MARESCOTTI, Galeazzo
– Nacque a Vignanello, nel Viterbese, nel 1627 da Sforza Vicino, quarto conte di Vignanello, e da Vittoria, figlia del patrizio romano Orazio Ruspoli.
La famiglia discendeva da Sforza Marescotto, colonnello e ambasciatore di Carlo V, che aveva sposato Ortensia Baglioni, pronipote per parte di madre del papa Paolo III, che nel 1536 confermò a Ortensia e a Sforza Marescotto il feudo e il titolo comitale di Vignanello. Alfonso, figlio di Sforza, nel 1592 fu condannato a morte ed esiliato, e in seguito ricevette la grazia da Clemente VIII; tra i figli di Alfonso si ricordano Clarice, in religione Giacinta, canonizzata nel 1807, e il padre del Marescotti.
Avviato, secondo la tradizione familiare, alla carriera ecclesiastica, poco più che ventenne il M. divenne protonotario apostolico partecipante (1650). Il 6 luglio 1653 ricevette gli ordini minori. Dal 1655 fu referendario delle Segnature di grazia e giustizia e nel 1661 governatore di Ascoli. Nel 1662 fu ordinato sacerdote, dopo che era entrato a far parte della Camera apostolica. Inizialmente vicino ai Barberini e poi, salito al soglio pontificio Innocenzo X, ai Pamphili, con i quali i Marescotti erano legati da antica consuetudine, la carriera del M. ebbe una forte accelerazione sotto Alessandro VII. Un primo incarico di rilievo fu la delicata missione del 1664 come inquisitore a Malta.
I rapporti fra la Curia pontificia e Malta non erano stati facili: molti problemi erano infatti sorti fin dal principio tra il Sovrano Ordine militare gerosolimitano di Malta, il vescovo dell’isola e l’inquisitore. Si erano diffusi sospetti di eresia e di malversazioni a carico dei cavalieri, restii in alcuni casi ad attenersi alle direttive di Roma. Della sua esperienza a Malta il M. lasciò una testimonianza scritta: Instruzione lasciata da monsignor Galeazzo Marescotti inquisitore di Malta a monsignor Ranuzzi suo successore, un manoscritto contenente informazioni sugli anni passati a Malta, di estremo interesse per comprendere l’attività dell’inquisitore e le regole di comportamento nei rapporti con l’Ordine.
Il M. cerca di tracciare una sorta di manuale che possa rivelarsi utile ai suoi successori, affermando «onde siccome io per mio conto mi sarei chiamato sommamente favorito dal mio Antecessore se da lui mi fossi trovato onorato di un precedente simile ragguaglio, così voglio operare, che chi mi dovrà succedere, non solo non sia per tacciarmi di presuntuoso, ma di vantaggio trovandosene servito, forse impensatamente, gradirà questa mia diligenza, riconoscendola come derivata dal puro zelo» (ibid., p. 2). Le descrizioni e i consigli pratici, relativi agli abiti, saluti, titoli da usare nei confronti del gran maestro, dei cavalieri e delle altre cariche dell’isola, o al modo di inviare e ricevere lettere, si accompagnano all’analisi delle funzioni e competenze dell’inquisitore e del Tribunale del S. Uffizio. Particolare attenzione è riservata ai rapporti con il gran maestro in merito alle rispettive giurisdizioni. Una cautela necessaria, soprattutto perché l’Inquisizione risultava «odiosissima universalmente a tutti in Malta, poiché irrogat infamiam a quelle famiglie, e persone, che vengono molestate per materia di fede» (ibid., p. 39). L’esercizio delle mansioni di inquisitore non sembra del tutto gradito al M., che raccomanda al suo successore di non chiedere troppe grazie al gran maestro in modo da evitare di dovergli corrispondere altrettanti favori e in più punti si dimostra scettico rispetto alle usanze dell’Ordine. Anche in occasione della sua partenza, nel 1666, non si attenne alla consuetudine di richiedere alla massima carica dell’Ordine una lettera che attestasse il suo buon servizio nonostante gli venissero ripetutamente fatte pressioni in tal senso. La lettera fu poi scritta ugualmente dal gran maestro ma il M. non lo ringraziò personalmente bensì per mezzo del segretario d’Italia. Se i rapporti con i cavalieri non furono ottimali, come si presume dalla constatazione sulla «Corte oziosa al maggior segno, ripiena degli spiriti li più vivaci di ogni nazione» (ibid., p. 3), non lasciò sul M. impressioni molto favorevoli neppure l’isola di Malta, descritta come uno «scoglio assai angusto, nel quale per così dire dal centro della piazza pubblica si arriva cogli occhi a vedere i limiti di tutta l’Isola» (ibid.).
