ORZI, Galeazzo dagli
ORZI, Galeazzo dagli. – Nacque a Orzinuovi (Orzi), nel Bresciano, nel 1492.
L’anno di nascita si ricava con certezza da una polizza del 1534, sottoscritta da Orzi all’età di 42 anni, in cui sono nominati anche la moglie Augustina, che aveva allora 29 anni, e quattro figli: Ottavia, Adriana, Marco Antonio e Fulvia. Nella polizza Orzi si dichiara «cancelliero», cioè segretario, del nobile bresciano Mariotto Martinengo, carica con la quale ci si riferisce a lui anche in un’altra polizza, di Mariotto e del fratello Gasparo, sempre del 1534 (le due polizze, conservate all’Archivio storico civico di Brescia, sono state pubblicate da Giuseppe Tonna nella sua edizione de La massera da bé, 1978). A quest’altezza cronologica le condizioni economiche di Orzi erano discrete: abitava con la famiglia a Brescia, in una casa sita «in quadra tertia Joannis»; percepiva un salario di 150 lire e aveva proprietà fondiarie nel contado, da cui ricavava una rendita d’affitto.
Il nobiluomo per il quale lavorava, Mariotto Martinengo, è a sua volta personaggio di un certo interesse: uxoricida nel 1528, fu poeta dilettante, tanto da rientrare con la serie di ottave Il pianto del dio Pan per la rovina del Colle beato nell’antologia di Rime di diversi eccellenti autori bresciani allestita da Girolamo Ruscelli e pubblicata nel 1554.
La fama di Orzi è legata essenzialmente a La massera da bé (La massaia previdente), una frottola di 1781 settenari a rima baciata composta in un dialetto a base bresciana con interferenze bergamasche, pubblicata a Brescia nel 1554 dagli eredi di Giacomo Turlino.
L’opera fu a lungo attribuita a Mariotto Martinengo sulla base dell’ambiguo colophon, che fa ricorso all’espediente del manoscritto ritrovato: «Questo libretto inscritto la Massera da Be s’è havuto da Messer Galeazzo da gli Orzi, già Cancelliero dell’Illustriss. Sig. Martinenghi de la Palada in Brescia, il quale disse haverlo trovato a Cobiato in un Camerino del Palazzo del Clarissimo Sig. Cavalier Mariotto Martinengo di buona memoria, al tempo del Sacco di Brescia», cioè nel 1512. Si tratta probabilmente, come ha supposto Tonna, di uno stratagemma ideato per aggirare le possibili reazioni delle autorità veneziane rispetto alla denuncia – serissima, malgrado l’intonazione comica del testo – delle ingiustizie e delle angherie che angustiavano la vita dei contadini del Bresciano anche dopo l’annessione alla Serenissima, avvenuta nel 1516. Quanto alla composizione del testo, il terminus post quem va identificato nel 1529, data dell’assedio di Vienna da parte dei turchi, cui si accenna nel testo.
La Massera da bé è un sermò, cioè un componimento in versi destinato alla recitazione, che non può essere ricondotto esclusivamente all’ambito della parodia villanesca, soprattutto per il crudo realismo e la drammaticità dei riferimenti alle condizioni della vita materiale dei ceti più umili. Il testo è strutturato in forma di lungo recitativo intervallato da battute di dialogo in cui la protagonista, la massèra Flor da Cobiàt (Fiore da Collebeato), presenta a una ‘Madonna’ le proprie capacità per essere assunta come massaia. La descrizione di Fiore rispecchia i tratti deformati tipici della parodia villanesca, con una descrizione fisica caricaturale, cui si contrappone la scaltrezza della donna. Come sottolinea Tonna, Flor da Cobiàt non è una sola massera, ma è il risultato della composizione di diverse massere, di volta in volta giovane o vecchia, rispettosa dei padroni o chiacchierona, che dà voce alle critiche della plebe umiliata, buffonesca e ridicola o astuta e presuntuosa. Tanto che è stata avanzata l’ipotesi (Gibellini, 1981) che l’autore abbia fuso diverse fonti minori, ricavandole dalla tradizione della cultura orale in dialetto.
È innegabile, in effetti, l’abilità strutturale di Orzi, che compone i diversi quadri del sermò dando al tutto coerenza e coesione testuali molto forti. Dopo l’esordio, che si apre con l’invito del giullare agli uditori a riunirsi, il corpo del sermò avvia la lunga presentazione delle capacità della protagonista: filare, tessere, ordire, fare il bucato, fare la spesa al mercato, preparare il pane, cucinare; ma non ricamare, perché è occupazione da gentildonne, non è un lavoro. Ognuna di queste attività viene quindi descritta dalla massera con vivacità di tono e concretissima attenzione alla materialità del vivere, in un insieme di scene che costituiscono un’efficace rappresentazione del mondo contadino in contrapposizione a quello della città, dove pure, da questo momento, la protagonista si troverà a vivere, dato che ‘Madonna’ decide di assumerla. Concludono il testo i versi di congedo del giullare, in cui si riaccende l’intenzione parodica con la richiesta in premio non di applausi, ma di un salsicciotto o almeno di qualche fagiolo.
