GALEAZZO MARIA Sforza, duca di Milano
Nacque a Fermo il 24 gennaio 1444 dal conte Francesco e da Bianca Maria Visconti. Fu fatto istruire molto bene nelle arti belliche, nelle scienze e nelle lettere. Il padre, divenuto duca di Milano, lo mandò ambasciatore straordinario all'imperatore Federico III, venuto in Italia per ricevere la corona imperiale da Niccolò V; poi a Pio II in occasione della sua elevazione al pontificato. Scoppiata in Francia la guerra del bene pubblico, Galeazzo Maria fu mandato colà con un esercito in aiuto del re Luigi XI e vi diede belle prove di valore. Appresa in Francia la morte del padre, si portò a Milano, dove la madre aveva preparato gli animi a riconoscerlo. Ingrato verso la madre, la relegò a Cremona: la poveretta durante il viaggio ammalò e morì (corse voce morisse di veleno) il 23 ottobre 1468.
Quantunque non gli mancassero buone qualità, la condotta politica e morale di G. M. fu spesso biasimevole. Amava fino alla follia la magnificenza e il fasto, senza preoccuparsi delle conseguenze per l'erario pubblico e per i sudditi troppo gravati di balzelli; di costumi corrotti, non pago delle sue favorite, tra le quali primeggiò la contessa Lucia Marliani, il duca si attirava odî di famiglie o di persone offese dalla sua dissolutezza. Si abbandonava talora ad atti di crudeltà. Amava per altro la giustizia, era affabile, concedeva facili udienze, ricompensava volentieri i benefici ricevuti; e, soprattutto, era munifico protettore degli artisti. Diede grande impulso ai lavori nel castello di Milano; per lui Bramante venne in Lombardia. Amantissimo della musica, e buon musico egli stesso, fondò in Milano una cappella musicale con numerosi cantori, la maggior parte stranieri. Incoraggiò anche le lettere, diede al suo primogenito per istitutore Francesco Filelfo, s'interessò ai progressi dell'università di Pavia: è benemerito per gl'incoraggiamenti dati alla stampa al suo primo apparire in Milano, dove nel 1471, forse da lui stesso invitato, ad ogni modo da lui favorito, venne da Venezia Panfilo Castaldi.
Nonostante le sue pecche, le cui conseguenze riguardo al governo dello stato venivano attenuate dal genio politico del suo ministro Cicco Simonetta, G. M. non meritava la fine toccatagli. Tornato da poco da una spedizione militare contro il duca di Borgogna, il giorno di S. Stefano del 1476 fu colpito a morte da tre congiurati. L'assassinio non ebbe l'esito che i tre giovani omicidi, Gerolamo Olgiati, Andrea Lampugnani e Carlo Visconti, si ripromettevano, quello cioè di sollevare il popolo e instaurare un regime di libertà: degli uccisori, il Lampugnani fu massacrato sul momento, e gli altri due furono mandati a morte; il governo ducale passò al figlio del morto duca, Gian Galeazzo (v.).
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