Tornato a Roma, il M. svolse dal 1666 al 1668 le funzioni di assessore del S. Uffizio. Il 27 febbr. 1668 fu nominato arcivescovo titolare di Corinto, sede che non occupò; nello stesso anno divenne assistente al Soglio pontificio e fu inviato come nunzio straordinario a Vienna per «recare le fascie» al neonato (e nel frattempo già morto) arciduca Ferdinand Wenzel, e per sondare le intenzioni di pace dell’imperatore nel conflitto che opponeva la Francia alla Spagna. Al M. si era pensato anche per la nunziatura di Parigi, dove invece si preferì inviare Niccolò Bargellini, considerato più malleabile dai Francesi, che avevano constatato la fermezza del M. nel 1666, quando come membro dell’Inquisizione aveva seguito la questione dei vescovi giansenisti.
Dopo Vienna ci fu la nunziatura stabile in Polonia, dove il M. risiedette dal 1668 al 1670; anche di questa esperienza lasciò testimonianza in un manoscritto.
La Relazione della nunziatura di Polonia fatta dal sudetto monsignor Marescotti negli anni 1668, 1669 e 1670 prende avvio dalla descrizione delle località visitate nel corso del lungo e difficile viaggio verso la Polonia, corredata di una serie di consigli per rendere l’itinerario più confortevole e sicuro. La parte del manoscritto sulla Polonia fornisce molte informazioni sul Regno – dalle cariche civili ed ecclesiastiche ai confini dello Stato, dalla sua divisione amministrativa al valore della moneta in uso rapportata a quella degli altri principali Stati –, oltre a illustrare i compiti del nunzio e il modo migliore per adempierli.
Aspetti relativi alla vita sociale sono riportati con non minore dettaglio. Il M. descrive i balli e i banchetti, eventi ai quali non ritiene decoroso partecipare, malgrado la scarsa attenzione per il cerimoniale dimostrata dai Polacchi; qualche digressione è dedicata anche alla birra polacca. Altre vicende particolari sono oggetto della narrazione del M., come l’accoglienza riservata al suo ingresso nei territori sottoposti alla sovranità polacca dal rappresentante del vescovo di Cracovia, prima città incontrata al termine del viaggio. Il M. fece la conoscenza del re Giovanni II Casimiro Vasa, elogiato per la sua puntualità nel concedere udienza, una qualità che non gli sembrava corrispondere al successore, re Michele Korybut Wiśniowiecki, con il quale il M. aveva avuto un incontro quando si era presentato alla Dieta e vi era stato accolto con tutti gli onori, sedendo «al posto più degno, cioè in mezzo all’ordine superiore del circolo formato allo scoperto» (Relatione, p. 165). Del nuovo monarca descriveva l’elezione, la cerimonia di incoronazione e le manifestazioni celebrative di Cracovia, in particolare la cavalcata, durante la quale egli accompagnò personalmente il re. In qualità di ambasciatore pontificio, il M. era chiamato a intervenire alla Dieta, specie quando erano implicati gli interessi della Chiesa, come in occasione della discussione sulla guerra di Candia, considerata la volontà del pontefice di coinvolgere nel conflitto, a fianco della Repubblica di Venezia, la Polonia. Il M. presenziava inoltre alle cerimonie più importanti, come il matrimonio del re Michele con l’arciduchessa Eleonora d’Austria, celebrato nel 1670 a Cz¢stochowa (Cestocova), nel convento di S. Paolo Primo Eremita. Tale avvenimento è descritto in tutte le sue fasi, dal primo incontro degli sposi fuori dalla città, alle cerimonie, ai banchetti, ai quali il M. è spesso chiamato per accompagnare la nuova regina, che aveva portato con sé in veste di maggiordomo maggiore il generale Raimondo Montecuccoli. La nunziatura in Polonia avrebbe comportato significative conseguenze sulla carriera del M., a causa dell’ostilità suscitata alla corte francese sia per il sostegno alla candidatura del duca di Lorena Carlo V (o IV) per l’elezione a re di Polonia, secondo le istruzioni ricevute da Roma, sia per una lettera inviata a Clemente IX, nella quale si esprimevano severi giudizi su Luigi XIV, giunta dopo la morte del pontefice a Roma, dove fu intercettata da due cardinali francesi ai quali erano state conferite le funzioni di «capi d’ordine» durante il conclave.