Oltre al testo della Massera, l’edizione bresciana comprende, all’inizio, un sonetto in italiano indirizzato alle «Nobilissime Gentildonne bresciane» e un’appendice finale di strambotti preceduta dal titolo Maitinada idest strambòg che fa el Gian alla Togna. Il sonetto consente di ricavare qualche dato sulla formazione culturale dell’autore: vi si dice, infatti, rivolgendosi a un pubblico femminile, che chi voglia ascoltare «rime amorose», «limate prose» o qualcosa che fonda insieme versi e prosa si dovrà rivolgere a Petrarca, a Boccaccio o a Bembo; chi invece voglia sentire «un parlar giocoso», non avrà che da leggere la Massera. Ne emerge, per quanto indirettamente, l’immagine di uno scrittore non professionista, ma senza dubbio aggiornato rispetto al canone del classicismo volgare che si andava affermando attorno al terzo decennio del Cinquecento, dopo la pubblicazione delle Prose della volgar lingua di Bembo nel 1525, e capace comunque di allestire un componimento di ampie dimensioni mantenendo un buon controllo del metro assunto. Quanto alla Maitinada, da Tonna considerata attribuibile a Orzi, si tratta di otto strambotti di argomento erotico. Il modello di base è quello dello strambotto alla bergamasca e il tono è scopertamente divertito e disimpegnato, privo del fondo di tragico realismo che condraddistingue la Massera(di qui i dubbi di molti, prima di Tonna, circa la paternità di questi componimenti).
Una seconda edizione della Massera apparve a Venezia nel 1565 (senza note tipografiche), mentre una ristampa bresciana del 1601 per i tipi di Policreto Turlini. Il volume veneziano offre una redazione della frottola assai più corretta di quella bresciana del 1554, con numerose varianti che Tonna interpreta come in gran parte frutto di un lavoro di revisione imputabile all’autore stesso. Nulla consente allo stato attuale degli studi di affermarlo con certezza, in ogni caso, non tutte quelle che Tonna considera vere e proprie varianti d’autore possono essere ritenute tali, poiché in molte occasioni sembrerebbe piuttosto trattarsi di emendamenti di errori palesi non necessariamente da attribuire a Orzi stesso. Peraltro, la questione è resa più complicata dal fatto che non si conoscono il luogo e l’anno di morte di Orzi.
Aperto resta anche il problema di definire con maggiore precisione la natura del dialetto cui ricorre l’autore per il suo testo: l’ipotesi di Mario Chiesa (1980) e di Piera Tomasoni (1981, 2010), che si tratti di una lingua frutto di convenzione letteraria, perciò non pienamente naturale, non toglie nulla, come Tomasoni stessa riconosce, al valore documentario e al realismo del racconto, che si fonda su un lessico fondamentalmente coincidente con la lingua vera in uso presso la plebe.
La massera da bé è edita a cura di G. Tonna, Brescia 1978.
Fonti e Bibl.: F.S. Quadrio, Indice universale della storia e ragione d’ogni poesia, Milano 1751, p. 37; B. Zamboni, La libreria di S.E. il N.U. Signor Leopardo Martinengo patrizio veneziano, Brescia 1778, pp. 120 s.; B. Biondelli, Saggio sui dialetti gallo-italici, Milano 1853, pp. 107, 163-165; U. Baroncelli, Editori e stampatori a Brescia nel Cinquecento, in Studi di biblioteconomia e storia del libro in onore di Francesco Barberi, a cura di G. De Gregori - M. Valenti, Roma 1976, p. 107; R. Bresciani, La massera da bé. Una messa in scena di antichi testi in dialetto bresciano, Brescia 1977; M. Chiesa, Appunti sul “rozzo parlar”, in Giornale storico della letteratura italiana, CLVII (1980), pp. 282-292; P. Gibellini, Primi appunti sulla “Massera” di Galeazzo dagli Orzi, in Folengo e dintorni, a cura di P. Gibellini, Brescia 1981, pp. 85-94; P. Tomasoni, Nota sulla lingua della “Massera da bé”, ibid., pp. 95-118; F. Brevini, Il Rinascimento dalla parte dei contadini: “La massera da bé” di G. dagli O., in Lo stile lombardo. La tradizione letteraria da Bonvesin da la Riva a Franco Loi, Lugano 1984, pp. 87-102; Il sacco di Brescia. Testimonianze, cronache, diari, atti del processo e memorie storiche della “presa memoranda et crudele” della città nel 1512, a cura di V. Frati et al., I, 1, Brescia 1989, p. 159; Id., La poesia in dialetto, I, Milano 1999, pp. 192-197; H.W. Haller, The other Italy. The literary canon in dialect, Toronto-Buffalo-London 1999, pp. 26 s., 106; M.G. Muzzarelli - F. Tarozzi, Donne e cibo, Milano 2003, pp. 72 s.; S. Isella, Trionfi alimentari in Lombardia, in Storia della lingua e storia della cucina. Parole e cibo: due linguaggi per la storia della società italiana. Atti del VI Convegno ASLI (Modena, 20-22 settembre 2007), a cura di C. Robustelli - G. Frosini, Firenze 2009, pp. 449-470; P. Tomasoni, Nuovi appunti sulla Massera da bé, in Letteratura e dialetti, III (2010), pp 83-96.