CIANO, Galeazzo (App. I, p. 412)
Nella valutazione della personalità del C., fin dal momento in cui assunse il dicastero degli Esteri, si pose la questione se e fino a quel punto egli fosse un semplice, più o meno intelligente, esecutore della politica del suocero Mussolini; o se invece egli avesse e tentasse di attuare anche una politica propria.
Finché visse il regime mussoliniano, nell'esaltazione d'obbligo delle virtù taumaturgiche del "capo" ebbe corso ufficiale la prima interpretazione; solo sottovoce e solo in certi ambienti si sussurrò di "una politica di Ciano"; ma in questi ultimi anni si è andati inclinando verso questa seconda interpretazione. In verità, le pubblicazioni documentarie e memorialistiche recenti sono venute corroborando piuttosto la prima che non la seconda interpretazione. Il C., vanitoso forse più che ambizioso e solleticato dal suo entourage ministeriale, alieno da certo stile volgarmente coreografico che aveva avuto in A. Starace il massimo regista, nutriva, sì, qualche velleità di una polilica personale, ma non più che tale soggiacendo poi sempre alla più forte personalità del suocero; il quale poi, non è detto che in certe circostanze, ai fini della sua politica, non lasciasse momentaneamente accreditare l'opinione di un latente dualismo: così nel periodo della "non belligeranza" fin verso il marzo 1940, quando Mussolini si decise per l'intervento al fianco dei Tedeschi. In C., più che in Mussolini, fu accentuata certa diffidenza verso la politica tedesca, mescolata tuttavia anche a ragioni di personale antipatia e risentimento, per es. verso Ribbentropp. Ma anche un'azione politica come quella che portò alla guerra contro la Grecia (28 ottobre 1940) e che parve, e in un certo senso fu, "la guerra di Ciano", in realtà si inquadrava perfettamente nei piani strategico-politici e soprattutto nella mentalità e psicologia di Mussolini, che era rimasto assai contrariato per l'invadenza tedesca nei Balcani; fu l'escogitazione di un'azione che si sapeva grata a un padrone piuttosto che una mossa inserita in una lungimirante linea politica; e, per giunta, preparata dal C. con sconcertante leggerezza, come un'impresa in cui, come già nell'aprile 1939 nell'azione contro l'Albania di re Zog, egli vedeva aprirsi all'attivismo sportivo suo e dei suoi amici le prospettive di facili allori.
Solo la piega sempre più infausta che la guerra venne prendendo dall'autunno 1942, maturò nel C. una visione più realistica del baratro verso cui si avviava l'Italia e diede la sensazione di un suo progressivo distacco e di un suo radicale dissenso dalla politica di Mussolini. Il 5 febbraio 1941, il C. dovette lasciare la direzione del Ministero degli esteri e fu successivamente nominato ambasciatore presso la S. Sede. Nei mesi precedenti il colpo di stato del 25 luglio il C. prese parte alla preparazione del "pronunciamento" del Gran consiglio contro Mussolini; nella famosa seduta del 24 luglio 1943 il C. sostenne la necessità dell'intervento della corona e votò l'ordine del giorno Grandi. Internato in Germania, fu consegnato alle autorità fasciste e deferito al tribunale speciale di Verona per "tradimento all'idea fascista ed al capo". Condannato alla pena capitale, fu giustiziato a Verona l'11 gennaio 1945.
Dopo la sua morte, sono stati pubblicati gran parte dei manoscritti, diarî, note e documenti venuti in mano degli eredi o di altri. Essi ci forniscono la rivelazione di un dissenso, che non assunse mai la forma e la portata di un'opposizione, insieme ad una testimonianza sconcertante sulle contraddizioni, le incertezze, gli errori della politica mussoliniana nella preparazione e nella condotta della guerra.
Bibl.: Per tutte le questioni inerenti al Diario (Diario, 2 voll., Milano 1946; Diario 1937-38, Bologna 1948; L'Europa verso la catastrofe, Milano 1948, raccolta di verbali dei colloqui avuti da C. con uomini politici italiani e stranieri) e alle carte lasciate da C., v. M. Toscano, in Rivista storica italiana, LX (1948).