L’esperienza in Polonia si concluse nel 1670, lo stesso anno, il 13 agosto, il M. fu inviato nunzio in Spagna. A Madrid trovò una situazione delicata, con la regina Maria Anna d’Austria che, affiancata da una Giunta di governo, esercitava la reggenza per il giovane re Carlo II, giunto al trono all’età di quattro anni.
Le condizioni del re, tormentato da evidenti problemi fisici, erano seguite dal M. con interesse, in quanto destinate a incidere profondamente sulle sorti di uno dei maggiori alleati della Chiesa, da cui molto ci si aspettava per la comune causa della difesa della Cristianità dal nemico ottomano.
Il M. frequentava stabilmente gli ambienti della corte, seguendo con estrema attenzione le principali vicende del Regno, che attraversava una fase di grave crisi economica, segnato dalle lotte fra la regina e l’opposizione che faceva capo a don Juan José d’Austria. In questo clima il M., constatata la mancanza di esperienza della regina e la sua estrema diffidenza, cercò di porre rimedio al deterioramento dell’immagine della Chiesa, dovuto alla impopolarità del gesuita Johann Eberhard Nithard, che era stato confessore e consigliere politico della regina madre, espulso dalla Spagna nel 1669. In veste di nunzio si trovò a gestire la disputa tra Madrid e Roma in merito a questioni relative al diritto di asilo negli Stati italiani posti sotto la sovranità spagnola, indice di quel «nazionalismo ecclesiastico» emerso più volte nella Spagna asburgica ma che, sul finire del secolo, sembrava essere più gestibile grazie alla debolezza di Carlo II. La nunziatura in Spagna, dove il M. arrivò ormai come consumato diplomatico, terminò nel 1675, anno in cui fu dichiarata la maggiore età di Carlo II.
Al suo ritorno a Roma, nel concistoro del 27 maggio 1675, il M. fu nominato cardinale con il titolo di S. Bernardo alle Terme, successivamente traslato nella sede dei Ss. Quirico e Giulitta (1681), poi a S. Prassede (1700) e infine a S. Lorenzo in Lucina (1708). Nel 1676 fu inviato a Ferrara come legato e partecipò al lungo conclave conclusosi con l’elezione di Innocenzo XI. Nel 1679 il M. fu nominato alla diocesi di Tivoli, con il titolo di arcivescovo ad personam. Curò la diocesi con grande dedizione, promuovendo un sinodo attraverso il quale adottò una serie di riforme, volte in particolare a contenere l’indisciplina del clero locale. Fu intensamente presente alla vita ecclesiastica della comunità, devota e partecipe all’attività delle numerose confraternite tiburtine, tanto da meritarsi da parte degli abitanti il riconoscimento di «buon cardinale». Nel 1685 rassegnò la carica vescovile, ma rimase legato alla città di Tivoli, dove nel 1705 edificò il monastero per le monache francescane di S. Elisabetta disponendo un cospicuo lascito per la cattedrale. Nel 1687 acquisì la carica di camerlengo del Collegio dei cardinali, che mantenne fino all’anno successivo. Nel 1689 partecipò al conclave che innalzò al soglio pontificio Alessandro VIII e nel 1691 al successivo conclave chiusosi con la scelta di Innocenzo XII. Il suo prestigio crebbe, come testimoniano una serie di riconoscimenti: tra il 1692 e il 1695 fu proprefetto della congregazione per il Clero, il 4 luglio 1698 fu nominato da Innocenzo XII procamerlengo nella delicata fase di passaggio tra la morte di Paluzzo Altieri, che aveva esercitato la carica per quasi trent’anni dandole una forte connotazione personale, e l’austero Giovambattista Spinola iunior. Proprio durante il breve periodo in cui esercitò la carica di procamerlengo, il 6 ottobre, il pontefice emanò un chirografo con il quale si abolivano alcune cariche riservate alla nomina del camerlengo, per ridimensionare il fenomeno del nepotismo.
