SFORZA, Galeazzo
– Nacque probabilmente nel 1469, figlio naturale secondogenito di Costanzo e di Fiore Boni, figlia di Ugolino.
Dopo il matrimonio del padre con Camilla Marzano d’Aragona (1475), visse alla corte di Pesaro con il fratello maggiore Giovanni, ma poco si conosce dei primi anni di vita di Galeazzo ed egli non sembra avere avuto un ruolo attivo nella complessa successione del fratello nella signoria pesarese (1483).
Nel 1489 fece parte del corteo che scortò Maddalena Gonzaga, sua cognata, a Pesaro, mentre nel febbraio del 1490 fu incaricato di raggiungere Mantova per le nozze di Isabella d’Este e di Francesco Gonzaga alla testa del corteo di omaggio pesarese. Nell’ottobre del 1490 il fratello Giovanni ridusse improvvisamente il suo appannaggio; l’operazione fece insorgere la matrigna Camilla Marzano – trasferitasi l’anno prima a Milano ed esautorata della reggenza di Pesaro da Giovanni –, che coinvolse nella vicenda il marchese di Mantova. Quest’ultimo, infine – dopo l’impegno del signore di Pesaro ad assegnare al fratello una rendita di almeno 800 o 1000 ducati –, si offrì di chiamare Galeazzo a Mantova affinché fosse avviato al mestiere delle armi. Nel febbraio del 1491, Galeazzo lasciò Pesaro insieme con Iacopo Probo e si trasferì alla corte dei Gonzaga. Il marchese raccomandò prima il giovane al re di Napoli e poi favorì il suo avvicinamento a Galeazzo e Virginio Orsini, signori di Bracciano. Dopo una visita alla matrigna Camilla a Torricella nel Parmense, Sforza si trasferì a Bracciano nell’ottobre del 1492, con uno stipendio di 400 ducati, al servizio degli Orsini.
Dopo questo apprendistato militare Galeazzo divenne di fatto il braccio armato del fratello, assumendo il ruolo di comandante delle truppe al soldo degli Sforza di Pesaro. Ebbe il compito di guidare il contingente pesarese approntato per la battaglia di Fornovo (6 luglio 1495), ma a causa dei tentennamenti del fratello raggiunse il campo della lega antifrancese solo ad agosto, partecipando all’assedio di Novara.
Nelle fasi finali della disastrosa guerra intentata da papa Borgia contro gli Orsini (gennaio del 1497), Sforza fece da intermediario per la liberazione del duca Guidubaldo da Montefeltro, catturato dall’esercito dei baroni romani, raggiungendo Milano per trattare a favore dell’urbinate. Quando, pochi mesi dopo, fu ritrovato nel Tevere il cadavere del duca di Gandía (16 giugno 1497), Giovanni Borgia figlio del papa, Sforza fu sospettato di essere stato insieme con il fratello uno dei mandanti dell’omicidio, ma il cardinale Ascanio Maria Sforza – pure sospettato – contribuì a mettere a tacere rapidamente le voci che accusavano i due parenti pesaresi.
Sforza fu di nuovo a Milano nel giugno del 1498 per mediare la restituzione dei beni del fratello lasciati a Roma l’anno precedente e cercare di ottenere una nuova condotta per gli Sforza pesaresi. La sua missione fu un insuccesso e durante gli anni seguenti condivise con il fratello l’emarginazione nella quale si trovava la signoria pesarese dopo l’annullamento del matrimonio di Giovanni con Lucrezia Borgia.
Nel febbraio del 1500, in soccorso dei parenti lombardi, Sforza guidò un piccolo contingente di soldati, ma al suo rientro a Pesaro – a seguito dei progetti di Cesare Borgia di costruire uno Stato tra Romagna e Marche – fu in pericolo di vita a causa di una congiura, detta di Mombaroccio, che mirava all’eliminazione di lui e del fratello. Con la ripresa della campagna militare di Borgia e la sollevazione di Pesaro contro gli Sforza (10-11 ottobre 1500), Galeazzo tentò una mediazione con gli insorti. Trattenuto nel palazzo di corte insieme con la piccola nipote Battista Sforza, tentò di fuggire, ma fu immediatamente ripreso e imprigionato. Solo il 18 ottobre, due giorni alla capitolazione della città nelle mani del governatore di Cesena e di Ercole Bentivoglio, poté essere liberato. Fu scortato a Urbino da Bentivoglio insieme con la nipote e la madre Fiore Boni. Seguì poi il fratello nell’esilio, sostando spesso alla corte dello zio Giovanni Bentivoglio a Bologna, da dove tentò di reclutare armati da impegnare in un’eventuale riconquista di Pesaro e tenne sotto controllo le operazioni del Valentino nel nuovo Ducato di Romagna. Quando (ottobre del 1502) il duca di Urbino riconquistò il proprio territorio, Sforza lo seguì portandosi fino ai confini con il Pesarese, sperando forse in un sollevamento dei locali filosforzeschi. Constatato il fallimento di questa operazione, tornò a Bologna con la nipote Battista, che affidò alla cura degli zii Bentivoglio.
Appresa la notizia della morte di papa Borgia, Galeazzo e il fratello si portarono subito a Urbino, riuscendo a rientrare a Pesaro il 3 settembre 1503. Sforza riuscì infine a prendere possesso della rocca Costanza per conto del fratello solo il 19 ottobre e poco dopo (dicembre del 1503) partì per Roma, con l’incarico di operare, in accordo con il cugino cardinale Ascanio Maria, per ottenere da Giulio II il rinnovo dell’investitura di Pesaro. Nel novembre del 1504 partì per Venezia con lo scopo di scortare la nuova moglie del fratello, Ginevra Tiepolo, condotta alla rocca di Gradara il 9 dicembre. Nel giugno del 1505 recuperò per il fratello i castelli di Novilara e Mombaroccio, passati in mano ai fuoriusciti pesaresi che avevano sostenuto il duca Valentino.
