DEL CARRETTO, Galeotto
Nacque poco prima del 1455 dal marchese Teodoro, signore di Millesimo e consigliere dei Paleologhi di Monferrato, e dalla genovese Brigida Adorno, in una località imprecisata del contado di Acqui, dove la sua famiglia possedeva ampi feudi.
Nella prima giovinezza il D. ricevette una accurata educazione letteraria ed ebbe modo di frequentare i dotti e i poeti che si riunivano presso la corte di Casale, come Antonio Astesano, Giovan Mario Filelfo, Ubertino Clerico da Crescentino, Francesco Capra ed altri. Inoltre il D. entrò ben presto in contatto con l'ambiente milanese, e strinse amicizia con i poeti Piattino Piatti, che nel 1483 gli mandò un esemplare dei suoi Epigrammaton ... libri duo perché lo presentasse al marchese Guglielmo (Vinay, p. 157), e Gaspare Visconti, insieme con il quale, come sembra, fece parte della comitiva ducale che nel dicembre del 1488 si recò a Napoli per prelevare Isabella d'Aragona, promessa sposa di Gian Galeazzo Visconti (Dina, p. 604). Nel 1492 il D. partecipava con Baldassarre Taccone e Giasone del Maino all'ambasceria inviata a Roma da Ludovico il Moro per felicitare il pontefice appena eletto, Alessandro VI Borgia, e ne celebrava l'instaurazione con un'ecloga in versi italiani. Intanto, per desiderio di Bonifacio III, il D. componeva e presentava al Paleologo, il 15 ag. 1493, la Cronica degli Ill.mi Principi... del Monferrato, in ottava rima.
È probabile inoltre che si debba attribuire al D. l'opera poetica intitolata Le laude di Massimiliano re de' Romani e d'Ungaria, pubblicata a Roma da J. Besicken dopo il 19 ag. 1493 (Indice generale degli incunaboli..., II, p. 35), data della morte dell'imperatore Federico III. La poesia, al termine della quale l'autore si firma, sarebbe nata in ambiente sforzesco, e gli accordi per la stampa furono presi quasi con certezza dal D. durante il viaggio del 1492.
Nella prima metà del 1494, dopo la morte del marchese Bonifacio, il D. fu assunto nel Consiglio di reggenza, e ottenne la carica di cameriere marchionale, con cui è menzionato in un documento del 26 genn. 1495 (De Brayda, p. 21); nel giugno dello stesso 1494 fece un primo viaggio a Mantova, forse per notificare ai Gonzaga, come ha supposto il Giorcelli (Documenti, p.137). la morte di Bonifacio e la nomina a reggente della vedova Maria. Soprattutto tra il 1496 e il 1497, a causa dei suoi incarichi ufficiali, il D. soggiornò con una certa continuità presso la corte mantovana, e poté ingentilire la sua vena poetica a contatto con un ambiente raffinato, in cui primeggiavano il Tebaldeo e Serafino Ciminelli.
Di qualche importanza, per ricostruire alcune fasi della vita del D., è lo scambio epistolare con la coltissima Isabella d'Este, ricco di notizie storiche e letterarie. Il 4 genn. 1497 egli chiedeva alla marchesa "che se degni de mandarme alchuni canti de le mie belzerette fatti per lo Tromboncino ... a la partita mia da Mantua" (Turba, p. 104), ed esemplari di queste "poesie per musica" si trovano tuttora nel cod. A I 4 della Biblioteca comunale di Mantova. Intanto però la difficile situazione politica del Monferrato e dell'Italia settentrionale, dopo la discesa di Carlo VIII, tratteneva sempre di più il D. a Casale, diviso tra le incombenze delle sue cariche e il ricorrente della attività poetico-letteraria. Infatti proseguiva la stesura, in prosa, della Cronica; scriveva regolarmente poesie liriche di ogni genere, che inviava, manoscritte, a Isabella; poneva mano alla composizione del Timon Greco, commedia concepita e portata a termine tra i primi mesi del 1497 e il gennaio del 1498, e alla cosidetta Comedia de Beatrice, scritta in onore di Beatrice d'Este "puocho avante che lei moresse" (Turba, p. 112) e non pervenutaci. Nel frattempo le vicende personali del D. si intrecciavano sempre di più con quelle del Monferrato. Nel 1499, discesi nuovamente i Francesi in Italia, il D. seguì il giovane marchese Guglielmo e il governatore Costantino Arianiti, che si erano spinti con le milizie monferrine da Casale a San Salvatore (Del Carretto, Cronaca in prosa, col. 1244), poi li accompagnò a Milano nel seguito del nuovo re di Francia Luigi XII venuto a prendere possesso del ducato.