Numerosi furono gli incarichi ricoperti nelle congregazioni cardinalizie, attinenti tanto a questioni ecclesiastiche, quanto al governo temporale. Fu così presente nelle congregazioni dei Vescovi e regolari, dell’Immunità ecclesiastica, della Dottrina della fede, del Buon Governo, della S. Consulta. Nella Congregatio super viis, fontibus et pontibus, incaricata di presiedere al riattamento delle strade consolari in vista dell’anno santo 1700, ebbe lo specifico compito di sovrintendere al rifacimento della via Appia. Nonostante la sua fortunata ascesa, non tralasciò i suoi luoghi d’origine, delegando al fratello, il conte Alessandro, governatore di Vignanello, la costruzione del borgo dell’Angelo Custode e l’erezione all’estremità dello stesso della graziosa porta.
Alla morte di Innocenzo XII, nel 1700, il M. fu indicato come uno dei possibili successori. Gradita al gruppo degli zelanti, la sua candidatura fu messa fuori gioco dal veto posto dai Francesi, interessati a un papa più debole. Di fronte a tale ostruzionismo fu lo stesso M. a tirarsi indietro. Nel 1701 fu incaricato di presiedere la neocostituita congregazione del Sollievo, sorta per la modernizzazione agraria, il controllo dei prezzi e il miglioramento della viabilità. Dopo i primi anni di intensa attività, ostacolata dalla burocrazia romana e diventata inoperante già dal 1704, la congregazione fu sciolta nel 1715. L’esperienza maturata in tanti anni di servizio fece sì che fosse chiamato a occuparsi di questioni molto importanti per la Chiesa: diresse l’interrogatorio del vicario apostolico Pietro Codde, accusato nel 1702 di aver introdotto in Olanda catechismi non conformi, di aver diffuso letteratura sacra in lingua volgare, di aver simpatizzato con i giansenisti e di non aver ubbidito a numerosi ordini della S. Sede. Nel 1702 si occupò delle missioni in Cina, con l’incarico, affidatogli da Clemente XI, di redigere un decreto sui «riti cinesi», pratiche che il francese Charles Maigrot aveva categoricamente proibito, ma che erano state invece accolte dai gesuiti. Il pontefice si avvalse della consulenza del M. anche in merito agli archivi del Vaticano, dove fu spesso visto accompagnare Clemente XI, che avrebbe inteso mettere ordine in quella immensa mole di documenti. Fu anche protettore della Congregazione benedettina cassinese (1692) e dal 1698 dell’Ordine domenicano.
Da Roma il M. continuò a dedicare grande attenzione al borgo di Vignanello, dove tra il 1710 e il 1723 fece costruire la chiesa collegiata di S. Maria della Presentazione, consacrata nel 1725 da Benedetto XIII, solo un anno prima della morte del Marescotti. Dal 1715, a causa dell’età, rinunciò agli incarichi pubblici e condusse vita più ritirata.
Il M. morì a Roma il 3 luglio 1726.
Il giorno successivo le sue spoglie furono traslate nella chiesa del Gesù, dove il 5 luglio si svolse una solenne cerimonia alla quale partecipò il pontefice. Il 14 luglio fu emanato il decreto di beatificazione della sua ava Giacinta.
Tra i familiari del M. vanno ricordati i fratelli Francesco, che, in quanto erede di Bartolomeo Ruspoli, zio per parte di madre, assunse il doppio cognome; Alessandro, che prese il cognome Capizucchi dopo aver ricevuto l’eredità di quella famiglia per parte di Ortensia, sorella di suo padre e maritata con il marchese Paolo Capizucchi; Marc’Antonio, canonico della basilica Vaticana.
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