Il 4 agosto 1507 Sforza si sposò con Ginevra Bentivoglio, figlia di Ercole (morto esule a Pesaro il 10 giugno) e di Barbara Torelli. Dopo la sconfitta veneziana di Agnadello (maggio del 1509), guidò le truppe di Pesaro – al soldo di Giulio II – all’assedio di Padova (agosto del 1509), rimanendo poi in Veneto a presidiare i territori strappati alla Serenissima.
Dopo la morte del fratello Giovanni (27 luglio 1510), tenne la reggenza di Pesaro per il giovane nipote Costanzo II che morì infante il 5 agosto 1512. All’indomani della morte del bambino, Galeazzo fu acclamato signore di Pesaro, ma alla successione si oppose Giulio II che aveva intenzione di cedere la città al nipote Francesco Maria Della Rovere, già duca di Urbino. Rapidamente, il duca e il cardinale Sigismondo Gonzaga (legato apostolico nelle Marche) posero l’assedio a Pesaro, mentre Sforza tentò di opporre resistenza asserragliato nella rocca Costanza, sperando in un mutamento di opinione del pontefice, che riceveva nel contempo a suo favore lettere dal Senato di Milano, dal marchese di Mantova, da Matteo Lang e da Raimondo di Cardona, viceré di Napoli. Infine, il 2 novembre 1512 Sforza sottoscrisse un accordo che prevedeva la cessione a Gonzaga della rocca in cambio di una pensione di 1000 scudi annui assicurati su possessioni nel Mantovano, con il patto che – una volta verificati i diritti di possesso – Francesco Maria Della Rovere avrebbe corrisposto un’ulteriore pensione di 1000 scudi per le proprietà allodiali di Sforza nel Pesarese, compreso il palazzo e la possessione della villa Imperiale.
Sforza partì, sembra scortato dai pesaresi fino a Cattolica, rifugiandosi dapprima a Mantova e poi trasferendosi a Milano al servizio del neoduca Massimiliano Sforza.
Testimonianza del suo soggiorno lombardo sono le dediche e le menzioni della sua abitazione – frequentata dal giurista Paolo Taegio e dal cortigiano Vincenzo Atellani – e della consorte nelle Novelle di Matteo Bandello (parte I, n. 6; parte II, n. 53; parte III, n. 34).
Per conto del duca di Milano, Sforza fu governatore di Cremona, ma nel maggio del 1513 dovette arrendersi alle truppe franco-veneziane e fu preso prigioniero insieme con Alessandro Sforza e trattenuto a Pizzighettone. Fu poi liberato e incaricato dal duca Sforza e dal cardinale Matteo Schinner di compiere una delicata missione presso i cantoni svizzeri, volta a saldare le pendenze del milanese presso i confederati (giugno-agosto del 1514).
Rientrato a Milano, il 12 marzo 1515 fu ferito da una ronda perché non seppe rispondere alla parola d’ordine, testò il giorno 16 disponendo di lasciare, non avendo eredi diretti, le collezioni di famiglia a Massimiliano Sforza (lascito pilotato da Isabella d’Este che mirava a impossessarsi degli oggetti d’arte già pesaresi).
Morì a Milano il 14 aprile in una casa della parrocchia di S. Marcellino, in seguito alle ferite riportate un mese prima, e fu sepolto nella chiesa dei domenicani osservanti di S. Maria delle Grazie.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Mantova, Archivio Gonzaga, b. 1065; Archivio di Stato di Milano, Notarile, b. 6026, 1515 marzo 16; Popolazione, 84, 1515 aprile 14; Sforzesco, 629; A. Grumello, Cronaca, a cura di G. Müller, Milano 1856, pp. 173-176; M. Sanuto, La spedizione di Carlo VIII in Italia, a cura di R. Furlin, Venezia 1883, pp. 449, 514, 522; I diarii di Marino Sanuto, a cura di R. Fulin et al., XIV, Venezia 1886, col. 619; Tutte le opere di Matteo Bandello, a cura di F. Flora, Milano 1934, I, p. 82, II, pp. 192, 427; Carteggio degli oratori mantovani alla corte sforzesca (1450-1500), XV, 1495-1498, a cura di A. Grati - A. Pacini, Roma 2003, lettere 41, 52.
N. Ratti, Della famiglia Sforza. Parte I, Roma 1794, pp. 169-173; B. Feliciangeli, Lettere di G. S. al fratello Giovanni signore di Pesaro, Sanseverino Marche 1915; C. Bonetti, Cremona durante le guerre di predominio straniero (1499-1526): note e appunti, Cremona 1939, pp. 68-72; C. Santoro, Gli Sforza, Milano 1968, p. 412; S. Eiche, The Sforza antiquities: two wills and a collection, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXI (1987), 1, pp. 162-167; C.M. Brown - A.M. Lorenzoni - S. Hickson, «Per dare qualche splendore a la gloriosa cità di Mantua». Documents for the antiquarian collection of Isabella d’Este, Roma 2002, pp. 60, 69, 82 s., 259, 266-274; F. Ambrogiani, Vita di Giovanni Sforza (1466-1510), Pesaro 2009, ad ind.; L. Arcangeli, “Essendo tempo de pagare ad signori helvetii”. Resistenza fiscale e problemi costituzionali nella Milano del 1514, in Archivio storico ticinese, CLVI (2014), pp. 34-56 (in partic. pp. 35, 42); F. Daenens, La mancata dote di Camilla Sforza d’Aragona, in Studi Pesaresi, IV (2016), pp. 7-45.