L'11 novembre del 1499 il D. si trovava invece a Vigevano, da dove scriveva al luogotenente generale del marchese di Mantova, Enea Furlano, dicendo di aver "fatto in questi tempi fastidiosi de l'absentia nostra di Monferrato per recreatione mia alchune belzerette", e a Isabella, lo stesso giorno, per unirle qualche sua poesia e anticiparle l'invio di una "comedia nova quale ho fatto da doi mesi in qua" (Turba, p. 118), a noi sconosciuta. Lo stesso 11 novembre egli era testimone a Vigevano dell'Arianiti, caduto in disgrazia del re di Francia.
Rimasto a Torino sotto la tutela del Ligny il marchese Guglielmo, il D. fece ritorno a Casale con gli altri gentiluomini di corte verso la fine di novembre. Di qui infatti, il 5 dicembre, informava minuziosamente il Gonzaga della fuga di Guglielmo a Volpiano, onde sottrarsi alla tutela di Luigi XII (Turba, pp. 119 s.); colà egli stesso, insieme con altri nobili casalesi, si recava per prelevare Guglielmo e accompagnarlo a Pontestura. Sempre nel dicembre del 1499 il D. partecipò, a Casale, all'Assemblea dei tre stati del marchesato di Monferrato, che decise di chiedere a Luigi la restituzione di Guglielmo assistito da un Consiglio di Stato per la sua minore età (Cronaca, coll. 1250 s.), e il 29 genn. 1500 la situazione del Monferrato appariva così tranquilla che il D., nominato, insieme a Giovanni Bellone, proconsole di Casale (De Brayda, p. 21), poteva scrivere a Isabella di averle mandato "belzerette" e "comedia" (Turba, p. 123). Nel periodo fra l'agosto e il novembre il D. si recò ancora a Mantova, dove ricevette da Isabella una "cordial demonstratione" (lettera del 13 novembre da Casale: Turba, p. 127). Il 15 giugno 1501 il D. era a Casale; ma di lì a poco, sospettato di connivenza con l'imperatore, fu mandato da Guglielmo "per confine ... in altre terre fuori della sua iurisdictione" con il fratello Alberto (lettera di B. Tosabezzi al Gonzaga del 29 luglio 1501: Manacorda, p. 64). Se si accetta la supposizione che il D. fosse richiamato, insieme con altri esiliati, per il Natale del 1501, appare che la sua lontananza da Casale era durata solo cinque mesi (Manacorda, p. 65). In realtà l'esilio del D. dovette protrarsi assai più a lungo, come risulta dalla prefazione-dedica della tragedia Sofonisba, inviata a Isabella d'Este il 22 marzo 1502, e da una lettera da Pontestura del 26 genn. 1503, con cui il D. tiene ad informare la marchesa che "è piaciuto al ... marchese nostro ... revocarmi de la relegatione et reintegrarmi nel offitio mio pristino del magistro de casa, come collui che ha inspetto et ben compreso la mia fede et innocentia, et questo essere causato più da invidia de qualche emulo" (Turba, p. 129). Non è dato di conoscere il luogo dell'esilio del D., fuori comunque del Monferrato, né i motivi per cui fu richiamato da Guglielmo; sembra abbastanza verosimile che lo stesso marchese, in occasione della sua permanenza a Lione presso la corte francese, nel 1502, avesse interceduto in suo favore presso Luigi XII (Giorcelli, Documenti, p. 162).
L'esilio lasciò una dolorosa impressione nell'animo del D., che adombrò la sua infelice situazione nel dramma allegorico Tempio d'Amore (scritto nel 1504) e in particolare nella figura di Fileno, ingiustamente relegato. Il D. fu poi a Mantova ai primi del 1503, al solito ricevuto da Isabella con "demonstratione grandissima et amorevole accoglienza" (Turba, p. 130). Dal 9 luglio al 15 dic. 1503 egli andò al seguito di Guglielmo che si recava in Francia per ossequiare Luigi XII e rinsaldare il suo fidanzamento con Anna d'Alençon. Nel 1506 il D. venne nuovamente eletto tra i proconsoli di Casale. Durante il periodo quaresimale, per sciogliere il voto concepito durante una malattia, si recò in pellegrinaggio alla "Annuntiata de Firenze", senza peraltro riuscire a incontrarvi Isabella, che era partita da "quella inclita cità" due giorni prima che egli vi arrivasse (lettera del 6 ott. 1506: Turba, pp. 134 s.). Quando, nell'aprile 1507, Luigi XII scese ancora in Italia per recuperare Genova, che era insorta, il D. seguì Guglielmo "ne la compagnia che ha fatta di continuo al Christianissimo re", informando altresì Isabella "de la grande infermità tolta in questo viagio" e scusandosi di "non puoter venir a Milano a veder tante degne feste et triumphi" e a renderle visita (lettera del 5 giugno 1507: Turba, p. 137); su richiesta del marchese, egli si aggregò poi alla comitiva di nobili monferrini, che andavano a Lione a incontrare gli sposi (Cronaca, col. 1363), e con loro fece ritorno a Casale nell'ottobre 1508.
