescovo di Mantova, senza dubbio con l'approvazione del marchese Ludovico, che di lì a poco sarebbe succeduto al padre. Il 5 dicembre ottenne un salvacondotto per ritornare alla città natale con un seguito di trenta cavalieri; tuttavia dovette ben presto allontanarsi di nuovo dalla sua sede, poiché il 5 genn. 1445 Eugenio IV lo nominò governatore di Perugia, dove egli si recò subito con un seguito di quaranta persone. Il 23 gennaio il papa sottomise alla sua giurisdizione anche la città di Foligno, Gualdo Cattaneo, Bevagna e Trevi. Tornato a Roma l'anno seguente, il C. fu di nuovo luogotenente del camerlengo dall'aprile al dicembre del 1445; il 15 gennaio 1446 ritornò in Umbria come governatore di Perugia e di Foligno.
Fu a tale titolo che, insieme con l'abate benedettino di S. Pietro di Perugia e col priore del monastero del Santo Sepolcro di Caurio nella diocesi di Zamora, il C. ebbe l'incarico di visitare il monastero di S. Luca dell'Ordine del Santo Sepolcro a Perugia, che minacciava rovina, e, all'occorrenza, di privare della commenda ad esso relativa il vescovo di Narni, ritenuto responsabile della situazione. Altro segno di una seria volontà di riprendere in mano la situazione locale, il C. ottenne il 6 settembre la facoltà di punire i chierici regolari e secolari sottoposti alla sua giurisdizione.
La morte di Eugenio IV pose fine agli incarichi del Cavriani. Durante i pontificati, di Niccolò V e di Callisto III egli dovette avere un ruolo secondario nella Curia, o forse tornare nella sua diocesi, giacché di lui in questo torno di tempo non ci risulta che una nomina a referendario, il 19 maggio 1450. Ricompare solo nel 1458, con l'elezione di Pio II: si trovava allora a Roma, da dove informava con regolarità il marchese di Mantova sugli avvenimenti di Curia e in particolare a proposito della scelta di Mantova come sede della Dieta che il papa aveva convocato nel tentativo di promuovere una crociata. Nel gennaio 1459 Pio II prese alcune disposizioni per il governo di Roma durante le sua assenza: il cardinale Niccolò di Cusa fu nominato legato, e il 15 gennaio il C. fu designato governatore temporale di Roma e, insieme, collettore dell'Urbe, della Sabina e della diocesi di Rieti. La scelta era stata dettata dalla preoccupazione di mettere a fianco del legato pontificio un esperto di cose italiane. Il C. ricoprì la carica di governatore fino al ritorno del papa nell'ottobre del 1460.
In questo periodo dovette far fronte a una serie di gravissimi disordini scoppiati, in seguito all'assenza del papa, a causadella lotta accanita tra i pretendenti alla successione al trono di Napoli. La situazione restò comunque relativamente calma finché il cardinale di Cusa rimase a Roma; dopo la sua partenza per Mantova, il C. ottenne da Pio II i pieni poteri su tutti gli ufficiali di Curia, e in particolare sull'auditore della Camera apostolica e sul soldano delle prigioni (28 ott. 1459). Pio II, che aveva inviato i brevi relativi, seguì assai da vicino la situazione e ordinò energiche misure: soppressione del carnevale, taglie sulla testa dei colpevoli di ribellione, invio di rinforzi militari sotto il comando di suo nipote Antonio. Da parte sua il C. appare piuttosto imbarazzato a causa della situazione generale della città, se, il papa gli dovette scrivere che non c'era necessità di scusarsi delle cattive notizie. Comunque il C. non esitò a imporsi con la forza, come quando obbligò Giovanni degli Alberini ed Evangelista Capodiferro a farsi garanti per 4.000 ducati che Luca de' Tozoli, uno dei promotori dei disordini, non avrebbe attentato alla persona e ai beni di Giovanni "de Leis", che, ciononostante, fu assassinato poco dopo, con grave imbarazzo dei garanti. Sembra escluso che il C., incapace di dominare la situazione, sia stato obbligato a rifugiarsi in Vaticano, come afferma invece il Pastor (p. 80) sulla base di un breve pontificio, nel quale in realtà lo scrivente si limita ad annunciare l'arrivo di Antonio Piccolomini. Ma la situazione era a un punto tale da indurre il C. a invocare con insistenza il ritorno del pontefice, che infine, il 26 agosto, annunciò la sua intenzione di ritornare. Forse l'esperienza di un difficile anno di governo aveva scosso il C., dato che nell'ottobre 1461 lo ritroviamo a Mantova, dove sembra che abbia passato gli ultimi anni della sua vita.
Come vescovo il C. seppe far prendere in favore della sua Chiesa un certo numero di decisioni importanti. Innanzitutto il vescovo di Mantova fu esentato dalla giurisdizione del patriarca di Aquileia, che era allora il cardinale camerlengo Ludovico Scarampo, e venne reso direttamente dipendente da Roma (11 apr. 1445). Nella sua diocesi, assecondando così anche i desideri del marchese Ludovico, sottopose gli Ordini mendicanti alla giurisdizione dell'arcidiacono per tutte le questioni relative al quarto delle offerte, che quei frati dovevano ai parroci (10 giugno 1445). Dotò inoltre di un reddito di 50 ducati la cappella dedicata a S. Girolamo che egli aveva eretto nella cattedrale di Mantova, e con bolla del 20 giugno 1445 fu autorizzato a trattenere la somma dai beni feudali della mensa vescovile. Il C. pensò anche a se stesso, e dal 12 sett. 1445 tornò ad avere la commenda dell'abbazia di S. Ruffino, cui aveva dovuto rinunciare al momento della sua elevazione al vescovato e che gli venne definitivamente tolta solo il 13 giugno 1459 per essere attribuita alla Congregazione dei canonici del S. Salvatore di Venezia. Nel dicembre 1445 ottenne dal papa di poter infeudare "foreste, boschi ed altri beni incolti ed inutili" dipendenti dalla sua mensa vescovile e dal monastero di S. Ruffino. Su sua richiesta, Niccolò V confermò tutti i privilegi che la Chiesa di Mantova aveva ottenuto dagli imperatori (17 marzo 1452) e accordò indulgenze ai visitatori della cattedrale per contribuire alla manutenzione dell'edificio (24 marzo 1452). Infine, il 29 ott. 1452 il C. ricevette tre bolle: con la prima il pontefice nominava i tre conservatori della Chiesa di Mantova nelle persone dei vescovi di Ferrara, Parma e Modena; con la seconda disponeva che d'allora in poi il vescovo di Mantova avrebbe avuto diritto ai benefici della sua diocesi non riservati alla S. Sede, un mese su due a cominciare dal mese di febbraio; con la terza si autorizzava il C. a far testamento fino alla somma di 10.000 fiorini d'oro di Camera, somma che testimonia una sicura agiatezza. D'altra parte il C. ebbe un ruolo di primo piano nella fondazione del nuovo ospedale di S. Maria di Corneta (1449), che riunì sotto tale nome tutti i precedenti ospedali di Mantova, escluso quello di S. Antonio: fu infatti il C. che ricevette l'autorizzazione ad usare i beni delle vecchie fondazioni a vantaggio della nuova istituzione, sul cui edificio (11 apr. 1453) egli fece dipingere il suo stemma.
Il C. morì a Mantova il 18 luglio 1466 e fu sepolto nella cattedrale.
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