MALATESTA (de Malatestis), Galeazzo
Primogenito di Malatesta di Pandolfo (II), più noto come Malatesta dei Sonetti, e di Elisabetta da Varano, nacque a Pesaro nel 1385.
Quasi tutte le fonti coeve e postume sono concordi nel descriverlo privo di coraggio e di doti politiche e militari. Di carattere debole, cercò sempre l'appoggio di persone più capaci: il padre, i fratelli, la moglie. Sposò nel 1405 Battista da Montefeltro, figlia del conte di Urbino Antonio, assicurando così alla signoria pesarese un valido alleato nei confronti delle pressioni esercitate dai cugini di Rimini.
Battista trovò alla corte del suocero un ambiente congeniale; donna colta, si dilettava a duellare con lui in componimenti poetici e in seguito le sue qualità di rimatrice le servirono più volte per chiedere la protezione di personaggi influenti. Dall'unione nacque una sola figlia, Elisabetta, amatissima dalla madre che, nel desiderare per lei un'educazione consona agli ideali letterari cui si ispirava, si avvalse della guida e del consiglio dell'aretino Leonardo Bruni.
Modesto capitano di ventura, nel 1416, il M. subì l'umiliazione della cattura e della carcerazione da parte del condottiero perugino Braccio da Montone (Andrea Fortebracci), che durò almeno fino alla primavera dell'anno successivo, quando Malatesta dei Sonetti pagò per la liberazione sua e di un congiunto riminese un oneroso riscatto, pari a 30.000 scudi, e fu costretto a cedere Iesi. Nel novembre del 1424, quando il castello di Gradara fu conquistato dalle milizie lombarde capeggiate da Angelo Della Pergola, il M. visse un nuovo periodo di prigionia insieme con la moglie. L'episodio non ebbe gravi conseguenze per i due coniugi, poco dopo rilasciati, ma determinò, di fatto, l'entrata dei Malatesta nell'orbita di influenza viscontea.
Alla morte del padre (1429), il M. e i fratelli Carlo e Pandolfo subentrarono come condomini nel governo di Pesaro, Fossombrone e Senigallia, tentando inutilmente di far valere presso il pontefice Martino V i loro diritti signorili contro le rivendicazioni dei cugini Malatesta di Rimini; anzi furono messi ancora più fuori gioco dalla morte del papa (20 febbr. 1431) e dalla nomina al soglio papale del veneziano Eugenio IV (3 marzo), a loro avverso. Questi favorì un tumulto popolare a Pesaro, che, occupata dal condottiero al soldo della Chiesa Sancio Carillo, portò alla prima temporanea cacciata dei Malatesta (giugno 1431) e a un breve periodo di diretta dominazione pontificia (1431-33). Mentre il fratello Carlo trovò rifugio a Fossombrone e da lì cercò di organizzare la difesa dei possedimenti limitrofi, il M. si recò a Roma per chiedere l'intervento del papa in loro favore; fallita la missione, si ritirò a Urbino con la moglie e la cognata Vittoria Colonna. Nell'occasione, davanti al re dei Romani Sigismondo di Lussemburgo, Battista pronunciò una celebre invettiva contro la Curia romana e a difesa dell'eredità del marito e dei cognati.
Con l'aiuto di Guidantonio da Montefeltro e di Filippo Maria Visconti, duca di Milano e oppositore di Eugenio IV, nel febbraio 1432 il M., Carlo e Pandolfo iniziarono la riconquista di alcuni castelli del contado pesarese, recuperando anche le città di Senigallia e Fossombrone. Le forze militari capitanate da Berardino degli Ubaldini, nel tentativo di esercitare maggior pressione su Pesaro, si spinsero anche sul territorio riminese attaccando San Giovanni in Marignano e Sassocorvaro. Di contro l'esercito pontificio poteva contare su un condottiero come il Gattamelata (Erasmo da Narni) che però, dopo aver invaso il territorio del conte di Urbino, fu costretto a ritirarsi a Forlì. Solo il 15 sett. 1433 fu siglata la pace, nella quale Eugenio IV restituiva Pesaro al M., secondo un accordo che prevedeva anche la consegna temporanea della rocca di Gradara nelle mani di Sigismondo Pandolfo Malatesta. Il reintegro del castello all'interno del patrimonio del M. sarebbe stato d'ora in poi una nota dolente: il 26 sett. 1435, pur riconfermando al M. il vicariato apostolico su Pesaro, Senigallia, Fossombrone, il papa non riuscì a indurre Sigismondo Pandolfo a restituire Gradara ai suoi cugini, cui anzi cercò di sottrarre altri castelli del Pesarese.
Allo stato attuale degli studi e della disponibilità di fonti archivistiche inedite, appare chiaro che il M., Carlo e Pandolfo tentarono di rafforzare la propria posizione di vicarius pro tempore sia appoggiandosi a Gianfrancesco Gonzaga, cognato del M. per averne sposato la sorella Paola, e a Niccolò (III) d'Este, già garante della pace stipulata il 27 apr. 1435 tra i Malatesta di Rimini e quelli di Pesaro, sia perseguendo, al pari del padre, una politica interna volta ad affermare con estrema decisione la sovranità signorile ma, soprattutto, lo status di potentes riconosciuti superiori e del tutto soluti rispetto al diritto vigente. In effetti i tre fratelli esplicavano il loro potere legislativo attraverso la redazione di norme specifiche (additiones) aggiunte alla preesistente legislazione statutaria; essi controllavano, altresì, le due assemblee della Comunità, il Consiglio generale e il Consiglio minore o di credenza, nonché l'ufficio podestarile e gli incarichi della depositaria e referendaria.