È probabile che a questi anni debba assegnarsi anche il matrimonio del D. con una donna a noi sconosciuta, visto che Anna d'Alençon, scrivendogli da Mantova il 10 maggio 1516, lo prega di salutare la "consorte" (Manacorda, p. 120); da queste nozze comunque non nacque prole, mentre un "fiolo bastardo" del D. era già morto il 16 genn. 1509 (Casale, Arch. capitol., Reg. Intrata funeralium, a. 1509). Nel 1511 il D. sovrintendeva ai lavori di abbellimento e restauro della chiesa di S. Maria in Piazza e di S. Domenico. Nel 1512 Guglielmo gli concedeva, per ricompensarlo dei suoi servigi, la terra di Roccavignale a titolo di feudo vitalizio riscattabile (Casale, Arch. civ., Feudo di Roccavignale, Reg. un., f. 7578). I rapporti con i Gonzaga intanto si erano alquanto allentati, ma non interrotti: per desiderio di Francesco, il D. compose e spedì alla corte mantovana "uno capitulo in dialogo de uno che parla cum uno spirto" per la morte di Girolamo Negrisolo (lettera del 30 ott. 1513, da Trino: Turba, pp. 145 s.). Il 20 maggio 1515 il D., in qualità di consigliere marchionale, fece da testimone ad un atto con cui Alberto Malaspina rinunciava, a favore di Guglielmo IX, a ogni diritto sulla terra di Santo Stefano. Nel 1516 il D. era rieletto proconsole di Casale e in tale veste toccò a lui di muovere lagnanze a nome del popolo contro il marchese Guglielmo, per alcune sue infrazioni agli statuti cittadini (Manacorda, p. 67).
Nell'autunno accompagnò la marchesa in Francia, e si dolse, nella lettera del 27 dicembre a Isabella, di non aver potuto per questo seguire Guglielmo nel suo viaggio a Mantova (Turba, p. 147). Il D. fu comunque uno degli artefici principali e più efficaci del patto nuziale tra Paleologhi e Gonzaga, come dimostrano due lettere, entrambe del 27 febbr. 1517, a Francesco e a Isabella (Turba, pp. 148 s.). Con Guglielmo, il D. andò incontro a Federico Gonzaga, proveniente dalla Francia, verso la metà dell'aprile 1516, lo scortò prima a Casale, dove furono celebrate le nozze con Maria Paleologa, poi a Mantova. Il 27 giugno Guglielmo rendeva ereditario il feudo di Roccavignale.
Alla morte di Guglielmo (4 ott. 1518), il D. rafforzò la propria posizione alla corte monferrina, grazie all'ascendente personale sulla marchesa e sul piccolo Bonifacio, tanto che nell'anno 1519, di nuovo eletto tra i proconsoli di Casale, egli risulta il primo nell'elenco dei feudatari e dei magistrati della città che giurano fedeltà alla reggente Anna; e lo stesso anno è inviato con Andrea Cossa a San Giorgio Canavese per accertare i danni che le truppe casalesi avevano provocato nella regione ribellatasi e "dare notizie" (Cronaca, col.1270). Nei medesimi anni il D. proseguiva la Cronaca, e nell'ottobre 1519 faceva dare alle stampe a Milano, presso A. Minuziano, il manoscritto Tempio d'Amore.
Questo, che fu ripubblicato a Venezia (1524) e a Bologna (1525), è un dramma "mescidato", nel quale, secondo l'esempio dell'Orfeo del Poliziano, viene trattato un argomento profano nella forma della rappresentazione sacra. L'estenuante lentezza dell'azione e l'elevato numero dei personaggi inducono a credere che il D. abbia profondamente modificato l'originario libretto, che forse era stato messo in scena nel 1504.
Il D. incluse nel Tempio d'Amore altri componimenti come la versione in terza rima della Tavola di Cebete (Dialogo di più persone congiunte con Amicizia) e il riassunto delle Metamorfosi di Apuleio. Se il D. scrisse il Tempio come metafora esistenziale, si lasciò certo influenzare da una lunga tradizione medioevale, che confondeva il simbolismo della rappresentazione allegorica con il realismo dell'esperienza personale, fino a fare delle proprie disavventure un paradigma moralistico valevole per tutta l'umanità.
Subito dopo il Tempio, fu pubblicata la commedia Noze di Psyche e Cupidine, senza alcuna nota tipografica, ma presumibilmente a Milano presso il Minuziano. Essa fu riedita sempre a Milano nel 1520 da Agostino di Vimercate e, dopo la morte del D., nel 1545.
Le Noze, scritte verso il 1502-1503, sono una parafrasi polimetrica della nota favola di Apuleio (Met., IV-VI), con lo scioglimento dell'originario tessuto narrativo in recitativo dialogato e melodrammatico e corali cantati, e rappresentano un primo tentativo di poesia "barbara" (Sanesi, I, p. 218).
Nell'ottobre 1524 il D. versava alla cattedrale di Casale i lasciti del fratello Scipione, protonotario apostolico, che era appena morto; nel 1525 risultava iscritto alla Compagnia di S. Michele in Casale, detta dei nobili; nel 1527 la reggente Anna lo inviava, con Bartolomeo Della Valle, quale ambasciatore al conte Lodrone, governatore di Alessandria, per chiedere che cessassero le scorrerie dei soldati spagnoli in Monferrato. Il 5 luglio 1527 il D., che era privo di eredi diretti, fece testamento a favore dei nipoti, figli di Alberto (Arch. di Stato di Torino, Duc. di Monferrato Feudo di Roccavignale, mazzo 59), e l'atto fu successivamente ratificato, il 18 ott. 1528, dallo stesso Carlo V. Sempre nel 1528, Anna gli vendeva con diritto di riscatto i tre quarti della terra di Altare, già feudo del D.; nel settembre, egli accompagnò Bonifacio IV a Piacenza, dove si trovava Carlo V, e poi a Bologna. Nel febbraio 1530 ritornò a Bologna con il marchese, per assistere all'incoronazione dell'imperatore. Di nuovo a Casale, il D. fu testimone il 6 giugno della tragica morte di Bonifacio, travolto da un cavallo, e con questo drammatico episodio concluse la sua Cronica in prosa (col. 1291). Di lì a poco venne a morte anch'egli, in una data che si può fissare con una certa sicurezza al 31 ott. 1530.
Il D. scrisse numerose poesie liriche di argomento amoroso, morale, civile e di contenuto polemico, che sono andate in gran parte perdute. Le attente ricerche degli studiosi hanno portato alla pubblicazione di componimenti tratti da manoscritti parigini, torinesi, fiorentini e romani: S. Davari, La musica, pp. 53-72; R. Renier, Saggio, pp. 231-252; G. Girelli, Rime, pp. 1 ss.; A. G. Spinelli, Poesie, pp. 455-501; G. Manacorda, pp. 123-125. Alcune di queste poesie restano ancora inedite nel ms. Ital. 1543, ff. 89v, 92r, 96v della Bibl. nat. di Parigi e nel Magliab. II, II, 75, ff. 49v, 53v, 59v della Nazionale di Firenze. Tra le liriche politiche, oltre alle Laude per Massimiliano, si citano quelle in onore di Ludovico il Moro, l'ecloga pastorale per Alessandro VI, le invettive contro la corruzione dei prelati simoniaci e lussuriosi (Spinelli, Poesie, p. 482); fra gli epicedi, spicca il Capitolo de la morte de... Maria già marchesana di Monferrato (Spinelli, Poesie, p. 477), in cui il tono elegiaco riesce a sfumare l'ingombrante presenza della mitologia e dell'occasionale erudizione. Il Manacorda (pp. 82 s.), seguendo il Girelli (Rime, p. 24), tende ad attribuire al D. anche componimenti adespoti del cod. 109 della Biblioteca Reale di Torino, mentre si dichiara piuttosto incerto sulla paternità di cinque poesie in lingua spagnola, assegnate al D. nel cod. XLI. B. 10 della Biblioteca Estense di Modena. Gli inediti teatrali che il D. aveva lasciato in eredità ai suoi nipoti furono via via pubblicati, anche in seguito a circostanze fortuite. Così nel 1542 a Casale, presso G. A. Guidone, fu data alle stampe per