È evidente, però, che l'esercizio del potere da parte del M., Carlo e Pandolfo non risultò affatto esente da punti di frizione, tenendo poi presente che le loro ricorrenti rivalità furono spesso causa di malcontento per le comunità soggette. Pertanto, il M. e i fratelli erano costretti a dipendere da Guidantonio da Montefeltro, il quale, in cambio di uno stabile protettorato anche contro le incalzanti minacce del cugino Sigismondo Pandolfo, stipulò con i cognati una vantaggiosa convenzione che assicurava alla città di Urbino la fornitura di sale mediante agevolazioni fiscali nelle operazioni di transito dalla costa verso il Montefeltro e nell'uso del porto di Pesaro.
A causa della continua instabilità le condizioni finanziarie del piccolo Stato malatestiano erano fin troppo compromesse, perciò il M. decise di mettersi al soldo di Filippo Maria Visconti. Più volte egli si recò a Milano senza, però, incamerare quelle rendite cui la famiglia riponeva parte delle sue speranze.
Manifestata negli anni un'innata inclinazione più ai piaceri che non alle responsabilità di governo, il M. eluse in un primo momento la ratifica della convenzione, firmata il 5 ott. 1438, dai suoi fratelli, Guidantonio da Montefeltro e Francesco Sforza, signore della Marca, che poneva i reciproci Stati al sicuro dalle mire di Sigismondo Pandolfo. Solo le rimostranze del conte di Urbino, redatte tramite un atto notorio, lo persuasero ad apporre il fiat (2 dic. 1438). Poi, violati i patti, il M. si rifiutò di appoggiare il cognato, che aveva mosso guerra al signore di Rimini, dopo aver occupato alcuni castelli del Montefeltro.
Nel frattempo era morto senza eredi il fratello Carlo (14 nov. 1438) e la conduzione della signoria fu assicurata dall'arcivescovo Pandolfo e dalla moglie del M., Battista. Le sorti della signoria erano, in ogni caso, segnate: il 21 apr. 1441 scomparve anche Pandolfo e Battista fu così privata dell'appoggio necessario per arginare le negligenze del marito. Spettò a Federico da Montefeltro, nipote della nobildonna, accorrere in difesa dei Malatesta di Pesaro, ormai irrimediabilmente indeboliti.
La sorte non arrise però al M. e a Battista, i quali nel 1443 dovettero affrontare un'insurrezione scoppiata in città (8 aprile) e subire una sconfitta a Monteluro (8 novembre) contro le milizie congiunte di Francesco Sforza e del genero di questo Sigismondo Pandolfo Malatesta, ormai insediatosi stabilmente a Gradara. Nell'estate del 1444 l'esercito pesarese, coadiuvato dalle forze di Federico da Montefeltro, riusciva a riconquistare Montelabbate e la Tomba, ma ciò non valse a tranquillizzare il M. sempre più insofferente nei confronti degli obblighi di governo. Fu così che, insensibile alle suppliche della moglie, il 18 genn. 1445, piegato dai debiti e dalla guerra con il cugino riminese, cedette per 20.000 fiorini le signorie di Pesaro e Fossombrone rispettivamente ad Alessandro Sforza, fratello di Francesco, e a Federico da Montefeltro.
Il contratto prevedeva inoltre la celebrazione del matrimonio fra Alessandro Sforza e Costanza da Varano che portava in dote Pesaro. Il passaggio formale della città avvenne il 16 marzo dello stesso anno con l'entrata in Pesaro di Alessandro. Ad accoglierlo era rimasta la coraggiosa Battista, poiché il M., ritiratosi insieme con il figlio naturale Maltosello a Montemarciano, sarebbe in seguito partito per Firenze. I coniugi non si rividero più e i loro destini presero vie completamente diverse: Battista si ritirò prima a Urbino poi nel convento di S. Lucia a Foligno, ove, con il nome di suor Girolama, morì monaca il 3 luglio 1448.
Il M., colpito come lo Sforza dalla scomunica pontificia, trascorse due anni sotto la protezione di Cosimo de' Medici poi, pentitosi della cessione di Pesaro, si rappacificò con Sigismondo Pandolfo e trovò in lui l'alleato ideale per rientrare in possesso della perduta signoria; insieme riconquistarono il castello di Monteluro (1449) ma non riuscirono a spingersi oltre. Un altro disperato tentativo di togliere il potere allo Sforza fu caldeggiato da Vittoria Colonna, vedova di Carlo, allorché si fece promotrice di una congiura che fallì rovinosamente (1449). Il fallimento di tali azioni fece precipitare le speranze del M., che decise di ritirarsi definitivamente a Firenze, di cui ottenne la cittadinanza. Qui il 20 luglio 1449 sposò in seconde nozze la diciannovenne Maria Maddalena, figlia di Cambio di Perino de' Medici. Entrambi vissero una vita agiata fino alla morte del M., avvenuta a Firenze nel 1461, con la quale si estinse il ramo collaterale dei Malatesta di Pesaro.
Oltre a Elisabetta il M. ebbe anche una successione spuria, costituita da due femmine e un maschio: Aritea, che fu amante di Sigismondo Pandolfo Malatesta e successivamente moglie di Girolamo Dandolo; Lucrezia, andata in sposa a Rinaldo Ricciardelli; e il già ricordato Maltosello. Questi, affezionato al padre, che gli lasciò una cospicua eredità, dal 1457 si stabilì a Cesena dove, privo di discendenza, istituì erede universale il figlio adottivo Antonio da Talamello, dando così origine alla nobile e facoltosa casata dei Maltoselli.
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