interessamento del poeta Niccolò Franco la vivace e licenziosa commedia Li sei contenti. Sempre per iniziativa del Franco, nel 1546 fu pubblicata a Venezia, presso G. Giolito, la tragedia Sofonisba (la cui composizione risaliva al 1502). Si tratta di un dramma fiacco e prolisso, che conserva molti elementi della sacra rappresentazione, come il costante impiego dell'ottava rima nel recitativo, la scrittura continua senza divisione in atti, l'inosservanza delle unità di tempo e luogo, la scena multipla (Manacorda, p. 492). La materia è ricavata integralmente dal noto racconto di Tito Livio (XXVIII, 16-XXX, 15), cosa che garantisce al dramma del D. una certa continuità, se non unità strutturale. Il Timon greco, che il D. compose nel 1497, fu pubblicato nel 1878 a Torino da Giovanni Minoglio. Si tratta di un dramma "mescidato", che ripete pedissequamente la materia del Timone di Luciano e tiene conto dell'omonimo, dramma del Boiardo. Quanto alle opere storiche del D., rimasero a lungo inedite, benché fossero conosciute e citate. La Cronica di Monferrato in ottava rima fu pubblicata dal Giorcelli nella Riv. di storia della prov. di Alessandria, VII (1898), pp. 8-107. La redazione prosastica sincronica, offerta al marchese Bonifacio IV, ritenuta per molti anni perduta potrebbe identificarsi con il ms. Ital. 412 della Bibliothèque nationale di Parigi (Fumagalli, Cronica, p. 396). Il testo originario, di cui la copia di dedica si può considerare una redazione posteriore, rielaborato e continuato fino al 1530, fu pubblicato da Giuseppe Avogadro nei Monum. historiae patriae, Scriptores, (Augustae Taur. 1848), III, coll. 1305-1350. Al Fumagalli (Cronica, pp. 391 s.), che più di recente si è occupato della Cronica in prosa, il D. appare in complesso storiografo, non originale ma piuttosto compilatore, che accosta fonti diverse allo scopo di celebrare e giustificare la stirpe dei Paleologhi.
Bibl.: S. Davari, La musica a Mantova, in Rivista storica mantovana, I(1885), pp. 53-72; R. Renier, Saggio di rime inedite di G. D., in Giornale storico della lett. italiana, III (1885), pp. 231-252; G. Girelli, Rime e lettere ined. di G. D., Torino 1886; A. G. Spinelli, Poesie ined. di G. D., in Atti e mem. d. Soc. stor. savon., I, Savona 1888, pp. 455-501; Id., Cinque poesie spagnole attribuite a G. D., Carpi 1891; G. Manacorda, G. D. poeta lirico e drammatico monferrino, in Mem. d. R. Accadem. d. scienze di Torino, s. 2, XLIX (1898-1899), pp. 47-125; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, Modena 1792, pp. 995, 1279 s.; A. D'Ancona, Origini del teatro ital., II, Torino 1891, pp. 8 ss., 69 s., 140, 354, 387; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo VIII a Emanuele Filiberto, III, Torino-Roma 1895, pp. 218 s.; C.Gaidano, Una commedia poco nota di G. D., in Giorn. stor. d. lett. ital., XV (1897), pp. 368-376; G. Giorcelli, Docum. stor. del Monferrato, VIII, Cronaca del Monferrato ... del marchese G. D. …, in Riv. di storia, arte, archeol. d. prov. di Alessandria, VI (1897), pp. 8-45, 127-217; F. Neri, La tragedia ital. del Cinquecento, Firenze 1904, pp. 8 ss.; A. Simioni, Un umanista milan., Piattino Piatti, in Arch. stor. lomb., s. 4, II (1904), pp. 32, 252, 277, 289; C. Lanza, Dei più antichi lavori tragici degli Italiani, in Atti dell'Accad. Pontan., s. 2, XII (1907), pp. 1-19; A. Dina, Isabella d'Aragona alla corte aragonese, in Arch. stor. lomb., XLVI (1919), p. 604; P. De Brayda, I Del Carretto e genealogia di G. D., Roma 1934, pp. 4-29; G. Vinay, L'Umanesimo subalpino nel secolo XV, Torino 1935, pp. 123, 132, 151, 157 ss.; I. Sanesi, La Commedia, I, Milano 1954, pp. 215-219, 310 s.; G. Turba, G. D. tra Casale e Mantova, in Rinascimento, s. 2, XI (1971), pp. 95-169; E. Fumagalli, La "Cronica del Monferrato" di G. D., in Aevum, LII (1978), pp. 391-426; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, IV, pp. 152 s.; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 237, 277; II, pp. 276, 526; Ind. gener. d. incun., II, p. 35, n. 253.